I rossi e i neri, vol. 2. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 2 - Barrili Anton Giulio

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finirla. Giuliani, col tuo latino? – gridò Marcello Contini.

      – Non mio, ma di san Gerolamo; del resto, ho finito.

      – Meno male; ora, continua tu, Dodero, che parli in genovese, come Iddio comanda.

      – E come difatti parlavano Adamo ed Eva, poichè la genovese è la prima lingua del mondo; – disse gravemente Mauro Dodero, pettinandosi la barba colle dita, come era suo costume. – Ora torno al racconto. La volpe adocchiò la costoletta, e, spiccato un salto, vi pose il dente, come se fosse roba sua, e il Signore non l'avesse tolta all'uomo se non per farne un presente a lei. Fu per tal guisa, come vedete, la prima costoletta mangiata a questo mondo.

      – E allora? – dimandò il Lorenzini.

      – Allora avvenne che messer Domineddio, volendo riavere la costoletta, sporse la mano per afferrare la volpe; ma siccome la volpe fuggiva, egli non fece in tempo a pigliarla pel collo, e non agguantò altro di lei che la coda. E qui, tira lui per un verso, tira quella per l'altro, accadde che al Signore rimase la coda in mano, e la volpe sguizzò lontana da lui, portandosi la sua preda tra' denti.

      – E allora? io torno a dimandartelo, e allora?

      – Allora, messer Domineddio, rimasto con quel negozio in mano, sorrise, e poichè di riavere il fatto suo non c'era neanche a pensare, fece in tal guisa i suoi conti: – «Abbiamo già tolta all'uomo una costa, e a levargliene un'altra gli si potrebbe recar troppo danno. Ora, poichè non possiamo fare la donna ad immagine dell'uomo, facciamola ad immagine della volpe». Detto, fatto; il Signore accostò la coda della volpe alle labbra, soffiò, fece la donna…

      – __Et vidit Deus quod esset bonum;__ – soggiunse l'impenitente latinista Giuliani.

      – Questo non so; – proseguì capitan Dodero, – la variante non lo dice. Questo so bene che essa ci chiarisce come e perchè la donna nascesse molto più astuta dell'uomo, e come il serpente trovasse il terreno già preparato, quando le entrò del negozio del pomo.

      – È grossa, capitano, è grossa! – esclamò l'avvocato Emanuel.

      – Che volete, amici? Non l'ho mica inventata io. Ve la racconteranno tutti i contadini di Quinto, dai quali l'ho raccolta, e che forse l'avranno avuta dal parroco.

      – Fortuna per te, che non ci siano donne ad udirti! – gridò il Lorenzini, copiando a suo modo una frase del Giuliani.

      – Che! in fondo in fondo, possiamo esser d'accordo, poichè tutt'e due ammettiamo il soffio di Dio. Quanto alle donne, esse potrebbero risponderci che tra una coda di volpe e una costa d'uomo non c'è poi quella gran differenza, da doversene dar briga.

      – L'uomo è un brutto animale; non l'ho sempre detto io? – gridò il giornalista.

      – Parla per te, Giuliani! – disse di rimando il Contini.

      – Ah sì, scusate, dimenticavo… l'Apollo del Belvedere, – prosegui il Giuliani ridendo. – Ma, in fede mia, non avete notato voi altri che nella specie umana occorre tutto il contrario delle bestie? Tra esse, nessuna eccettuata, il maschio è più bello della femmina; uccello, ha più varietà di colori nelle penne, ciuffo e coda più appariscenti; leone, ha più criniera; tigre, ha più chiazze sul mantello, e va dicendo. Solo nella nostra specie avviene che la femmina è più bella, più graziosa ne' suoi contorni, più bianca nella sua carnagione, più elegante nelle sue movenze, più gradevole insomma a vedersi…

      – E a toccarsi; – aggiunse il Contini.

      – Sicuro, a toccarsi; e qui, parlo proprio per me! – conchiuse il Giuliani, tra le risa dell'uditorio.

      Il Contini si disponeva a rispondere; ma in quel mentre capitan Dodero, che era seduto in capo alla tavola, colla faccia rivolta all'entrata, alzò la mano, in atto di trinciare una benedizione.

      – Ah, ecco un renitente! – gridò l'avvocato Emanuel, volgendo gli occhi all'uscio.

      – Il figliuol prodigo! – soggiunse il Lorenzini. – Ammazziamo il vitello grasso.

      – Sul tardi mordono i mùggini! – disse il Giuliani, ripetendo un noto proverbio genovese, tolto a prestanza dai pescatori.

      – Vieni, – cantò Marcello Contini,

      Vieni all'amplesso estremo

      D'un genitor cadente;

      Il giudice supremo

      Ti mandi…

      – Uno stuzzicadente! – interruppe l'Assereto, che era egli appunto il nuovo venuto, accolto con tanta gazzarra, dai radunati. – Il verso cresce, ma tu cali di mezzo tono, e i conti si pareggiano.

      – Hai detto la verità, Assereto! – disse il Savioli. – Per te non c'è più altro in tavola. Chi tardi arriva male alloggia.

      – Non ho appetito, io! Sono venuto per salutarvi e ragionare di cose gravi… se si può. —

      IX

      Dove si chiarisce la bontà del metodo induttivo.

      – Se si può! – ripetè capitan Dodero. – Si può sempre, purchè se n'abbia voglia.

      – Anzitutto, bevi! – soggiunse il Contini, mescendogli nel suo bicchiere.

      – Le tue bellezze; grazie! – rispose l'Assereto, accostando il bicchiere alle labbra.

      – E raccontaci che cos'è avvenuto di te, – entrò a dire il Lorenzini, – che non t'abbiamo più visto da due giorni.

      – Lo saprete insieme colle cose gravi per le quali sono venuto stanotte.

      – Ah, gli è vero: parliamone dunque, e subito.

      – __Paulo majora canamus!__ – disse il Giuliani. – Eccoci ad ascoltarti. —

      Ed egli, e gli altri tutti, si raccolsero nel più profondo silenzio per udire le cose gravi dell'amico Assereto. Questi non entrò subito in materia, e, fosse per meglio disporre gli animi a prestargli attenzione, o fosse per non dipartirsi da certe loro consuetudini di conversazione, si trattenne in quella vece a fare alcune dimande, in maniera d'esordio.

      – Amici, – diss'egli gravemente, – siamo Templarii?

      – Siamo! – risposero parecchi ad una voce.

      – E da senno, s'intende, non già per modo di celia?

      – Da senno.

      – Deliberati, – proseguì l'Assereto, – ad operar di concerto, ogni qualvolta uno di noi abbia bisogno degli altri? Pronti a soccorrere i deboli contro i prepotenti, a sventare i maneggi degli imbroglioni, a romper le trame dei tristi, quando tornino a danno di noi, o degli amici nostri?

      – Perdio! e lo dimandi? – gridò il Lorenzini. – Pronti deliberati, col senno e colla mano, in ogni caso, in ogni occorrenza.

      – Orbene, qui abbiamo un caso, per l'appunto: il caso di una fanciulla che è sparita da casa sua, non si sa come, ma certo per opera di furfanti matricolati, e assai potenti per giunta, poichè i signori di palazzo Ducale

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