Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari

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guadagneranno il cailasson.

      – Ossia? – chiese Sandokan.

      – Il paradiso, signore.

      – Lo lascio volentieri a loro, – rispose il pirata, sorridendo – preferisco conservare intatti i miei piedi.

      Un fracasso indiavolato e un vivo ondeggiamento della folla li avvertí che la processione usciva in quel momento dalla moschea, per condurre alla prova del fuoco i devoti.

      Un profondo squarcio si era prodotto fra quella massa enorme di curiosi e di adoratori e una nuvola di danzatrici vi si era cacciata dentro seguita da drappelli di suonatori e di portatori di torce.

      – Tenetevi tutti presso di me, – aveva detto Kammamuri, – soprattutto non perdiamo il posto.

      Quantunque fossero stati dapprima travolti da quel movimento disordinato, erano riusciti a rimettersi in prima fila, presso il margine dell’immenso braciere.

      La processione scese la gradinata, e s’avanzò verso il centro della piazza sempre preceduta dalle bajadere e dai suonatori seguita da stormi di bramini salmodianti lodi in onore di Darma-Ragia e di Drobidè.

      Seguivano le due statue delle divinità, l’una di pietra e l’altra di rame dorato, collocate su una specie di palanchino portato da parecchie dozzine di fedeli; poi l’orribile statua della dea Kalí, la protettrice della pagoda, in pietra azzurra e coperta di fiori.

      La moglie del feroce Siva, il dio sterminatore, raffigurava come una donna negra con quattro braccia, di cui una brandiva una specie di daga e un’altra reggeva una testa mozza.

      Una collana di teschi umani le scendeva fino ai piedi e una cintura di mani tagliate le stringeva i fianchi, mentre dalla bocca sporgeva la lingua che gli artisti indiani avevano dipinto in rosso onde ottenere un maggior effetto.

      Dinanzi le stava un gigante coricato ai suoi piedi ed ai fianchi due figure di donna, smunte e smilze, coperte solo da una lunga capigliatura che scendeva fino alle loro ginocchia.

      Una reggeva un cranio umano che teneva accostato alle labbra come se vi bevesse dentro, mentre un corvo pareva che attendesse, col becco aperto, qualche goccia di sangue, l’altra mordeva ferocemente un braccio umano e una volpe la guardava come se reclamasse la sua parte.

      – È quella la dea dei Thugs? – chiese Sandokan, sottovoce.

      – Sí, capitano, – rispose Kammamuri.

      – Non potevano inventarne una piú spaventevole.

      – È la dea delle stragi.

      – La vedo, una dea che fa paura.

      – Aprite gli occhi, signore. Se il manti è qui, sarà presso la statua di Kalí. Forse sarà uno dei portatori.

      – Sono tutti Thugs di Suyodhana, quelli che circondano la dea?

      – Possono essere tali e questo sospetto mi è confermato da un’osservazione assai importante.

      – Quale?.

      – Che la maggior parte hanno il corpo coperto da una camicia, mentre come vedete, quasi tutti gli altri indiani sono semi-nudi e non prendono cura alcuna di nascondersi il petto.

      – Per non mostrare il tatuaggio, è vero?

      – Sí, signor Sandokan, e… Eccolo! È lui! Non m’ero ingannato.

      Il maharatto aveva stretto un braccio del pirata, mentre coll’altro indicava un vecchio che marciava dinanzi alla statua delle divinità, suonando uno strano istrumento formato da due zucche d’ineguale grossezza, troncate ad un quarto della mole e congiunte per mezzo d’un tubo di legno su cui erano tese delle corde: il bin degl’indiani.

      Sandokan e Yanez avevano frenato un grido di sorpresa.

      – È quell’uomo che è venuto a bordo del nostro praho, – disse il primo.

      – Ed è lo stesso che ha compiuto la cerimonia del putscie nella casa del mio padrone, – disse Kammamuri.

      – Sí è il manti! – esclamò Yanez.

      – Lo riconosci tu Sambigliong?

      – È proprio quel vecchio che ha scannato il capretto, – rispose il mastro della Marianna. – È impossibile ingannarsi.

      – Amici, – disse Sandokan, – giacché la sorte ce lo ha fatto ritrovare, non lasciamocelo sfuggire.

      – Non lo perderò di vista, capitano, – disse Sambigliong. – Lo seguirò, anche sulla brace se voi lo desiderate.

      – Gettiamoci in mezzo al corteo.

      Con una spinta irresistibile sfondarono le prime file degli spettatori e si mescolarono ai devoti di Kalí che circondavano la statua.

      Il manti non era che a pochi passi dinanzi a loro ed essendo egli di statura molto alta, era facile tenerlo d’occhio.

      La processione fece il giro dell’immenso braciere fra un frastuono assordante, poi si ammassò dinanzi alla pagoda, formando una specie di quadrilatero.

      Sandokan ed i suoi amici avevano approfittato della confusione per portarsi dietro al manti, il quale occupava la prima fila, accanto alla statua della dea Kalí che era stata deposta a terra.

      A un cenno del capo dei bramini che aveva la direzione della cerirnonia, le bajadere sospesero le loro danze, mentre i suonatori posavano i loro strumenti.

      Tosto una quarantina d’uomini mezzi nudi, per la maggior parte fakiri, che tenevano in mano dei ventagli di foglie di palma, si fecero innanzi avviandosi verso il braciere che, alimentato da centinaia d’altri ventagli maneggiati da robusti garzoni, fiammeggiava lanciando in aria dense volute di fumo soffocante.

      Quei fanatici che si apprestavano a subire la prova del fuoco per scontare i loro peccati piú o meno immaginari, non sembravano affatto spaventati dal pericolo che stavano per affrontare.

      Si fermarono un momento, invocando con urla selvagge la protezione di Darma-Ragia e della sua sposa, si stropicciarono la fronte colla cenere calda, poi si precipitarono sui carboni ardenti a piedi nudi, mentre i tam tam, i tamburi e gl’istrumenti a fiato riprendevano la loro musica infernale per coprire probabilmente le urla di dolore di quei disgraziati.

      Alcuni attraversarono lo strato ardente di corsa; altri invece a passo lento, senza dare prova alcuna di dolore. Eppure dovevano sentire i morsi atroci dei carboni, perché i loro piedi fumavano e per l’aria si espandeva un nauseante odore di carne bruciata.

      – Sono pazzi, costoro! – non aveva potuto trattenersi dall’esclamare Sandokan.

      Udendo quella voce, il manti che si trovava proprio dinanzi al pirata, si era rapidamente voltato.

      I suoi occhi si fissarono per la durata d’un lampo su Sandokan e sui suoi compagni, poi si volsero altrove senza che un grido o un gesto gli fosse sfuggito. Aveva riconosciuto i due comandanti del praho anche sotto le loro vesti di mussulmani indi e anche Kammamuri? Oppure si era voltato per pura combinazione?

      Sandokan però aveva notato quello sguardo penetrante, acuto come la punta

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