Due. Eva Forte

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Due - Eva Forte

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di viaggio sono tutti silenziosi e pronti a una giornata di lavoro o di studio, o anche solo al giro mattutino per ammazzare le lunghe giornate che si vivono quando si arriva a una certa età. Molti di loro hanno un libro aperto tra le mani, altri ascoltano la musica, altri ancora sono immersi nei propri pensieri. Attira la mia attenzione una vecchietta in fondo all'autobus, vestita di rosso e con un grande carrello vuoto al suo fianco. Ha lo sguardo stanco e la testa che ciondola a ogni curva. Mi viene da pensare a come sarò io da vecchio e il primo pensiero che ho è proprio quello di non voler stare solo, di arrivare a quell'età insieme a qualcuno con cui condividere tutto, anche le piccole margherite da raccogliere sulla strada. Torno a pensare a lei mentre fuori dal finestrino vedo la maestosità della città e dei suoi monumenti imponenti che fanno da cornice a ogni avventura della mia vita.

      

      

      Quando arrivo al Vittoriano scendo di corsa, svegliato all'improvviso da questa beatitudine raggiunta tra pensieri e lo scorrere di posti bellissimi fuori dal vetro. Con me scende anche la vecchietta, già pronta davanti alla porta con il suo fido carrello tenuto con una mano, mentre con l'altra si regge per non cadere. Alla fermata ci separiamo e la seguo con lo sguardo fino a che non gira dietro l'angolo in fondo alla strada, quasi a controllare che non le accada nulla di male e pronto a soccorrerla se le servisse qualcosa. A volte basta poco per entrare in sintonia con qualcuno che poi magari sparirà per sempre dalla nostra vita nello stesso modo in cui è entrata a farci parte per un breve istante. Guardo l'orologio: sono decisamente in anticipo per il mio appuntamento al Museo di Piazza Venezia e così ne approfitto per fare qualche scatto ai Fori in questa bella giornata che merita di essere fissata in un ricordo visivo. Neanche a farlo apposto vedo una piccola margheritina che spunta sul ciglio del marciapiede e così riesco a fotografarla in primo piano, con sullo sfondo i monumenti sfocati che danno la sensazione di stare fuori dal mondo e dal tempo. Mi piacerebbe poterla inviare subito alla mia misteriosa compagna di viaggio, ma non saprei proprio come fare a consegnargliela, non sapendo neanche il suo nome. Una volta a casa la salverò anche sul telefono, dovrà essere sempre pronta nel caso riesca ad arrivare a lei in qualche modo più informatizzato. Passeggiare al centro di Roma veramente ti porta fuori dalla quotidianità e tra tutti i turisti si può anche perdere cognizione dello spazio e del tempo. Un susseguirsi costante di lingue e di colori, tra le tante persone armate di macchina fotografica e sorrisi smaglianti per fissare intere giornate passate a visitare la Città Eterna. I gladiatori al Colosseo sempre pronti a far parte delle loro fotografie dietro lauto compenso e le carrozzelle che accompagnano i più vogliosi di provare nuove dimensioni, perchè in vacanza gli schemi devono cambiare, almeno per mezz'ora, trascinati per la città da una carrozza con tanto di cavallo. Gli zoccoli sui sampietrini nascondono il rumore delle automobili e la città vista da li sopra ha tutto un altro gusto, con un salto indietro nel passato. La fila davanti al Colosseo è già lunghissima, non curante del freddo e dei tempi di attesa, pronta a far propria la visione di uno dei posti più famosi del mondo da riportare nella propria città insieme a foto e ricordini da smerciare ad amici e parenti. Più tardi cominceranno ad arrivare anche le coppie di sposi novelli, ancora vestiti a festa per le fotografie di rito tra gli scenari più belli della Capitale e così questo spazio avrà un ulteriore aspetto e significato per chi lo ha scelto come propria meta. Dopo aver passato la mattinata facendo finta di essere anche io un turista, torno indietro a passo deciso verso il luogo del mio appuntamento non tanto lontano. Incontro per caso il mio interlocutore ai piedi del Vittoriano e così decidiamo di parlare del mio lavoro all'aria aperta, senza rinchiuderci nel suo ufficio tra scartoffie e il buio della stanza. Devono rifare le locandine del Monumento e hanno quindi bisogno di nuove fotografie, magari sfruttando la veduta di Roma che si ha proprio salendo nella sua parte più alta e accessibile solo a pochi eletti. Avevo già lavorato per loro un altro paio di volte in occasioni di particolari mostre all'interno della “Macchina da scrivere”, come viene chiamato a Roma l'Altare della Patria. Da quando, nel 2000, hanno ridato la possibilità di accedere alla scalinata, di tanto in tanto, mi piace passare qualche ora a visitare il Vittoriano, vedere tutte le sue particolarità dedicate alle città e alle regioni italiane e la parte che preferisco di più è il sacrario delle bandiere di guerra, un'infinità di reperti e stemmi con il sapore del passato tra le trame della stoffa consumata.

