Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12 - Edward Gibbon

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n. 134) vuole intendersi d'uomini in istato di portar l'armi. Il Le Beau (Hist. du Bas-Empire, t. XX, p. 417), concede a Costantinopoli un milione d'abitanti, sessantamila uomini di cavalleria e una moltitudine innumerabile di soldati. Nel suo stato d'invilimento la capitale dell'Impero ottomano contiene oggidì quattrocentomila abitanti. (Voyages de Bell, vol. II, p. 401-402). Ma non tenendo i Turchi alcun registro nè de' morti, nè delle nascite, ed essendo intorno a ciò sospette tutte le relazioni che abbiamo, egli è impossibile il verificare la vera loro popolazione (Niebuhr, Voyag. en Arab., t. I, p. 18, 19).

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Regolandomi colle piante più esatte di Costantinopoli, non posso ammettere un'estensione maggiore di quattromila passi; nondimeno il Villehardouin (n. 86) la fa di tre leghe. Se i suoi occhi non lo hanno ingannato, è duopo credere che ei contasse a leghe degli antichi Galli, di mille cinquecento passi l'una, colle quali forse anche oggidì si regolano le misure de' terreni nella Sciampagna.

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Il Villehardouin (n. 89-95) indica le guardie imperiali o i Varangi coi nomi di Anglais et Danois avec leurs haches. Qualunque si fosse la loro origine, un pellegrino francese non potea fare sbaglio sulla qualità delle nazioni che formavano questa guardia.

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Intorno al primo assedio e alla conquista di Costantinopoli giova consultare la lettera originale de' Crociati ad Innocenzo III, Villehardouin (n. 75-99), Niceta (in Alex. Com. l. III c. X, p. 349-352), Dandolo (Chron., p. 322). Gunther e l'Abate Martino non erano anche tornati dal lor primo pellegrinaggio a Gerusalemme o a S. Giovanni d'Acri, ove ostinatamente fermaronsi, benchè la maggior parte de' loro compagni vi fosse morta di peste.

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Il Villehardouin colla sua grossolana eloquenza, n. 66-100, ne fa comprendere, quale impressione provassero i Crociati al vedere Costantinopoli e i suoi dintorni: cette ville, dic'egli, que de toutes les autres ere Souveraine. V. i tratti di questa descrizione in Foulcher di Chartres (Hist. Hieros., t. I, c. 4), e in Guglielmo di Tiro (II, 5, XX, 26).

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Giocando ai dadi, i Latini gli tolsero il suo diadema, mettendogli in capo un berrettone di lana o di pelo. Το μεγαλοπρεπες κς παγκλειστον κατερρυπινεν ονομα, infamavano un nome dignitoso e gloriosissimo (Nicetas, p. 358). Se un tale scherzo gli fu fatto dai Veneziani, vi si vedeva la conseguenza dell'audacia naturale ai repubblicani e ai trafficanti.

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V. Villehardouin, n. 181; Dandolo, p. 322. Il Doge afferma che i Veneziani furono pagati più lentamente de' Francesi, osservando però che la storia delle due nazioni in ordine a ciò non si trova d'accordo. Aveva egli letti gli scritti del Villehardouin? I Greci si lamentarono quod totius Graeciae opes transtulisset (Gunther, Hist., C. P. c. 13). V. le querimonie e le invettive di Niceta (p. 355).

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Il regno di Alessio Comneno occupa tre interi libri di Niceta, che impiega solo cinque capitoli a narrare la corta restaurazione d'Isacco e del giovine Alessio (p. 352-362).

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Mentre Niceta rimprovera ad Alessio l'empia lega che questi avea co' Latini contratta, insulta con termini ingiuriosi la religione del romano Pontefice, μειζον και ατοσοπτόν… παρεκτροπμν σιρτεως… των του παπα προνομιων καινιεμον… γεταθεειο τε και μεταποιμεν των πσλαιων φωμαιοις εθων, deviò grandemente e in modo indegno dalla fede… la novità delle massime del Papa… mandava ai Romani cangiate e trasfigurate le massime antiche, (p. 348). Così tutti i Greci si espressero fino al punto della compiuta sovversione di questo impero.

