Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari страница 14

Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari

Скачать книгу

e i denti si strinsero con maggior forza in un lungo stridio. Egli rimase alcuni minuti lì, immobile, cogli occhi fiammeggianti, il viso alterato, la fronte imperlata di sudore, le mani cacciate entro i folti e lunghi capelli, poi quelle labbra che non volevano aprirsi lasciarono un varco dal quale uscì ratto un nome:

      – Marianna!

      Poi il pirata non si frenò più.

      – Ah! – esclamò egli, quasi con rabbia e torcendosi le mani. – Sento che io divento pazzo… che io… l’amo!…

      GUARIGIONE ED AMORE

      Lady Marianna Guillonk era nata sotto il bel cielo d’Italia, sulle rive dello splendido golfo di Napoli, da madre italiana e da padre inglese. Rimasta orfana a undici anni ed erede di una cospicua sostanza, era stata raccolta da suo zio James, l’unico parente che allora si trovasse in Europa.

      In quei tempi James Guillonk era uno dei più intrepidi lupi di mare dei due mondi, proprietario di una nave armata ed equipaggiata da guerra, onde cooperare con James Brooke, diventato più tardi rajah di Sarawack, all’esterminio dei pirati malesi, terribili nemici del commercio inglese in quei lontani mari. Quantunque lord James, ruvido come tutti i marinai, incapace di nutrire un’affezione qualsiasi, non provasse tenerezze soverchie per la giovane nipote, piuttosto di affidarla a mani straniere, l’aveva imbarcata sul proprio legno conducendola al Borneo ed esponendola ai gravi pericoli di quelle dure crociere. Per tre anni la ragazzina era stata testimone di quelle sanguinose battaglie, nelle quali perivano migliaia di pirati e che diedero al futuro rajah Brooke quella triste celebrità che commosse profondamente e indegnò i suoi stessi compatrioti.

      Un giorno però lord James, stanco di carneficine e di pericoli, forse ricordandosi di avere una nipote, aveva abbandonato il mare e si era stabilito a Labuan, seppellendosi sotto i grandi boschi del centro.

      Lady Marianna, che toccava allora il quattordicesimo anno, e che in quella vita perigliosa aveva acquistata un fierezza ed energia unica, quantunque sembrasse un’esile bambina, aveva cercato di ribellarsi ai voleri dello zio, credendo di non potersi abituare a quell’isolamento e a quella vita quasi selvaggia, ma il lupo di mare, che pareva non nutrisse molta affezione per lei, era rimasto inflessibile.

      Costretta a subire quella strana prigionia, si era interamente data a completare la propria educazione, che fino allora non aveva avuto tempo di curare. Dotata di una tenace volontà, a poco a poco aveva modificato gl’impeti feroci, contratti in quelle aspre e sanguinose battaglie, e quella ruvidità contratta nel continuo contatto colla gente di mare. Era così diventata una appassionata cultrice della musica, dei fiori, delle arti belle, mercé le istruzioni di un’antica confidente di sua madre, spenta più tardi dall’ardente clima tropicale. Col progredire dell’educazione, pur conservando in fondo all’anima qualche cosa dell’antica fierezza, era diventata buona, generosa, caritatevole.

      Non aveva abbandonata la passione per le armi e gli esercizi violenti, e ben spesso, indomita amazzone, percorreva i grandi boschi, inseguendo perfino le tigri, o pari ad una najade si tuffava intrepidamente nelle azzurre onde del mar Malese; ma più sovente si trovava là ove la miseria o la sventura infieriva, recando soccorsi a tutti gli indigeni dei dintorni, a quegli indigeni che lord James odiava a morte, come discendenti di antichi pirati.

      E così quella fanciulla, colla sua intrepidezza e la sua bontà e per la sua bellezza, si era meritata quel soprannome di «Perla di Labuan», soprannome volato così lontano e che aveva fatto battere il cuore della formidabile Tigre della Malesia. Ma sotto quei boschi, quasi lontana da ogni creatura civile, la bambina, diventata ragazza, non si era mai accorta di essere donna; ma quando ebbe veduto quel fiero pirata, senza sapere il perché, ella aveva provato uno strano turbamento. Cos’era? Ella lo ignorava, ma si vedeva sempre dinanzi agli occhi, e alla notte le appariva in sogno, quell’uomo dalla figura così fiera, che aveva la nobiltà di un sultano e che possedeva la galanteria d’un cavaliere europeo, quell’uomo dagli occhi scintillanti, dai lunghi capelli neri e quel viso su cui leggevasi a chiare parole un coraggio più che indomito e un’energia più unica che rara. Dopo d’averlo affascinato coi suoi occhi, colla sua voce, colla sua bellezza, era rimasta a sua volta affascinata e vinta.