      Accetto di buon grado il lavoro e comincio a fare qualche scatto, approfittando dell'accesso ad aree non concesse ai normali visitatori. Da lassù la città ti rapisce, ti ingloba tra i marmi e le antiche costruzioni medievali, fino ad arrivare agli sfarzi dell'antica Roma, tutto in un unico sguardo d'insieme. Sembra quasi di poter toccare il sole e immergerti nel cielo limpido che lancia ventate fredde di tanto in tanto, a risvegliarti da questa atmosfera surreale e magica.

      

      

      Viene voglia di rimanere li tutto il giorno, rannicchiati in qualche spazio tra le colonne e le scale infinite a guardare Roma e tutte quelle piccole formiche che si muovono avanti e indietro per le vie sottostanti. Mi faccio coraggio e abbandono quel luogo così carico di storia da far quasi sentire le voci di tutti quelli che sono stati li prima di me, prima ancora che venisse eretto questo monumento così plateale. Decido di tornare a piedi, approfittando della giornata che ci ha risparmiato dalla pioggia della notte scorsa. Fotografo le pozzanghere che fanno da specchio alle vie e in una ci sono io, riflesso con il mio giaccone blu e i jeans, i capelli neri disordinati e gli occhiali da sole nascosti dietro l'obiettivo. Ci sono anche io, una volta tanto, e vedendomi riflesso nella piccola pozza d'acqua quasi non mi riconosco talmente tanto è il tempo in cui non ho pensato a me e alla mia vita reale. Un periodo passato solo a lavorare, senza tanti amici con cui condividere altro e con poche donne senza significato con cui passare qualche notte senza poi ricordare particolari emozioni lasciate alle spalle. Un periodo freddo, reso più intimo solo dalle mie fotografie che raccontano però la vita di altra gente e di altri posti. C'è un poco di me in ogni scatto, ma niente a che vedere con quello che un fotografo può fare mettendoci dentro il proprio cuore. Devo ricominciare a fare fotografie non commissionate, ricercandoci dentro me stesso e forse la foto della margherita è il primo passo per riscoprirmi cambiato e dare una svolta alla mia vita che ora appartiene solo agli altri, come una meretrice che si abbandona solo al proprio lavoro per dare piacere agli altri.

      

      

      Attraverso Via del Corso per un piccolo tratto per poi buttarmi nelle stradine interne e arrivare fino al Pantheon sempre pieno e movimentato. In quel momento mi chiama Stefano. Lui lavora in un ufficio proprio dietro Corso Vittorio Emanuele e sapendo del mio appuntamento, mi richiama all'ordine per un pasto veloce dalle sue parti. In pochi minuti siamo già insieme, alla volta di Campo de' Fiori dove mangiare al volo uno dei buonissimi panini che fanno espressi in un piccolo locale senza sedie nè tavolini. Il mio preferito è quello con melanzane e mozzarella e così, con il pranzo in mano continuiamo la nostra passeggiata fino a fermarci su una panchina in Piazza Navona. Comincio a raccontare al mio amico della mia mattinata cominciando dal Vittoriano fino a confessargli della margherita. Appena comincio a descrivere il momento del bar, si ferma e smette di mangiare completamente preso dal mio breve racconto. “Adesso sta a lei”, mi dice senza tanto riflettere sulle sue parole a cui seguono interminabili minuti di silenzio. “Finalmente questa assurda storia può prendere la giusta piega, dovete conoscervi e magari scoprirete che avete qualcosa di vero da condividere oppure semplicemente che non siete fatti l'uno per l'altra e così, lasciando fermo il discorso dello sguardo della mattina, potrai cominciare a pensare di farti una vita con una donna vera e che non sia solo la passione di una notte e basta”. L'idea di avere idealizzato una donna che neanche conosco mi spaventa, se non fosse veramente come io penso? Sarebbe come perderla per sempre senza poi averla neanche mai avuta. Mi è capitato spesso di pensare a lei al di fuori del bar, le ho dato tanti nomi e immaginata in tantissime situazioni diverse. Mi sono immaginato al suo fianco, mentre viviamo i posti che amo di più. Nei miei sogni l'ho portata nel paese di mia madre, siamo stati a scalare le montagne e fare lunghe passeggiate al mare. Ci siamo persino baciati nella penombra degli alberi secolari. “Mi stai ascoltando? Se lei ora non farà il prossimo passo, basta... vai li e ti presenti e vada come deve andare

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