Dannato Malloppo!. Mario Micolucci

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Dannato Malloppo! - Mario Micolucci

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era la refurtiva più ricorrente dei clienti di Aaron: una discreta somma, ma nulla che potesse indurre qualcuno a fare cretinate. D’altra parte, quel posto brulicava di ruba galline che cercavano di ottenere somme simili dai loro miseri bottini. Anche lui non era mai andato oltre i duecento dollari di guadagno. Fino ad allora, s’intende.

      «Hai cento verdoni in tasca e speri di cavartela con un solo sorso? Perlomeno, mi devi offrire un quarto di gallone di buon whiskey!»

      Badfinger scosse la testa, sbuffò e infine fece un cenno al barista che gli consegnò un’intera bottiglia di bourbon. L'afferrò con rabbia e la sbatté sul bancone davanti a Joe, poi saldò il conto e se ne andò senza proferir parola. Si era pure dimenticato del sigaro, ma non importava: gli era passata anche la voglia di fumare. “Spero che sarà abbastanza ubriaco da scordarsi della faccenda per il tempo necessario a dileguarmi! Anzi, sarebbe molto meglio che gli scoppi il fegato una volta per tutte a quel dannato impiccione!” pensò imboccando l'uscita.

      «Amico, stai attento a Mansill! Tira, sempre, a fregare sui prezzi!» gli gridò dietro il Gigante. No, non avrebbe dovuto offrirgli da bere, doveva riempirlo di buchi per vedere se zampillasse fuori dell’alcool. A stento, si era trattenuto dal farlo, ma i suoi non erano scrupoli: già così come erano andate le cose, buona parte della discrezione era andata a farsi friggere; se lo avesse affrontato, avrebbe attirato l’attenzione di tutto il paese.

      Joe non si era ancora tracannato un terzo della sua bottiglia, che Donnola fece irruzione nel saloon. Era trafelato e ansimante.

      «Ehi, Moccioso, hai sbagliato porta, qui non servono latte!» lo irrise un ceffo suscitando l’ilarità degli altri avventori e soprattutto quella dei suoi due compari di bevuta. Il solito spaccone: senza ombra di dubbio, si trattava di una mezza calzetta che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di darsi tante arie con un suo pari. Il ragazzo ignorò la provocazione e s’incamminò verso il bancone.

      «Hai sentito cosa ti ho detto, puzzola, o vuoi che te lo spieghi a calci nel sedere?» Lo sbruffone si alzò per sbarrargli la strada.

      Per nulla impressionato, Finn fece per passargli accanto. L’uomo decise di dargliene di santa ragione e fece per afferrarlo; tuttavia non ci riuscì, poiché si ritrovo con il braccio torto dietro la schiena da una forza incontrastabile. Immediatamente dopo, un calcio ben assestato lo mandò a schiantarsi contro il tavolo da cui veniva. Questa volta, l’ilarità della sala era rivolta a lui.

      «Il ragazzo è un mio paesano. Tu e i tuoi compari continuate i vostri affari e non avrete noie.» Joe gli diede le spalle e, assai mestamente, tornò a sedersi per terminare la sua bevuta.

      «Credo che sarai tu ad avere delle noie, scimmione!» Il rumore di tre pistole che venivano armate era inequivocabile. Otthims prese il sigaro lasciato da Hugg, fece un tiro, mise una mano sotto il gilet per grattarsi la pancia e sbuffò contrariato. Poi, con la sua usuale flemma, si girò verso di loro senza neanche alzarsi dallo sgabello: aveva un ordigno pieno di polvere nera in mano. La miccia era accesa… e assai corta.

      «Innanzitutto, imparate le buone maniere: non ci si siede a tavola con le pistole! Avrete capito che di questa locanda e anche di noi tutti, ovviamente, non rimarrà che il ricordo. Questo, se non buttate le armi entro tre, due, uno…» I tre obbedirono e Finn requisì i revolver in un attimo. Nel frattempo, Joe spense l’ultimo quarto di pollice rimasto dell’innesco.

      «Molto bene. Ora, siccome sono impegnato con questa bella signora, gradirei non essere disturbato.» Lisciò il fianco della bottiglia come se fosse quello della bagascia nuda raffigurata nello squallido dipinto in mostra dietro il bancone.

      I tre compari disponevano ancora di coltelli a serramanico, mentre il bestione si era disinteressato delle loro pistole, lasciandole nelle mani del moccioso. Così, si guardarono e si intesero: in tre e armati, contro un pachiderma disarmato e di spalle non ci sarebbe stata storia.

