Branchi. Stephen Goldin
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“Stella, sai bene quanto me quanto sia puritano Chottman,” disse Stoneham. “Il vecchio è ancora fermamente contrario a qualsiasi tipo di peccato, e pensa che il divorzio sia un peccato. Dio solo sa il perché, ma lo pensa.” Si alzò dal divano e andò di nuovo verso sua moglie, tenendole le spalle, questa volta in modo dolce. “Ecco perché ti sto chiedendo di aspettare. Ci vorrà solo una settimana o due—”
Stella lo scacciò, con un sorriso scaltro e trionfante sul suo volto. “Allora è per questo. Ora sappiamo perché il grande e forte Wesley Stoneham arriva strisciando. Tu non mi lascerai nemmeno una traccia di auto rispetto, vero? Non mi lascerai nemmeno credere che tu sia venuto perché pensavi ci fosse ancora qualcosa che valesse la pena salvare nel nostro matrimonio. No, sei appena uscito allo scoperto. È un favore quello che vuoi.”
Accese furiosamente un fiammifero e cominciò a tirare boccate dalla sigaretta come una locomotiva a vapore che scalasse una collina. Gettò il fiammifero usato nel posacenere e la scatola di fiammiferi nelle vicinanze. “Bene, sono stanca dei tuoi trucchetti, Wesley. Sono stanca di fare cose che ti renderanno migliore o farti sembrare più interessante alla cittadinanza di San Marcos. L’unica persona di cui ti preoccupi è te stesso. Suppongo che tu mi daresti il divorzio senza fare alcuna difficoltà se aspettassi, vero?”
“Se è questo quello che vuoi.”
“Certo. L'uomo dei compromessi. Fa un accordo fino a quando ti procura quello che vuoi. Bene, ho una piccola sorpresa per te, Signor Supervisore. Non siglo accordi. Non me ne frega proprio nulla se ce la farai in politica oppure no. Domani ho intenzione di entrare nell'ufficio del nostro avvocato e di cominciare a far volare i documenti.”
“Stella—”
“Forse potrei fare anche una piccola chiacchierata con la stampa su tutto il concentrato di gentilezza umana che scorre nelle tue vene, maritino caro.”
“Ti avviso, Stella—”
“E questa sarebbe una grande tragedia, non è vero, Wes, se tu venissi realmente eletto...”
“SMETTILA, STELLA!”
“...dai votanti per avere la carica invece di essere nominato tutto bello e pulito dai tuoi compari.”
“STELLA!”
Le sue mani si mossero verso la sua gola mentre urlava il suo nome. Voleva che lei smettesse, ma non lo faceva. Le sue labbra continuavano a muoversi a muoversi, e le parole si perdevano nella silenziosa foschia che avvolgeva il cottage. Le colorazioni normali scomparvero mentre la stanza assunse una tonalità rosso sangue. Lui la scosse e chiuse le sue mani strette attorno al suo collo.
Sorpresa per l'attacco inaspettato, la sigaretta le cadde dalle mani, facendo cadere un po' di cenere sul pavimento. Stella alzò le mani contro il petto del marito e cercò di spingerlo via. Per un momento ci riuscì, ma lui continuò a venire, scacciandole le braccia che si dimenavano e stringendola con tutta la forza a sua disposizione.
Le sue dita si addormentarono quando si strinsero attorno alla gola di lei. Non sentì il soffice calore della sua pelle che cedeva sotto la sua pressione, il pulsare delle arterie nel suo collo o l'istintiva tensione dei tendini. Tutto quello che sentiva erano i propri muscoli che schiacciavano, schiacciavano, schiacciavano.
A poco a poco, la lotta cominciò ad attenuarsi. Il colorito della faccia di Stella sembrava strano, anche attraverso la coltre rossa che gli annebbiava la vista. I suoi occhi sporgenti sembravano pronti a saltare fuori dalle orbite, spalancati e fissi su di lui. Fissi, fissi, fissi....