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Niceta (pag. 355) non esita nell'accusare particolarmente i Fiaminghi (φλαμιονες) Flamiones; ma a torto riguarda siccome antico il lor nome. Il Villehardouin (n. 107) difende i Baroni, e ignora o mostra ignorare i nomi de' colpevoli.

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Si paragonino le lamentele e i sospetti di Niceta (p. 359-362) colle accuse positive di Baldovino di Fiandra. (Gesta Innocentii III, cap. 92, p. 534) cum pathriarca et mole nobilium, nobis promissis perjurus et mendax.

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Nicolao Canabo era questo fantasma. Niceta ne fa encomj; Murzuflo alla propria vendetta lo sagrificò p. 362.

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Il Villehardouin (n. 116) parla di questo Murzuflo come di un favorito, e sembra ignorare che egli fosse principe del sangue imperiale, e pertenente alla casa di Duca. Il Ducange celebre nel razzolare ogni genere di erudizione, crede che questo Alessio fosse figlio d'Isacco Duca Sebastocrator, e cugino germano del giovine imperatore Alessio.

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Niceta accerta il fatto di una tale negoziazione che sembra per altra parte molto probabile (p. 365): ma il Villehardouin e il Dandolo la riguardano come obbrobriosa, e non ne fanno parola.

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Baldovino commemora questi due tentativi contro la flotta (Gesta, c. 92, p. 534-535): il Villehardouin (n. 113-115) non accenna che il primo. È cosa degna d'osservazione che nessuno di questi guerrieri si ferma a descrivere qualche particolare proprietà del fuoco greco.

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Il Ducange (n. 119) ne inonda di un torrente di erudizione intorno al gonfalone imperiale. Ella è cosa singolare che questa bandiera della Madonna è parimente un trofeo e una reliquia che fanno vedere i Veneziani. Se essi possedono la vera, convien dire che il pietoso Dandolo abbia ingannati i monaci di Citeaux.

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Il Villehardouin (n. 126) confessa che mult ere grant péril: e il Gunther (Hist. C. P. cap. 13) afferma che nulla spes victoriae arridere poterat. Però e il Cavaliere parla con disprezzo di coloro che pensavano alla ritirata, e il monaco loda que' suoi compatriotti che erano risoluti di morire coll'armi alla mano.

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Baldovino e tutti gli Storici cristiani onorano il nome di quelle due galee coll'aggiunto felici auspicio.

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Facendo allusione ad Omero, Niceta lo chiama εννεα οργυιας, alto nove orgie, ossia diciotto verghe inglesi, circa cinquanta piedi. Una tale statura difatti sarebbe stata una scusa molto legittima al terrore de' Greci. In questa occasione l'autore si mostra più dominato dalla passione di contar maraviglie che dall'interesse del suo paese, o dall'amore della storica verità. Baldovino sclama colla parole del Salmista, Persequitur unus ex nobis centum alienos.

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Il Villehardouin (n. 130) ignora ancora gli autori di un tale incendio men condannevole del primo, e del quale secondo il Gunther è reo, quidam comes Theutonicus (cap. 14). Sembra che gl'incendiarj arrossiscano di confessarlo.

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Intorno al secondo assedio, o alla conquista di Costantinopoli V. Villehardouin (n. 113-132), la seconda lettera di Baldovino ad Innocenzo III (Gesta, cap. 92, p. 534-537), e l'intero regno di Murzuflo in Niceta (p. 363-375). Possono ancora consultarsi alcuni passi del Dandolo (Chron. venet., p. 323-330) e Gunther, Hist. (C. P. cap. 14-18), i quali aggiungono ai loro racconti il maraviglioso delle visioni e delle profezie. Il primo di essi cita un oracolo della Sibilla Eritrea, che annunzia un grande armamento sull'Adriatico, condotto da un generale greco, spedito contro Bisanzo ec., maravigliosissima predizione, se non fosse posteriore all'avvenimento.

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Ceciderunt tamen eo die civium quasi duo millia. Gunther (c. 18). L'aritmetica è una pietra di paragone per valutare le passioni e l'ampollosità delle figure rettoriche.

92

Quidam (dice Innocenzo III, Gesta, c. 94, p. 538) nec religioni, nec aetati, nec sexui pepercerunt, sed fornicationes, adulteria, et incestus in oculis omnium exercentes, non

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