      Estrassero le lame e si lanciarono verso di lui. Il primo capitombolò a terra a causa dello sgambetto di Finn. L’affondo del secondo fu intercettato da Joe che gli afferrò il polso con un vigore tale che si sentì uno schiocco d’ossa spezzate: forse, voleva solo fargli perdere la presa sul coltello, ma, evidentemente, non aveva ben dosato la forza. In un lampo, senza lasciare la presa, schiantò la mano stessa dell’uomo in faccia al terzo che, impressionato dall’accaduto, aveva esitato un attimo nel portare l’attacco. Un doppio crack sovrapposto testimoniò che né le ossa della mano del ceffo né quelle della faccia dell’altro avevano retto l’immane impatto. Un uomo giaceva esanime in una maschera di sangue, mentre l’altro guaiva per le fratture riportate al braccio. Per fortuna, durò poco, poiché, con un pugno in testa tale da abbattere un bisonte, Joe mandò a dormire pure lui. Nel parapiglia, il tipo sgambettato da Donnola cercò di strisciare quatto, quatto per piantare la lama nel polpaccio del bestione; tuttavia il ragazzo lo notò prontamente e gli stampò la punta dello stivale nella tempia mettendolo definitivamente fuori combattimento. Una cosa era certa, i tre non si sarebbero rimessi in piedi a breve. Tutti gli altri clienti, smisero di ridere e, dissimulando disinvoltura, tornarono alle loro cose.

      Il barista scosse la testa estenuato, gettò sul bancone il panno con cui stava asciugando i bicchieri e trasse un respiro profondo: in quel dannato posto, non passava una settimana senza una rissa. Otthims notò il suo sconcerto e lo consolò: «Spero di non aver fatto troppi danni. Solamente io ti posso capire: gestivo un saloon un tempo.» Solo che in quello suo, non c’erano mai state abbastanza persone per metterne una contro una in una zuffa.

      Il Gigante rovistò nei vestiti dei due che aveva steso, ma ne ricavò a stento nove dollari che depositò direttamente sul bancone. «Ben, questi sono per il disturbo. Giovane Badfinger, lui ripuliscilo pure tu.» Indicò il tizio steso dal ragazzo: era lo spaccone che lo aveva schernito. In tasca aveva solo sei dollari; in compenso, con un colpo ben assestato del calcio della pistola, gli carpì un dente d’oro.

      Quando vide l’oste togliersi il grembiule per sistemare il locale, Joe lo fermò con un gesto della mano accompagnato da un sorriso cordiale. «Stai, stai! Ci penso io a gettare la spazzatura.» Si caricò un uomo sulla spalla ampia come la sella di un palafreno, gli atri due li sollevò, uno per mano, usando la loro camicia come manico. Quindi, li trasportò fuori e li gettò nello spiazzo a raccogliere polvere.

      Si riavviò verso il locale per finirsi la bevuta in santa pace, ma si trovò dinanzi Donnola.

      «Signor Otthims, Ben mi ha detto che il mio vecchio ha parlato con te e se n’è andato poco fa. Sai dove?» Sapeva che il padre si recasse sporadicamente da quelle parti a vendere oggetti, ma non aveva idea di dove andasse con esattezza, inoltre, sperava di appurare quali informazioni il Gigante era riuscito a spillare dal padre.

      «E’ andato da Aaron Mansill a cambiare il bottino.» Il sorriso era quello di chi la sapeva lunga.

      “Non posso credere che abbia detto del malloppo a questo sempliciotto!” Doveva indagare un po’ meglio.

      «Ma questo Aaron può cambiare una refurtiva come quella nostra?»

      «Certo, è facile smerciare un buon orologio, anche se dovesse rivenderlo al doppio di quanto l'ha pagato. Ho provato a dirglielo a tuo padre, ma se n’è andato senza darmene l’occasione! Magari fai ancora in tempo ad avvertirlo: se è veramente placcato d’oro come dice, non deve scendere sotto i duecento dollari, centocinquanta sono decisamente pochi.»

      «Allora devo sbrigarmi! Solo che non so dove si trova il ricettatore.»

      «Nessun problema, figliolo. Vai a sinistra fino al maniscalco, imbocca la via a destra, poi procedi per qualche passo e troverai un negozietto malmesso e pieno di cianfrusaglie: non puoi sbagliarti, questo paese è

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