Le due tigri. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Le due tigri - Emilio Salgari страница 7
– Ma perché cacciare le tigri prima degli uomini?
– Per ingannare l’amico Suyodhana. I cacciatori non sono né cipayes né policeman, e se è vero che quelle jungle sono ricche di selvaggina, i Thugs non si allarmeranno della nostra presenza. Che cosa ne dici, Yanez?
– Che la fantasia della Tigre della Malesia è ben lungi dallo spegnersi.
– Abbiamo da lottare con un furbo, cerchiamo di essere piú furbi e piú abili di lui. Tu conosci quei pantani, Tremal-Naik?
– Tutte le isole e tutti i canali sono noti a me e a Kammamuri.
– Vi è un buon fondo dinanzi alle Sunderbunds?
– Vi sono dei bracci di mare anche, dove il tuo praho può trovare degli ottimi rifugi contro le onde e i venti.
– Dimmene uno.
– Quello di Raimatla, per esempio.
– Lontano dal covo dei Thugs?
– Una ventina di miglia.
– Benissimo, – disse Sandokan. – Oltre Kammamuri hai qualche servo fidato?
– Sí, anche due se ne vuoi.
Sandokan mise una mano nella tasca interna della sua giubba ed estrasse un grosso pacco di venti biglietti di banca.
– Incaricherai quel tuo fedele servo di provvederci due elefanti coi rispettivi conduttori senza lesinare sul prezzo.
– Ma… io… – chiese l’indiano.
– Tu sai che la Tigre della Malesia ha diamanti da vendere a tutti i rajah e i maharajah dell’India, – rispose Sandokan, sorridendo.
Poi aggiunse con profonda tristezza e con un sospiro:
– Non ho figli io e nemmeno Yanez. Che cosa dovrei farne delle immense ricchezze accumulate in quindici anni di scorrerie? Il destino è stato crudele con me, togliendomi Marianna.
Il formidabile pirata si era vivamente alzato. Un dolore intenso, indescrivibile, aveva scomposto i fieri lineamenti dell’antico scorridore dell’arcipelago malese. Fece due o tre volte il giro della stanza, con la fronte aggrottata, le labbra increspate, le mani strette sul cuore, e gli occhi fiammeggianti, fissi nel vuoto.
– Sandokan, fratellino mio, – gli disse Yanez con voce dolce, posandogli una mano sulla spalla.
Il pirata si era arrestato mentre un rauco singhiozzo gli moriva sulle labbra.
– Che non la possa dimenticare mai? – gridò con voce strozzata e asciugandosi, quasi con rabbia, due lagrime che si raccoglievano sotto le folte ciglia. – Mai! Mai! L’ho troppo amata la Perla di Labuan! Maledetto destino.
Tremal-Naik si era avvicinato alla Tigre della Malesia. Anche l’indiano piangeva senza cercare di frenare le lagrime.
I due uomini si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro e rimasero alcuni istanti stretti.
– Morta la tua donna e morta anche la mia, – disse l’indiano, il cui dolore non era meno intenso di quello della Tigre della Malesia.
Kammamuri, in un angolo, si asciugava gli occhi; anche Yanez sembrava profondamente commosso.
Ad un tratto la Tigre della Malesia si separò bruscamente da Tremal-Naik. Il suo viso poco prima cosí alterato, aveva la sua abituale espressione calma e ad un tempo energica.
– Quando avremo la certezza che Suyodhana si trova laggiú, – disse, – andremo nelle Sunderbunds. Puoi domani avere gli elefanti?
– Lo spero, – disse Tremal-Naik.
– Noi rimarremo qui fino a quando potremo avere nelle nostre mani qualche thug poi vedremo che cosa si dovrà fare. Quando verrai a bordo? Sei piú sicuro sul nostro praho che nel tuo palazzo.
– Domani sera, a ora tarda onde non mi spiino. Il mio palazzo è sorvegliato dai Thugs, lo so.
– T’aspettiamo. Yanez, torniamo a bordo. Sono già le due del mattino.
– Perché non vi riposate qui? – chiese Tremal-Naik.
– Per non destare alcun sospetto, – rispose Sandokan. – Vedendoci domani uscire, qualche spia potrebbe seguirci fino al praho e ciò non mi garberebbe.
Con questa oscurità anche se qualcuno tentasse di tenerci d’occhio, non vi riuscirebbe perché abbiamo la baleniera sul fiume e possiamo ingannarlo sulla nostra direzione. Addio, Tremal-Naik, domani avrai nostre nuove.
– Partiremo domani sera, dunque?
– E molto tardi, se potrai trovare gli elefanti. Prendi però delle precauzioni per non venire seguito.
– Saprò ingannare le spie. Vuoi che Kammamuri ti accompagni?
– È inutile, siamo armati e la gettata è vicina.
Si abbracciarono nuovamente, poi Sandokan e Yanez scesero lo scalone accompagnati da Kammamuri.
– State in guardia, – disse il maharatto mentre apriva la porta.
– Non temere, – rispose Sandokan. – Non siamo uomini da lasciarci sorprendere.
Appena fuori, i due comandanti del praho levarono le pistole che tenevano nascoste nella larga fascia e le armarono.
– Apriamo gli occhi, Yanez, – disse Sandokan.
– Li apro, fratellino mio, ma confesso che non ci vedo al di là della punta del mio naso. Mi pare di essere entro un’immensa botte di catrame. Che bella notte per una imboscata!
Si fermarono qualche istante in mezzo alla via, tendendo gli orecchi, poi, rassicurati dal profondo silenzio che regnava, si diressero verso la spianata di forte William.
Si tenevano però lontani dalle pareti delle case che fiancheggiavano la via, e mentre l’uno guardava a destra l’altro guardava a sinistra.
Ogni quindici o venti passi si fermavano per guardarsi alle spalle e per ascoltare. Erano convinti di essere seguiti da qualcuno, forse dall’uomo che Sandokan aveva veduto allontanarsi nel momento in cui Kammamuri stava aprendo la porta del palazzo.
Tuttavia giunsero felicemente all’estremità della via, senza che nulla fosse avvenuto e sboccarono sulla spianata dove l’oscurità era meno fitta.
– È là il fiume, – disse Sandokan.
– L’odo, – rispose Yanez.
Affrettarono il passo ma non erano ancora giunti a metà della spianata, quando ad un tratto caddero l’uno sull’altro.
– Ah! Canaglie! – gridò Sandokan. – Hanno teso un filo di ferro!
Nel medesimo istante alcuni uomini che si tenevano appiattati fra le folte erbe, si precipitarono sui due