Due. Dispari. Federico Montuschi

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Due. Dispari - Federico Montuschi

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rimase ad ascoltare con la bocca semiaperta e la mandibola sul punto di cascare da un momento all’altro.

      Aveva la commozione facile, quando si trattava della figlia.

      Ma l’umore della serata ebbe un cambio repentino quando Carmen, terminato il racconto della giornata universitaria, passò alla cronaca del rientro a casa.

      «Purtroppo in serata è successa una brutta cosa, invece».

      «E cioè?».

      Questa volta Castillo si raddrizzò faticosamente sul letto, puntellandosi sui gomiti, con aria preoccupata.

      «Ho perso il telefono».

      «Uff… poteva andare peggio. Ma dov’è adesso, porco cane?».

      Carmen non poté non notare un principio di moto nervoso nella mano di suo padre.

      «Papà, se lo sapessi, non l’avrei perso. So per certo che quando sono scesa dall’autobus ce l’avevo con me…».

      Castillo iniziò a sudare.

      «E poi? Che hai fatto? Ma parli del telefono quello bello, che ti abbiamo regalato a Natale, che fa le foto e i video e ha il navigatore e tutte quelle cose che a me non servono ma che a te piacciono tanto?».

      «Esatto, papà. Purtroppo devo averlo perso durante la camminata che ho fatto attraversando il parco. Era così una bella giornata, accipicchia...».

      «Senti Carmen, torna indietro, rifai il percorso al contrario, magari lo trovi in terra, no? Sai quanto ci è costato quel telefono?».

      «Papà, la zona del parco della stazione la conosci, non è il massimo, sono le nove passate e fuori fa buio!».

      Castillo si rigirò verso la finestra per verificare.

      Lo spicchio di luna calante confermò l’affermazione di Carmen.

      L’oscurità avvolgeva Burgos e, dall’oscillare delle fronde dei pioppi che costeggiavano la strada di fronte alla camera dell’ispettore, si era anche alzato il vento.

      «E va bene, Carmen, se proprio non te la senti, lascia stare. Ma non pensare che avrai un altro telefono così, con quello che ci è costato! E lo sai, vero, che…» ma Carmen non lo lasciò terminare, interrompendolo cantilenando «… che io e la mamma facciamo sempre tutto il possibile per voi ma non possiamo permetterci e non vogliamo comunque comprarvi ciò che non serve».

      Gli sguardi di padre e figlia si incrociarono e Carmen percepì lo sforzo di suo padre per rimanere serio.

      «Amen» aggiunse allora lei, dandogli il colpo di grazia e riuscendo a farlo sorridere, prima di sciogliersi in un abbraccio di saluto.

      Tornò in cucina raccomandandogli un buon riposo, che non tardò più di dieci minuti ad arrivare: l’ispettore, febbricitante, si addormentò pesantemente.

      «Tutto bene?» chiese distrattamente Mar, rimestando il caffè fumante che la signora Conchita aveva appena preparato.

      La risposta di Carmen fu anticipata dallo squillo del telefono di casa.

      Le ragazze si guardarono stupite: da quando tutti in famiglia avevano un cellulare, l’apparecchio fisso era di fatto utilizzato solo da lontani parenti anziani per gli auguri di Pasqua e di Natale.

      La signora Conchita sollevò la cornetta sotto lo sguardo attento delle sorelle.

      «Sì, un attimo, gliela chiamo subito. Buona serata a lei, signore».

      Carmen e Mar si guardarono per un attimo con aria reciprocamente canzonatoria, fino a che la voce della signora Conchita interruppe quella scena da spaghetti western.

      «Carmen, è per te. Il signor Ronald, se non ho capito male».

      Carmen si alzò di scatto dalla sedia, urtando con il ginocchio la gamba del tavolo, che per il contraccolpo fece cadere la tazzina di caffè caldo addosso a Mar, solo parzialmente protetta dal tovagliolo.

      Il commento acido della sorella maggior non si fece attendere.

      «Vedi, basta la telefonata di uno sfigato qualsiasi per farla uscire di testa. Che sorella rintronata mi ritrovo!».

      Carmen era già volata al telefono, strappandolo dalle mani della madre, eccitata per quella telefonata inaspettata.

      Era la prima volta che Ronald la chiamava, fino a quel momento si erano semplicemente frequentati all’università scambiandosi qualche messaggio Whatsapp e qualche like su Facebook, ma nessuno dei due aveva mai chiamato l’altro.

      «Ciao, Carmen, come va? Scusa il disturbo, ma ti ho mandato un messaggio importante un paio di ore fa e mi aspettavo una risposta… ho provato a cercarti sul cellulare ma suona sempre a vuoto, mi stavo quasi preoccupando. Alla fine mi sono deciso a chiamarti a casa, spero di non disturbare la tua famiglia, davvero…».

      «Ciao Ronald! Stai tranquillo, nessun problema. Non mi è successo nulla di grave, ho solo perso lo smartphone nel parco tornando a casa questa sera, porco cane. Per questo non ti ho risposto. Di cosa si tratta? È una cosa urgente?».

      «Amo dare accezioni edulcorate al concetto di urgente, spesso abusato nelle nostra società, fanciulla mia».

      Erano queste le risposte di Ronald che tanto piacevano a Carmen, quasi degli aforismi che lasciavano l’interlocutore con la sensazione di dover accelerare i giri del proprio cervello per riuscire a seguire i percorsi mentali di quel tipo strano.

      Perché strano, Ronald, lo era davvero.

      Alto, magrissimo, l’aria perennemente trasandata con i capelli lisci raccolti in una lunga coda di cavallo, gli occhialini stile John Lennon e una barbetta incolta che cresceva in modo disordinato, tralasciando le guance e concentrandosi quasi esclusivamente su pizzo e basette.

      Non passava inosservato, quel ragazzo.

      Ronald riprese il filo della risposta.

      «Nelly e Alejandra organizzano un party per questa notte, siamo invitati anche noi, hai voglia di venire?».

      «Wow! Una festa questa sera? Bene! E dove lo fanno questo party?».

      «I genitori di Nelly hanno una residenza estiva proprio a fianco del cimitero di Burgos, in campagna, ci si arriva in meno di venti minuti in macchina da casa tua».

      «Mmm... in campagna? Questa sera? Senza cellulare? Con così poco preavviso? Con mio padre a letto con un’influenza mai vista?».

      «Esatto. In campagna. Questa sera. Con il mio cellulare. Con un’ora di preavviso. Con tuo padre a letto con una banale influenza».

      La lucidità di Ronald era invidiabile, in quei frangenti.

      Carmen si sforzò di valutare la situazione nel più breve tempo possibile; tutto sommato, non le sembrava che esistessero particolari controindicazioni all’idea di partecipare alla festa e il fatto di essere accompagnata da Ronald rendeva il tutto ancora più stimolante.

      Suo padre stava sicuramente già dormendo, debilitato dall’influenza;

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