Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari

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faccio le mie felicitazioni, mio caro Kammamuri, – disse Yanez. – Se non facevi udire la tua voce stavo per dare l’ordine di rimandarti nella tua scialuppa.

      – Una truccatura magnifica, – disse Sandokan. – Sei irriconoscibile, mio bravo maharatto.

      Il fedele servo di Tremal-Naik era diventato veramente irriconoscibile e chiunque lo avrebbe scambiato per un maomettano di Agra o di Delhi.

      Aveva lasciato il dootée e il dubgah pel kurty, costume che a prima vista rassomiglia a quello dei turchi e dei tartari, sebbene sia un po’ diverso perché la casacca è piú corta e aperta dal lato sinistro invece che dal destro, i calzoni piú ampi e anche il turbante d’altra forma, essendo piú piatto sul davanti e piú rigonfio di dietro.

      Per meglio completare l’illusione, il brav’uomo aveva fatto sparire le linee che i seguaci di Visnú portano sulla fronte e si era appiccicata una superba barba nera che gli dava un aspetto imponente.

      – Ammirabile, – ripeté Yanez. – Mi sembri un qualche santone di ritorno dalla Mecca. Non ti mancherebbe che un po’ di verde sul turbante.

      – Credete che i Thugs mi possano riconoscere?

      – A menoché non siano diavoli o stregoni, nessuno potrebbe sospettare in te il maharatto di ieri.

      – Le precauzioni sono necessarie, signore. Anche stamane ho veduto ronzare attorno alla casa del padrone delle figure sospette.

      – Che ti avranno seguito, – disse Sandokan.

      – Ho preso le mie precauzioni per far perdere le mie tracce e spero di esserci riuscito. Ho lasciato la casa in un palanchino ben chiuso e mi sono fatto condurre allo Strand, dove vi è sempre una folla straordinaria, scendendo dinanzi a un albergo.

      La mia trasformazione l’ho compiuta colà e quando sono uscito nessuno mi ha riconosciuto, nemmeno i servi.

      Il fylt’ sciarra m’aspettava lontano dallo Strand, sul quai della città nera, quindi nessuno può avermi seguito.

      – Bada! I Thugs sono assai furbi e ne abbiamo avuto la prova. Essi ormai sanno che noi siamo amici del tuo padrone e ci sorvegliano.

      Il maharatto fece un gesto di spavento e divenne livido.

      – È impossibile! – esclamò.

      – Hanno già tentato di assassinarci quando uscimmo dal palazzo di Tremal-Naik, – disse Sandokan.

      – Voi!

      – Bah! Un attacco male riuscito che abbiamo ricambiato con due palle, di cui una non andò perduta. Non è però quell’agguato che in questo momento ci preoccupa. È una visita che ci fu fatta poco fa e che ci ha messo indosso dei gravi sospetti.

      È venuto uno stregone, o qualche cosa di simile, a sacrificare una capra…

      – Un manti, – disse Yanez.

      Kammamuri mandò un grido e impallidí maggiormente.

      – Un manti, avete detto! – gridò.

      – Lo conosceresti forse? – chiese Sandokan, con inquietudine.

      Il maharatto era rimasto muto, guardandoli con gli occhi dilatati da un profondo terrore.

      – Orsú, parla, – disse Yanez. – Che cosa significa lo spavento che leggo nel tuo sguardo? Chi è quell’uomo? L’hai veduto anche tu?

      – Come era? – chiese Kammamuri con voce strozzata.

      – Alto, vecchio, con una lunga barba bianca e due occhi nerissimi e splendenti, che pareva avessero entro la pupilla due carboni.

      – È lui! È lui!

      – Spiegati.

      – È lo stesso che è venuto due volte a casa del mio padrone a compiere la cerimonia del putscie e che ho veduto aggirarsi altre due volte nella via, guardando le nostre finestre. Sí, alto, magro, colla barba bianca e gli occhi fiammeggianti.

      – Putscie! – esclamò Sandokan. – Che cosa vuol dire?… Spiegati meglio, Kammamuri; non siamo indiani.

      – È una cerimonia che si compie nelle case, in certe epoche, per propiziarsi le divinità, e che consiste nell’aspergere le stanze di orina mista a sterco di mucca(), nel gettare fiori di riso entro un secchio d’acqua, e nel bruciare molto burro messo entro lampade disposte intorno al recipiente.

      – E il manti l’ha compiuta nella casa del tuo padrone? – chiese Sandokan.

      – Sí, quindici giorni or sono, – rispose Kammamuri. – È lo stesso che stamane è venuto qui, ne sono sicuro. Quel miserabile è una spia di Suyodhana.

      – Era accompagnato da un policeman indigeno?

      – Da un policeman! – esclamò Kammamuri facendo un gesto di stupore. – Da quando in qua la polizia scorta i manti o i bramini nel loro giro? Siete stati doppiamente burlati.

      Kammamuri s’aspettava da parte della Tigre della Malesia uno scoppio d’ira, invece il formidabile pirata non perdette un atomo della sua calma, anzi parve piú soddisfatto che malcontento.

      – Benissimo, – disse. – Ecco una burla da cui trarremo dei vantaggi inapprezzabili. Riconosceresti ancora quell’uomo, mio bravo Kammamuri?

      – Anche fra sei mesi.

      – E anch’io. Hai portato le vesti che ti avevo raccomandato?

      – Ne ho quattro casse nel fylt’ sciarra.

      – Che cosa vuoi farne Sandokan? – chiese Yanez.

      – Il manti ci dirà se i Thugs sono tornati nella loro antica sede e se la piccola Darma si trova nascosta nei sotterranei di Rajmangal, – rispose la Tigre della Malesia. – Ci era necessario un thug per farlo cantare: lo abbiamo sottomano e per Allah, canterà ben alto.

      Si tratta solo di scovarlo e non dispero.

      – Calcutta è vasta e popolosa, amico. Sarebbe come trovare un granello perduto in un deserto di sabbia.

      – Forse è meno difficile di quello che credete, – disse ad un tratto Kammamuri. – Vi è una pagoda dedicata alla dea Kalí, nella città nera, dove i Thugs bazzicano e dove da tre giorni si festeggia Darma-Ragia e la sua sposa Drobidè. Non sarei sorpreso se ritrovassimo là il manti.

      – Sarebbe una grande fortuna, – disse Sandokan. – Quando comincia la festa?

      – Alla sera.

      – Devi ritornare dal tuo padrone?

      – Gli ho detto di non aspettarmi; d’altronde prima di doman mattina egli sarà qui. Ha deciso di rifugiarsi sul vostro praho onde poter meglio agire senza essere spiato.

      – Volevo proporglielo. Qui è al sicuro meglio che nel suo palazzo e poi la sua presenza può esserci necessaria.

      Andiamo a pranzare poi faremo la nostra toletta, onde il manti non ci possa riconoscere.

      Non

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