      Aveva dapprima cercato di reagire contro quel battito del cuore, che per lei era nuovo, come era nuovo per Sandokan, ma invano. Sentiva sempre che una forza irresistibile la spingeva a rivedere quell’uomo e che non ritrovava la calma di prima che presso di lui; si sentiva solamente felice quando si trovava al letto di lui e quando gli leniva gli acuti dolori della ferita col suo chiacchierìo, coi suoi sorrisi, colla sua impareggiabile voce e colla sua mandola. E bisognava vederlo in quei momenti, Sandokan, quando ella cantava le dolci canzoni del lontano paese natìo, accompagnandole coi delicati suoni del melodioso istrumento.

      Allora non era più la Tigre della Malesia, non era più il sanguinario pirata. Muto, anelante, madido di sudore, rattenendo il respiro, per non turbare coll’alito quella voce argentina e melodiosa, ascoltava come un uomo che sogna, come se avesse voluto imprimersi nella mente quella lingua sconosciuta che lo inebriava, che gli soffocava le torture della ferita, e quando la voce, dopo aver vibrato un’ultima volta, moriva coll’ultima nota della mandola, lo si vedeva rimanere a lungo in quella posa, colle braccia tese come se volesse attirare a sé la fanciulla, collo sguardo fiammeggiante fisso in quello umido di lei, col cuore sospeso e gli orecchie tesi come se ascoltasse ancora.

      In quei momenti egli non si ricordava più di essere la Tigre, dimenticava la sua Mompracem, i suoi prahos, i suoi tigrotti e il portoghese, che forse in quell’ora, credendolo per sempre spento, vendicava la sua morte chissà con quali sanguinose rappresaglie.

      I giorni così volavano rapidi e la guarigione, potentemente aiutata dalla passione che gli divorava il sangue, procedeva rapida.

      Nel pomeriggio del quindicesimo giorno il lord, entrato improvvisamente, trovò il pirata in piedi, pronto ad uscire.

      – Oh! mio degno amico! – esclamò allegramente. – Sono ben contento di vedervi in piedi!

      – Non mi era più possibile rimanere a letto, milord – rispose Sandokan. – D’altronde mi sento tanto forte da lottare con una tigre.

      – Benissimo, allora vi metterò presto alla prova!

      – In qual modo?

      – Ho invitato alcuni buoni amici alla caccia d’una tigre che viene sovente a ronzare presso le mura del mio parco. Giacché vi vedo guarito, stasera andrò ad avvertirli che domani mattina cacciamo la belva.

      – Sarò della partita, milord.

      – Lo credo, ma ditemi ora, spero che rimarrete qualche tempo mio ospite.

      – Milord, gravi affari mi chiamano altrove e bisogna che mi affretti a lasciarvi.

      – Lasciarmi! Non pensatelo, per gli affari vi è sempre tempo e vi avverto che io non vi lascerò partire prima di qualche mese; orsù promettetemi di restare.

      Sandokan lo guardò con due occhi che mandavano lampi. Per lui, rimanere in quella villa, presso la giovanetta che lo aveva affascinato, era la vita, era tutto. Non chiedeva di più per il momento.

      Che importava a lui che i pirati di Mompracem lo piangessero come morto, quando poteva rivedere per molti giorni ancora quella divina fanciulla? Che importava a lui del suo fedele Yanez, che forse lo cercava ansiosamente sulle sponde dell’isola, giuocando la propria esistenza, quando Marianna cominciava ad amarlo? E che importava a lui se non udiva più il tuonare delle fumanti artiglierie, quando poteva ancora udire la voce deliziosa della donna amata, o provare le terribili emozioni delle battaglie, quando lei gli faceva provare delle emozioni più sublimi? E che importava infine a lui

Скачать книгу