Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari. Stephen Goldin

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Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari - Stephen Goldin

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di vita, a parte l’apparizione di questa porta.”

      “Allora dovrai rischiare, entrare ed esplorare” disse freddamente Java-10.

      Certo, pensò Ryan, a che che ti frega? Non sei mica tu a giocarti la pelle. “Ricevuto.”

      Aveva con sé una torcia, ma bastò un’occhiata all’interno per chiarirgli che non avrebbe dovuto usarla. La costruzione era vivacemente illuminata; il bagliore sembrava diffondersi dalle pareti. Ryan si guardò attorno con curiosità e si addentrò.

      L’edificio era assolutamente privo di mobilio. L’unico dettaglio era una larga scala a spirale che si ergeva scalando le pareti cilindriche. L’esploratore torse il collo per seguire il percorso ascendente, che però sembrava proseguire all’infinito. Ogni venticinque scalini c’era uno spazioso pianerottolo con una finestrella al muro da cui si poteva osservare la città sottostante. Sul bordo interno della scala c’era un corrimano in plastica chiara.

      Ryan proseguì con lentezza, ancora teso per qualsiasi possibile evenienza. L’eco degli stivali che grattavano il duro pavimento in pietra era quasi assordante in confronto al silenzio totale che copriva il resto della città. Si avvicinò all’inizio delle scale e si appoggiò al corrimano. La plastica risultò fredda ma stranamente confortevole… era come imbattersi in un vecchio amico in mezzo a tutta quell’estraneità. Iniziò a salire con cautela gli scalini, un piede dopo l’altro, con le mani ben ferme sulla ringhiera. Gli occhi scrutavano dappertutto, alla ricerca di qualsiasi concepibile pericolo. Ma non appariva nulla. Poi fu preso dall’impazienza e iniziò a salire le scale correndo.

      Si fermò finalmente a riprendere fiato al quarto pianerottolo, forse a sedici metri da terra. La porta era ancora lì, ad attendere pazientemente il suo ritorno, ma da quell’altezza sembrava assai più piccola. Si avvicinò alla finestra, guardò fuori e vide

       la città di New York a mezzogiorno e i suoi marciapiedi gremiti di uomini d’affari che staccavano per il pranzo e clienti che transitavano tra un negozio e l’altro con pacchetti sotto alle braccia

      sbatté gli occhi e guardò giù di nuovo. C’era soltanto la città aliena, accovacciata e silenziosa, in attesa. Silenzio. Nessun movimento, nessun suono, nessun’ombra.

      Con le mani tremanti, Ryan praticamente strappò il comunicatore dalla tasca. Lasciò che le dita scosse carezzassero per un attimo la forma, poi chiamò nuovamente l’astronave. “Qui Ryan, chiamo Java-10. Ho appena avuto un’allucinazione.” Continuò brevemente descrivendo ciò che gli era apparso per un secondo fuori dalla finestra.

      “Interessante” scherzò il computer. “Questo coincide con i racconti delle allucinazioni sperimentate dai tuoi predecessori. Ti sta cominciando ad accadere ciò che è successo a loro. Devi raddoppiare le cautele, d’ora in poi.”

      Ryan si sedette su un gradino per ricomporsi. Avrebbe tanto voluto che per quella missione gli fosse stata concessa la compagnia del suo collega, Bill Tremain. Lui e Bill lavoravano in coppia dai tempi dei corsi d’addestramento: insieme avevano esplorato più di trenta mondi, confrontandosi con l’ignoto fianco a fianco. Se Bill fosse stato con lui in quel momento, sicuramente non si sarebbe sentito tanto solo. Ma il computer non voleva mettere in gioco più personale di quanto non fosse assolutamente necessario. Inoltre tutte le esplorazioni precedenti erano formate da squadre di due o più persone e avevano fallito; forse un uomo solo aveva maggiori possibilità di riuscita.

