Due. Dispari. Federico Montuschi

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Due. Dispari - Federico Montuschi

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      Una festa

       The walls started shaking,

       The earth was quaking,

       My mind was aching.

       (ACDC)

      

      

      

      

      Carmen non stava nella pelle per l’eccitazione.

      Era una splendida domenica di sole e rientrava da San José, dove il giorno precedente aveva superato con il massimo dei voti il suo primo esame universitario.

      Si era iscritta alla facoltà di Filosofia più per non deludere suo padre che per reale convinzione, ma riconosceva che i primi mesi di corso si erano rivelati una piacevole sorpresa.

      Le materie, tutto sommato, erano interessanti ma era soprattutto dalle persone conosciute che aveva tratto i giusti stimoli per non pentirsi della scelta.

      Le tornavano spesso in mente le parole di mamma Conchita che, pur non avendo viaggiato molto nella sua vita, amava ripetere che gli aghi della bilancia per valutare le situazioni sono sempre le persone, a prescindere dalla bellezza dell’ambiente circostante.

      Passò il viaggio di rientro verso casa sull’autobus che collegava San José a Burgos inviando messaggi alle amiche e postando selfie allegri su Facebook.

      Scese alla fermata della stazione ferroviaria di Burgos e, per sfruttare al meglio il primo giorno di sole dopo più di due settimane di pioggia, decise di allungare il percorso a piedi verso casa, passeggiando in totale relax sul lungo fiume, accompagnata dalla musica dolce e coccolante di Bon Iver: l’album For Emma, forever ago le era stato consigliato da Ronald, uno dei nuovi amici della facoltà, un ragazzo di San Josè decisamente interessante, con il quale fin dall’inizio si era creata una particolare sintonia.

      Sia verso l’album di Bon Iver, sia verso il nuovo amico Ronald, Carmen provava le medesime intriganti sensazioni: non aveva ancora terminato di scoprirne le diverse sfumature e tonalità, e in ogni occasione trovava diverse chiavi interpretative della musica e della persona, scoprendo nuove intense emozioni.

      Con l’auricolare nelle orecchie e lo sguardo fisso sul display del telefono per verificare in tempo reale i like dei suoi amici ai precedenti post su Facebook, s’incamminò sul sentiero sterrato che affiancava il fiume, costeggiando il bosco di pini di Burgos, noto per la sua aria balsamica.

      Respirò a pieni polmoni e, per meglio godersi il momento bucolico, decise di staccarsi dallo smartphone, riponendolo alla bell’e meglio nella tasca anteriore della borsa a tracolla, già zeppa di quaderni e libri universitari.

      L’erba umida attutiva i suoi passi.

      Adorava quella sensazione di passeggiata sulle nuvole, amplificata dall’impatto cromatico del tramonto rosa e dall’aria fresca che, dopo le giornate di pioggia, le accarezzava la pelle del viso.

      Camminava spensierata, con spirito leggero e occhi sognanti, e forse proprio per questo non si accorse della caduta del telefono nel prato, proprio accanto a una panchina sulla quale sonnecchiava a pancia in su un uomo, con un cappello da baseball calato sugli occhi e coperto sull’addome e sulle gambe da un foglio di giornale aperto.

      Arrivò a casa dopo una mezz’ora di passeggiata, durante la quale lasciò correre i suoi pensieri senza redini e senza meta, giusto in tempo per la cena; ma, accortasi dello smarrimento del telefono dopo aver sistemato la borsa in camera, non riuscì a gustarsi il picadillo di patate con carne, servito con la consueta maestria dalla signora Conchita.

      Mangiò di corsa, quasi senza proferire parola; cosa non difficile, peraltro, quando al tavolo sedevano anche Mar e la signora Conchita, che potevano discutere amabilmente per ore anche del colore dell’erba.

      Papà giaceva a letto con una brutta influenza, fatto più unico che raro.

      Senza di lui, la cena era sempre meno allegra.

      Terminato il picadillo, Carmen lo raggiunse in camera per sincerarsi delle sue condizioni di salute.

      «Papà ciao, come stai?».

      L’ispettore Castillo, voltato sul fianco verso la finestra da cui si intravedeva una luna pallida, velata da nubi variegate che vagavano indecise nel cielo scuro, fece non poca fatica per girarsi verso la figlia.

      «Male, Carmen. Ho quasi quaranta di febbre e alla mia età, credimi, una temperatura così la senti, eccome».

      «Influenza. Sai che il termine influenza deriva dalla forma latina medioevale influentia, che significa azione degli astri sul destino umano?».

      L’ispettore sembrò riprendersi.

      Sentire sua figlia citare antiche forme latine lo riempiva d’orgoglio.

      «Beh… e chi te l’ha detto?» chiese in modo volutamente provocatorio, con il solo obiettivo di proseguire quella conversazione.

      «Mi hai obbligata o no a iscrivermi a Filosofia?».

      L’occhiolino strizzato da Carmen fece subito abbassare il livello di tensione al quale l’ispettore Castillo era arrivato pressoché istantaneamente: sulla scelta della facoltà universitaria aveva un nervo scoperto, frutto delle infinite discussioni avute al termine della scuola superiore con Carmen, che non voleva proseguire gli studi.

      L’aveva avuta vinta lui, alla fine.

      «E quindi la mia influenza è dovuta a una congiunzione astrale negativa. Bella questa. Ma io, più che alla stella Sirio o alla stella Polare - che sono poi le uniche due che conosco - credo al maledetto vento gelido di questi giorni! Dillo ai tuoi insegnanti di filosofia!».

      La risata fragorosa di Carmen fu accompagnata da una carezza alla mano del padre.

      «È la prima volta che ti vedo a letto ammalato, papà…».

      «Prima o poi doveva succedere, sai, figlia mia? Ma non preoccuparti: con un po’ di riposo, tornerò più in forma di prima. Tu, piuttosto, raccontami della tua giornata».

      Quella del racconto giornaliero era una consuetudine che l’ispettore Castillo era riuscito a mantenere con Carmen, mentre Mar se n’era liberata da un paio di anni, stanca di dover rendicontare ogni aspetto della propria vita al padre ispettore.

      «Ieri ho passato il mio primo esame universitario, papà!».

      La voce di Carmen squillò nella stanza, fiera e felice.

      «Ma come?!» disse l’ispettore «Io non ne sapevo nulla! Che esame era? Quanto hai preso? Cosa ti hanno chiesto? Raccontami tutto, subito!».

      «Ti volevo fare una sorpresa!» rispose la ragazza sorridendo, descrivendo poi con dovizia di dettagli l’esame di Storia della Filosofia, rendicontando puntualmente le domande ricevute, le precise risposte fornite, i commenti degli

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