I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 2 - Barrili Anton Giulio

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voce pubblica, aveva finito col credersi il più gran scioperato del mondo. Nè va dimenticato il Savioli, egregio dilettante di musica, che usciva qualche volta colla chitarra ad armacollo; nè il Lorenzini, il più grave dei matti, che Firenze dapprima e poi Roma ha rapito all'aria libera di Genova, per chiuderlo nella cella penitenziaria di un ministero. Peripezie della vita!

      «__J'en passe et des meilleurs__» diremo con Ruy Gomez de Silva. Questi, ed altri che non nominiamo per non esercitare la pazienza dei nostri lettori, se ne stavano seduti a desco, incominciando allegramente la cena, intorno ad un maiuscolo piatto d'ostriche: le quali, lasciato il ruvido guscio nei tondi, andavano ad affogare in que' tredici stomachi sotto una pioggia di vin bianco delle Cinque Terre, che non teme confronto di Capri, nè di Sauterne.

      – Lorenzini! – gridò il Savioli, che, sporto il braccio sulla tavola per metter mano al piatto, se lo vedeva portar via da quell'altro: – Tu inghiottisci più ostriche colle tue mascelle, che Sansone non uccidesse Filistei…

      – Colla tua! – proseguì il Lorenzini, tra le risa dell'assemblea; e frattanto si trasse nel tondo un'altra dozzina di gusci pieni.

      Tra Templarii la celia era permessa, anco se andasse un poco fuori di riga. Il Giuliani aveva messo fuori questa legge, che dopo le undici di sera non fosse più lecito aversela a male per cosa alcuna che altri dicesse. Però il Savioli si lasciò dare tranquillamente dell'asino, e tirò innanzi.

      – Colla mia, o colla tua; fatto sta che ti piacciono maledettamente, le ostriche, e le mandi giù senza misericordia… per noi…

      – L'ostrica, – sentenziò il Lorenzini, in quella che ne alzava una all'altezza delle labbra, – è la regina dei molluschi, ed io, quantunque acefala, non dubito di proclamarla superiore all'uomo.

      – E alla donna per conseguenza; – notò l'avvocato Emanuel.

      – Oh, questo poi, no!

      – Sentiamo quest'altra! – disse capitan Dodero. – Il Lorenzini ha ancora più paradossi in corpo, che ostriche.

      – La donna, – proseguì il Lorenzini, col suo piglio cattedratico, – è una cosa…

      – Una cosa! – sclamò, interrompendolo, in atto di maraviglia, il Savioli.

      – Una cosa, sicuro, una cosa che non patisce confronti, nemmeno col sole e coll'altre stelle, perchè essa è la cosa più divina dell'universo. E te lo provo, come due e due fanno otto.

      – «__Io ti dimostrerò con belle prove__» – canticchiò Marcello Contini, dall'altro capo della tavola, – «__Che la terra si bagna allor che piove__.»

      – Chètati, Orfeo! – gridò il Lorenzini. – Io dico e sostengo, anche se m'aveste a pigliare per un poeta, che la donna è cosa tutta divina, o poco meno. Ne ho veduta una, quest'oggi, in via Luccoli, per la quale darei, Dio mi perdoni, tutte le ostriche che sono ancora nel piatto.

      – Bello sforzo! – esclamò il Giuliani. – Ce n'hai lasciate sette.

      – Anzi, mi piglio anche queste, e proseguo. Credete alla Sacra Scrittura?

      – Siamo gente battezzata! – rispose per tutti il gran maestro Dodero.

      – Orbene, narra la Sacra Scrittura che Iddio in principio creò il cielo e la terra…

      – __Avocat, passez le déluge!__

      – Non posso, Giuliani; non posso uscire dalla Genesi.

      – Tanto meglio, poichè, in tal caso, avrete posto mente che Iddio creò la terra, ogni specie d'animali, e l'uomo medesimo, colla grossa materia, contentandosi, per quest'ultimo, di soffiargli addosso.

      – Sta bene; e che cos'è la donna, se non carne della sua carne?

      – Adagio Biagio! L'ha detto Adamo, e per dire una corbelleria di quella fatta, poteva fare a meno di svegliarsi. Osso delle sue ossa, meno male, ed anche per una centesima parte.

      – Tu stesso lo ammetti; – disse di rimando il Savioli; – la donna è fatta d'una costa dell'uomo.

      – Bravissimo, d'una costa. Tu ti danni colle tue ragioni; ti aguzzi il palo sulle ginocchia. Notate bene, o signori; è fatta di una costa, carne od osso che sia, cioè a dire materia già ridotta e trasformata dalla volontà del Creatore. Sappiamo dunque che ella non viene direttamente dalla mota, come l'uomo, suo indegno vicino. Ora, poi, come potrebbe una costa pigliar statura e forma di donna, senza l'aiuto di un nuovo elemento?

      – E l'aria? – dimandò il Savioli.

      – Ah, tu credi, – proseguì il Lorenzini, – che sia stata gonfiata d'aria, come le bottiglie, o come i palloncini?

      – E perchè no?

      – Infatti, – disse il Contini, tornando a cantare.

      La donna è mobile

      Qual piuma al vento…

      – Sta zitto… Piave! e poni mente anche tu alle mie parole. La donna non ci ha di umano altro che la quantità di una costa, cioè a dire venti o venticinque grammi; il resto, cinquanta o sessanta chilogrammi, è tutto soffio di Dio. Io lo vedo, il Creatore, – proseguì con ardita ipotipòsi il Lorenzini, – soffiare sopra una mota di fango per far l'uomo, ma soffiar dentro a una costa per foggiarne la donna; l'unica cosa creata che contenga, checchè ne dicano i chimici, maggior parte di Dio. —

      La chiusa del Lorenzini fu accolta dalla brigata con una salva di applausi.

      – Peccato non ci siano donne ad udirti! – esclamò il giornalista Giuliani.

      – Non siamo Templarii per nulla! – notò il Savioli. – Le donne se ne stiano da banda. Dov'è la donna, non c'è più libertà di parola; sottentra la cerimonia, o la passione; quella mette il bavaglio alla verità, questa soffoca il raziocinio. Ho detto – proseguì con burlesca gravità l'oratore – e non patisco osservazioni, perchè questa è la mia opinione.

      – Sia bene o male – entrò a dire Mauro Dodero – poichè non ci sono donne tra noi, farò una variante alla storia del Lorenzini.

      – Ne muta il senso? – dimandò questi.

      – Press'a poco.

      – Mi riserbo la facoltà di combatterla.

      – Anzitutto, sentiamola; – disse il Savioli. – Capitano, hai la parola.

      – Grazie tante; – soggiunse capitan Dodero; – ecco la variante. Il Signore aveva tolta la costa all'uomo. Fin qui la è storia conosciuta…

      – Sicuramente; – interruppe il Giuliani; – «__immisit ergo Dominus Deus soporem in Adam: cumque obdormisset, tulit unam de costis eius, et replevit carnem pro ea__.»

      – Tutto benissimo, salvo l'ultima frase! – ripigliò a dire capitan Dodero. – Il Signore aveva tolta la costa di Adamo ed era lì per farle quell'uffizio che ci raccontò il Lorenzini, allorquando fu veduto dalla volpe, che passava a caso da quella parte dell'Eden. Voi sapete meglio di me che gli animali erano già creati, quel giorno, e ciascheduno secondo la specie sua.

      – Verissimo! – tornò

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