La lasciò andare. Lei cadde a terra, ma lentamente. Come al rallentatore, lenta come in un sogno. Non si udì quasi nessun rumore quando colpì il pavimento. Si accasciò, floscia come una bambola di pezza messa da parte per giochi più belli. Con l'eccezione della sua faccia, la sua faccia viola e gonfia. La sua lingua era a penzoloni in una posa grottesca, gli occhi gelidi di terrore. Un piccolo rivolo di sangue usciva dal suo naso, fino alle sue labbra violacee e sul tappeto marrone sbiadito. Un dito della sua mano sinistra si contrasse spasmodicamente due o tre volte, poi rimase immobile.
* * *
Il mondo bianco-blu era sotto di lui, in attesa del tocco della sua mente. Garnna diede un'occhiata all'atmosfera e fu sopraffatto dall’abbondanza di vita. C’erano creature nell’aria, creature sulla terra, creature nell’acqua. Il primo test, naturalmente, era la ricerca che non ci fosse qualche Offasii in giro, ma gli ci volle solo un veloce esame per appurare che non ce n’era nessuno. Gli Offasii non erano ancora stati trovati in alcuno dei pianeti già esplorati dagli Zartici, ma la ricerca doveva continuare. La razza Zartica non poteva sentirsi del tutto sicura fino a quando non avesse scoperto cosa era successo ai loro vecchi padroni.
Lo scopo principale dell’Esplorazione ora era stato raggiunto. Restava lo scopo secondario: capire che tipo di vita abitasse questo pianeta, se fosse intelligente, e se potesse plausibilmente costituire una minaccia per Zarti.
Garnna generò un'altra rete, una più piccola questa volta. Incluse con la sua mente l'intero pianeta, alla ricerca di segnali di intelligenza. La sua ricerca ebbe immediatamente successo. Luci brillavano luminose sul lato immerso nella notte, indicando la presenza di città di grandi dimensioni. Un'abbondanza di onde radio, modulate artificialmente, stavano rimbalzando in tutta l'atmosfera. Le seguì fino alla loro sorgente e trovò grandi edifici e grandi torri. E trovò le creature che erano responsabili delle onde radio, degli edifici e delle luci. Camminavano in posizione eretta su due gambe, i loro corpi erano soffici e senza l'armatura di uno Zartico. Erano piccole, forse erano alte la metà degli Zartici, e la loro pelliccia sembrava concentrata soprattutto sulle loro teste. Osservò le loro abitudini alimentari e si rese conto con disgusto che erano onnivori. Per una specie erbivora come gli Zartici, queste creature sembravano avere una natura crudele e malvagia, ponendo potenziali minacce a specie più gentili. Ma almeno erano migliori dei feroci carnivori. Garnna aveva visto un paio di società carnivore, dove uccidere e distruggere erano avvenimenti di ogni giorno, e il solo pensiero gli faceva venire i brividi. Si trovò a desiderare che tutti gli esseri viventi nell’universo fossero erbivori, poi si controllò. Non gli era permesso che i suoi pregiudizi personali interferissero con lo svolgimento dei suoi compiti. Il suo dovere, ora, era quello di osservare queste creature nel poco tempo che gli era rimasto e stilare una relazione che sarebbe stata conservata per studi futuri.
Vide una nota di speranza in queste creature, cioè il fatto che sembravano avere l'istinto del Branco più che quello di agire da soli come individui. Si riunivano in grandi città e sembrava che facessero la maggior parte delle cose in gruppo. Avevano il potenziale per restare da soli, ma non lo utilizzavano troppo.
Raccolse di nuovo la sua mente e si preparò a fare delle osservazioni più dettagliate. Fece uno zoom sulla superficie del mondo per osservare. Le creature erano chiaramente diurne altrimenti non avrebbero avuto bisogno di luci per le loro città, così all'inizio scelse di osservare un luogo nell'emisfero dove era giorno. Non aveva nessun motivo di preoccuparsi di essere visto dai nativi; il metodo di esplorazione spaziale zartico ne aveva tenuto conto.
In sostanza, questo metodo richiedeva una separazione completa tra corpo e mente. Venivano prese delle droghe per aiutare questa dissociazione, mentre l’Esploratore riposava confortevolmente in una macchina. Quando avveniva la separazione, la macchina si occupava degli aspetti meccanici delle funzioni corporee —battito cardiaco, respirazione, alimentazione e così via. La mente, nel frattempo, era libera di vagabondare a suo piacimento ovunque volesse.
Erano stati trovati pochi