Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari страница 17
– Anch’io.
– Ma su chi avete fatto fuoco?
– Sulla belva, ma è fuggita senza essere stata toccata.
– Gran Dio!… Perché esporre la vostra vita contro simile fiera?
– Per impedirvi di commettere l’imprudenza di pugnalarla col vostro kriss.
– Avete avuto torto, milady. Ma la fiera è ancora viva e il mio kriss è pronto a squarciarle il cuore.
– Nol farete! Siete coraggioso, lo so, lo leggo nei vostri occhi, siete forte, siete agile come una tigre, ma una lotta corpo a corpo colla belva potrebbe esservi fatale.
– Che importa! Io vorrei che mi causasse tali crudeli ferite, da averne per un anno intero.
– E perché mai? – chiese la giovanetta sorpresa.
– Milady – disse il pirata, avvicinandosi vieppiù. – Ma non sapete che il mio cuore scoppia, quando io penso che verrà il giorno in cui io dovrò lasciarvi per sempre e non rivedervi mai più? Se la tigre mi dilaniasse, almeno rimarrei ancora sotto il vostro tetto, godrei un’altra volta quelle dolci emozioni provate, quando vinto e ferito giacevo sul letto di dolore. Sarei felice, assai felice, se altre crudeli ferite mi costringessero a rimanere ancora presso di voi, a respirare la vostra medesima aria, a riudire ancora la vostra deliziosa voce, a inebriarmi ancora dei vostri sguardi, dei vostri sorrisi!
«Milady, voi mi avete stregato, io sento che lontano da voi non saprei vivere, non avrei più pace, sarei un infelice. Ma cosa avete fatto di me? Cosa avete fatto del mio cuore che un tempo era inaccessibile ad ogni passione? Guardate; al solo vedervi io fremo tutto e sento il sangue bruciarmi le vene.» Marianna, dinanzi a quell’appassionata ed improvvisa confessione, rimase muta, stupita, ma non ritirò le mani che il pirata le aveva prese e che stringeva con frenesia.
– Non irritatevi, milady – riprese la Tigre, con una voce che scendeva come una musica deliziosa nel cuore dell’orfana. – Non irritatevi se io vi confesso il mio amore, se vi dico che io, quantunque figlio d’una razza di colore, vi adoro come un dio, e che un giorno anche voi mi amerete. Non so, dal primo momento in cui mi appariste, io non ebbi più bene su questa terra, la mia testa si è smarrita, vi ho sempre qui, fissa nel mio pensiero giorno e notte. «Ascoltatemi, milady, tanto è potente l’amore che mi arde in petto, che per voi lotterei contro gli uomini tutti, contro il destino, contro Dio! Volete essere mia? Io farò di voi la regina di questi mari, la regina della Malesia! Ad una vostra parola, trecento uomini più feroci delle tigri, che non temono né piombo, né acciaio, sorgeranno e invaderanno gli stati del Borneo per darvi un trono. Dite tutto ciò che l’ambizione vi può suggerire e l’avrete. Ho tanto oro da comperare dieci città, ho navi, ho soldati, ho cannoni e sono potente, più potente di quello che possiate supporre.»
– Dio mio, ma chi siete voi? – chiese la giovanetta, stordita da quel turbinio di promesse e affascinata da quegli occhi che pareva mandassero fiamme.
– Chi sono io! – esclamò il pirata, mentre la sua fronte si ottenebrava. – Chi sono io!…
Egli si avvicinò sempre più alla giovane lady e, guardandola fissamente, le disse con voce cupa:
– Vi sono delle tenebre attorno a me che è meglio non squarciare, per ora. Sappiate che dietro queste tenebre vi è del terribile, del tremendo, e sappiate pure che io porto un nome che atterrisce tutte le popolazioni di questi mari non solo, ma che fa tremare il sultano del Borneo e perfino gli inglesi di quest’isola.
– E voi dite di amarmi, voi, così potente – mormorò la giovanetta con voce soffocata.
– Tanto che per voi mi sarebbe possibile ogni cosa; vi amo di quell’amore che fa compiere miracoli e delitti insieme.
«Mettetemi alla prova: parlate e io vi ubbidirò come uno schiavo, senza un lamento, senza un sospiro.
«Volete che diventi re per darvi un trono? Io lo diventerò. Volete che io, che vi amo alla pazzia, ritorni a quella terra dalla quale sono partito, io vi ritornerò, dovessi martirizzare il mio cuore per sempre; volete che io mi uccida dinanzi a voi, io mi ucciderò. Parlate, la mia testa si smarrisce, il sangue mi brucia, parlate, milady, parlate!…»
– Ebbene… amatemi – mormorò ella, che si sentiva vinta da tanto amore.
Il pirata gettò un grido, ma uno di quei gridi che di rado escono da una gola umana. Quasi nello stesso tempo echeggiarono due o tre colpi di fucile.
– La tigre – esclamò Marianna.
– È mia! – gridò Sandokan.
Cacciò gli sproni nel ventre del cavallo e partì come un fulmine, cogli occhi sfavillanti d’ardire e il kriss in pugno, seguito dalla giovanetta che si sentiva attratta verso quell’uomo, che giuocava così audacemente la propria esistenza, per mantenere una promessa.
Trecento passi più oltre, stavano i cacciatori. Dinanzi a loro, a piedi, si avanzava l’ufficialetto di marina col fucile puntato verso un gruppo di alberi. Sandokan si gettò d’arcioni, gridando:
– La tigre è mia!
Pareva una seconda tigre; spiccava salti di sedici piedi e ruggiva come una fiera.
– Principe! – gridò Marianna, che era discesa da cavallo.
Sandokan non udiva nessuno in quel momento, e continuava ad avanzarsi correndo.
L’ufficiale di marina che lo precedeva di dieci passi, udendolo avvicinarsi, puntò rapidamente il fucile e fece fuoco sulla tigre che si teneva ai piedi di un grosso albero, colle pupille contratte, i potenti artigli aperti, pronta a slanciarsi. Il fumo non si era ancora dissipato che la si vide attraversare lo spazio con impeto irresistibile e rovesciare l’imprudente e maldestro ufficiale. Stava per riprendere lo slancio per gettarsi sui cacciatori, ma Sandokan era lì. Impugnato solidamente il kriss si precipitò contro la belva, e prima che questa, sorpresa da tanta audacia, pensasse a difendersi, la rovesciava al suolo, serrandole la gola con tale forza da soffocarle i ruggiti.
– Guardami! – disse. – Anch’io sono una Tigre.
Poi, rapido come il pensiero, immerse la lama serpeggiante del suo kriss nel cuore della fiera, la quale si distese come fulminata.
Un urrah fragoroso accolse quella prodezza. Il pirata, uscito illeso da quella lotta, gettò uno sguardo sprezzante sull’ufficialetto che stava rialzandosi, poi, volgendosi verso la giovane lady, rimasta muta pel terrore e per l’angoscia, con un gesto di cui sarebbe andato altero un re, le disse:
– Milady, la pelle della tigre è vostra.
IL TRADIMENTO
Il pranzo, offerto da lord James agli invitati, fu uno dei più splendidi e dei più allegri che fossero stati dati fino allora nella villa.
La cucina inglese rappresentata da enormi beefsteaks e da colossali puddings, e la cucina malese rappresentata da schidionate di tucani, da ostriche gigantesche dette di Singapore, da teneri bambù, il cui sapore rammentava gli asparagi d’Europa e da una montagna di frutta squisite, furono da tutti gustate e lodate.
Non occorre dire che il tutto fu innaffiato da gran numero di bottiglie di vino, di gin, di brandy e di whisky, le quali servirono