Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13 - Edward Gibbon

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ci dimostrano queste in Uniade un Generale che espertissimo potesse dirsi. Il Cavalier Bianco mostrò nell'armi più valor di braccio che di mente, e combattè qual Capo di una banda di Barbari indisciplinati, che assalgono senza timore, nè poi si vergognano di fuggire. La vita militare di Uniade offre una romanzesca vicenda di vittorie e disastri. I Turchi che del nome di lui si valeano per far paura agl'indocili fanciulli, lo chiamavano corrottamente jancus laïn, o il maladetto; odio che dava a divedere quanto lo apprezzassero. Non riuscì mai loro di penetrare nel Regno finchè Uniade lo difese; e allorquando speravano vedere inevitabilmente perduti e lui e la sua patria, Uniade apparve formidabile più di prima. Anzichè limitarsi ad una guerra di difesa, quattro anni dopo la rotta di Warna, ei si spinse una seconda volta nel cuore della Bulgaria, resistendo fino al terzo giorno agli sforzi d'un esercito ottomano quadruplo di quello che egli comandava. Abbandonato da' suoi, questo Eroe fuggiva solo per mezzo ai boschi della Valachia, allorquando il fermarono due masnadieri. Ma intantochè coloro si disputavano una catena d'oro che gli pendeva dal collo, ei riprese la spada uccidendo un d'essi, fugando l'altro. Dopo avere esposta a nuovi cimenti la vita e la libertà, riconfortò finalmente colla sua presenza un popolo afflitto. Belgrado difesa contra tutte le forze ottomane comandate da Maometto II (A. D. 1456), fu l'ultima impresa e la più gloriosa della sua vita. Durò quaranta giorni quell'assedio, e i Turchi erano pervenuti fino alla città, quando Uniade li costrinse a ritirarsi, onde le nazioni giubilanti confusero i nomi di Uniade e di Belgrado, intitolandoli i baloardi della Cristianità37. Ma questa famosa liberazione venne seguìta circa un mese dopo, dalla morte di quello che la operò; e può riguardarsi come luminosissimo epitafio di Uniade il rincrescimento espresso dal Sultano Maometto, perchè questa morte gli togliea la speranza di vendicarsi del solo nemico che lo avea vinto. Appena rimase vacante il trono dell'Ungheria, grato quel popolo alla memoria del suo benefattore, coronò il figlio di lui, Mattia Corvino, in età allora di diciotto anni. Ebbe questi un lungo e prospero regno, ed aspirò alla gloria di Santo e di conquistatore; ma il merito che più certa gloria gli partorì si fu l'incoraggiamento dato alle scienze, onde la stessa fama di Uniade ha dovuto il suo più grande splendore all'eloquenza degli Oratori e degli Storici latini, che il figlio di lui chiamò dall'Italia38.