      Con la coda dell’occhio Ryan fu attratto da un movimento; scattò rapidamente con la testa e vide una parvenza di figura umana che correva per le scale sotto di lui, per poi svanire. Un tipo con i capelli rossi. L’immagine di Bill Tremain. Palesemente ridicolo perché Bill Tremain era a bordo della navetta.

      Eppure Ryan riscese lentamente i gradini per controllare. Naturalmente non c’era nessuno; la parete dietro le scale era liscia e dura e non presentava nascondigli per una persona in fuga. No, l’edificio era deserto, eccezion fatta per lui. Lo dimostrava il silenzio.

      “Jeff, cerchi qualcosa?” udì da una voce sopra di lui.

       ***

      L’uomo in piedi sul terzo pianerottolo non era il collega di Ryan. Era invece Richard Bael, una vecchia conoscenza dei giorni dell’Accademia. “Oh, non ti preoccupare” sorrise Bael. “Sono alquanto reale.”

      Era logico. Bael era stato uno dei primi sedici a entrare nella città. “Come sei arrivato qui?” balbettò Ryan.

      “Oh,” disse noncurante Bael, “ci sono dei modi.” Iniziò a salire le scale con agilità. “Imparerai in una settimana o due.”

      “Non intendo restare tanto a lungo,” rispose Ryan sulla difensiva. Cercò di estrarre lentamente il comunicatore che aveva in tasca ma Bael si accorse del gesto.

      “Ah, vuoi chiamare la nave? Posso dir loro due parole?”

      “Ci terrebbero a sentirti,” disse Ryan. “Dove è finito il tuo comunicatore?”

      “Devo averlo poggiato da qualche parte e poi me ne sono dimenticato” disse Bael con un gesto della mano. “Non penso che fosse poi così tanto importante.” Si avvicinò al fianco di Ryan e tese la mano. Ryan gli porse il suo comunicatore.

      “Salve lassù, è Richard Bael che chiama. Mi sentite?”

      “Sì,” rispose la voce senza emozioni di Java-10.

      “Ho un rapporto da presentare, con ritardo, relativamente alla mia esplorazione di questa città. Suppongo che abbiate tutti i nastri attivati e pronti per registrare ogni mia parola.”

      “Esatto.”

      “Bene, allora, ecco qui: andate a farvi fottere.” Spense l’apparecchio e lo restituì a Ryan. “Ho sempre desiderato farlo, ma finora non avevo mai avuto il coraggio” disse con una smorfia sorridente.

      Ryan gli strappò il comunicatore dalle mani, lievemente inorridito per ciò che Bael aveva fatto. “Qui Ryan che chiama Java-10. Mi ricevete?”

      “Affermativo. Ma davvero c’è Bael lì con te?” La domanda era più indifferente che incredula.

      “Così pare.”

      “Veramente sono Peter Pan,” interferì Bael per fare i capricci.

      “Zittati!” gridò Ryan.

      “E’ inutile che fai tanto il permaloso, Jess. Cercavo solo di rendermi utile.”

      “Chiedigli perché non lascia la città,” insistette Java-10.

      “Oh, non rispondere Jeff. Sono stanco di affrontare questi deliri di onnipotenza del computer.” Fece per avvicinarsi alla porta. “Metti via quello stupido apparecchio. E’ una giornata troppo bella per passarla a parlare con una scatola.”

      Ryan esitò.

      “Senti, sei venuto per esplorare la città, giusto?” continuò Bael. “Beh, io sono pronto per un tour guidato. Che ti aspetti, un invito decorato a mano? D’accordo, eccotelo qui.”

      Tirò fuori di tasca un bigliettino e lo gettò ai piedi di Ryan. Ryan si piegò per raccoglierlo. C’era inciso a lettere dorate: IL SIGNOR RICHARD BAEL SAREBBE ONORATO DI POTER OFFRIRE AL SIGNOR

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