      A. D. 1404-1413

      Nel catalogo degli Eroi sogliono d'ordinario vedersi uniti i nomi di Giovanni Uniade e di Scanderbeg39; e veramente sono meritevoli della contemporanea nostra attenzione, per avere entrambi date tai brighe all'Impero ottomano, che può dirsi essere stata differita per essi la rovina del greco Impero. Giovanni Castriotto, padre di Scanderbeg, Sovrano ereditario40 di una piccola Signoria dell'Epiro, o della Albania, posta fra le montagne e il mare Adriatico, vedendosi troppo debole per resistere al poter del Sultano, comperò la pace col sottomettersi alla sgradevole condizione di tributario. Diede per ostaggi, o mallevadori, i suoi quattro figli, che vennero circoncisi, educati nell'Islamismo, nella politica e nelle discipline de' Turchi41. I tre figli maggiori rimasti confusi tra la folla degli schiavi, perirono, dicesi, di veleno; ma la Storia non somministra prove che ci mettano in istato di ricusare, o ammettere una siffatta imputazione; sembra per altro improbabile per chi faccia attenzione alle cure e alle sollecitudini colle quali venne allevato Giorgio Castriotto, il quartogenito dei giovani Principi albanesi, che diede a divedere fin dalla più verde età il vigore e l'intrepido animo di un soldato. Tre vittorie successive da lui riportate sopra un Tartaro e due Persiani che aveano sfidati i guerrieri della Corte ottomana, gli meritarono il favore di Amurat, e il nome turco di Scanderbeg, Iskender Beg, ossia Alessandro Signore, attesta ad un tempo la gloria e la servitù del giovine Castriotto. Benchè il Principato del padre suo venisse ridotto in turca provincia, gli furono conceduti in ricompensa il titolo e il grado di Sangiacco, il comando di cinquemila uomini a cavallo, e tale condizione che prometteagli le prime Dignità dello Impero. Militò con onore nelle guerre dell'Europa e dell'Asia; nè possiamo starci dal sorridere sullo artifizio, o la credulità dello Storico, che pretende avere Scanderbeg, in tutti gli scontri, risparmiati i Cristiani, scagliandosi poi a guisa di folgore sopra tutti que' nemici che professavano la religione maomettana. – La gloria di Uniade è scevra di taccia; combattè questi per la sua patria e per la sua religione; e gli stessi nemici, che dovettero lodare i meriti del valoroso Ungarese, non risparmiarono al rivale di Uniade gli epiteti ignominiosi di traditore e di apostata. Agli occhi de' Cristiani la ribellione di Scanderbeg trova scusa ne' torti che il padre di lui aveva ricevuti, nella morte, sospetta, de' tre fratelli, nella schiavitù della patria e persino nell'invilimento cui si volea farlo soggiacere. Questi ammirano lo zelo generoso, benchè venuto tardi, con cui Scanderbeg difese la Fede e la independenza de' suoi antenati; ma, dall'età di nove anni, questo guerriero professava la dottrina del Corano, nè conoscea l'Evangelio. L'autorità e la consuetudine decidono della religion di un soldato, e ci sarebbe assai difficile lo spiegare come una nuove luce sopravvenisse a rischiararlo in età di quarant'anni42. Men sospetti d'interesse, o di vendetta, ci parrebbero i motivi che guidarono l'Albanese, se avesse infrante le catene nei primi istanti che ne sentì il peso; ma una sì lunga dimenticanza de' suoi diritti, gli avea non v'ha dubbio scemati; ed ogni anno di sommessione e di ricevuti premj, afforzava i mutui vincoli che univano insieme il Sultano ed il suddito. Se Scanderbeg, convertito alla Fede cristiana, meditava da lungo tempo il disegno di ribellarsi contra il proprio benefattore, qual'anima timorata potrà lodare una vile dissimulazione di cui si valeva per meglio tradire le promesse, che erano altrettanti spergiuri, e strumenti operosi alla rovina temporale e spirituale di tante migliaia d'uomini cui si protestava fratello? Scuseremo noi la corrispondenza segreta che, comandando l'antiguardo ottomano, egli mantenea con Uniade? O l'avere abbandonati gli stendardi, e tolta per tradimento la vittoria di mano al suo protettore? In mezzo alla confusione prodotta da una sconfitta, Scanderbeg seguì cogli occhi il Reis Effendi, o Segretario principale, e raggiuntolo, gli presentò un pugnale al petto costringendolo a scrivergli un firmano o chirografo di Governatore dell'Albania; indi temendo nocevole ai suoi disegni una troppo pronta scoperta, fece trucidare con tutto il seguito l'innocente complice del suo inganno. Traendosi dietro alcuni venturieri istrutti di questo disegno, si trasportò in fretta e col favore delle tenebre dal campo della battaglia ai suoi paterni dirupi. Alla vista del Firmano, Croia gli aperse le porte; e appena si vide padrone della Fortezza, svestì la maschera della dissimulazione, e abbiurata pubblicamente la Fede al Profeta e l'obbedienza al Sultano de' Turchi, si chiarì vendicatore della propria famiglia e del proprio paese. I nomi di religione e di libertà suscitarono una generale sommossa; la guerriera stirpe degli Albanesi giurò unanimemente di vivere e di morire col suo principe ereditario, nè alle guernigioni ottomane rimase altra scelta che del battesimo o del martirio. Convocatisi gli Stati dell'Epiro, Scanderbeg fu eletto condottiero della guerra contro i Turchi, obbligandosi tutti i confederati a somministrare il loro contingente in combattenti e soldati. Queste contribuzioni, le entrate de' suoi dominj, e le ricche saline di Selina, procurarono a Scanderbeg un'annuale rendita di dugentomila ducati43, che egli, non distraendone alcuna parte ne' bisogni di lusso, per intero impiegò al pubblico servigio. Affabile ne' modi, nella disciplina severo, bandì dal suo campo tutti i vizj che avrebbero ammollito il coraggio de' suoi, e col dar esempio di pazienza, mantenne la sua autorità. Da esso condotti gli Albanesi, si credettero invincibili, e tali ai nemici sembrarono. Tratti dallo splendor di sua fama, i più prodi venturieri francesi e alemanni corsero sotto le sue bandiere, e vi furono ben accolti. Le sue truppe ordinarie sommavano ad ottomila uomini a cavallo e a settemila fanti: piccoli i cavalli, solerti i guerrieri; fu abilissimo nel calcolare i rischi e i vantaggi che le sue montagne offerivano; accese torcie additavano i siti pericolosi; tutta la nazione veniva distribuita ne' posti inaccessibili. Con queste impari forze, Scanderbeg resistè per ventitre anni a tutta la possanza dell'Impero ottomano, e due conquistatori, Amurat II, e il figlio di Amurat, più grandi del padre, trovarono sempre mala fortuna contro un ribelle che perseguivano con simulato disprezzo e con astio implacabile. Amurat, entrato nell'Albania a capo di sessantamila uomini a cavallo e di quarantamila giannizzeri, potè, non v'ha dubbio, devastar le campagne, occupare le città aperte, trasformare le chiese in moschee, circoncidere i giovanetti cristiani,

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<p>37</p>

V. Bonfinio (Déc. III, l. VII, p. 492), e Spondano (A. D. 1457, n. 17). Uniade ebbe comune la gloria di difendere Belgrado con Capistrano, Frate dell'Ordine di S. Francesco; ma ne' lor racconti nè il Santo, nè l'Eroe si degnano far menzione l'uno dell'altro.

<p>38</p>

V. Bonfinio (Déc. III, l. VIII, Déc. IV, l. VIII). Ridondano di sana critica le singolari osservazioni che ha fatte lo Spondano sul carattere e sulla vita di Mattia Corvino (A. D. 1464, n. 1; 1475, n. 6; 1476, n. 14-16; 1490, n. 4, 5). La prima ambizione di questo Principe era volta a meritarsi l'ammirazione degl'Italiani. Pietro Ranzani, Siciliano, ne ha celebrate le imprese nell'Epitome rerum hungaricarum. (p. 322-412). Galesto Marzio di Narni ha raccolte tutte le arguzie e le sentenze di Mattia Corvino (p. 528-568); e abbiamo inoltre una relazione particolare sul suo matrimonio e sulla cerimonia della sua incoronazione. Queste tre Opere trovansi unite nel primo volume Scriptores rerum hungaricarum del Bell.

<p>39</p>

Ser Guglielmo Temple nel suo pregevole Saggio sulle virtù eroiche (vol. III, p. 385 delle sue Opere) collegò Uniade e Scanderbeg ai sette uomini che ad avviso di lui meritarono, senza averla cinta, una Corona; Belisario, Narsete, Gonzalvo di Cordova, Guglielmo I, Principe d'Orange, Alessandro, Duca di Parma, Giovanni Uniade e Giorgio Castriotto, o Scanderbeg.

<p>40</p>

Bramerei trovare alcuni Comentarj semplici ed autentici scritti da un amico di Scanderbeg, ove mi venissero dipinti a dovere il luogo, l'uomo ed i tempi. La vecchia Storia nazionale di Marino Barletti, prete di Scodra (De vita, moribus et rebus gestis Georgii Castrioti, ec., lib. XIII, p. 367, Strab. 1537, in fol. ), non cel dà a divedere che avvolto in bizzarri panni e carico di menzogneri ornamenti. V. Calcocondila, l. VII, p. 185; l. VIII, p. 229.

<p>41</p>

Marino tratteggia appena e con ripugnanza tutto quanto si riferisce alla educazione e alla circoncisione di Scanderbeg (l. I, p. 6-7).

<p>42</p>

Se Scanderbeg morì nel 1466, compiendo il sessantesimoterzo anno della sua età (Marino, l. XIII, p. 270 ), ne deriva che nacque nel 1403. Se in età di nove anni, novennis (Mar. l. I, pag. 1-6), fu dai Turchi rapito ai genitori, sarà ciò accaduto nel 1412, vale a dire nove anni prima che Amurat II salisse il soglio: questo Principe ereditò dunque, non comprò egli lo schiavo albanese. Spondano ha osservata questa contraddizione (A. D. 1341, n. 31; A. D. 1443, n. 14).

<p>43</p>

Per buona sorte Marino ci ha istrutti delle rendite di Scanderbeg (l. II, p. 44).