Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

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prima, Rais non aveva fatto altro che stare sdraiato in silenzio, quasi immobile, permettendo allo staff di svolgere i suoi compiti. Se non c’era nessuno nella stanza con lui, quasi non gli prestavano attenzione al di là dell’occasionale sguardo.

      Non aveva cercato di mordere il dottore per ripicca o cattiveria, ma per necessità. Gerber era stato chino su di lui, intento a ispezionare la ferita sul braccio doveva aveva tagliato via il marchio di Amun, quando la tasca dl camice bianco del dottore gli aveva sfiorato le dita della mano ammanettata. Rais si era scagliato in avanti, serrando i denti, e quando gli aveva sfiorato il collo l’uomo era saltato indietro per la paura.

      E una penna stilografica era rimasta stretta nel pugno dell’assassino.

      Uno degli agenti di turno gli aveva sferrato un violento pugno in faccia per quell’atto, e nel momento in cui il colpo era atterrato, Rais aveva infilato la penna sotto le lenzuola, nascondendola sotto la coscia sinistra. Era rimasta lì per tre giorni, celata sotto la coperta, fino alla notte prima. L’aveva tirata fuori mentre le guardie chiacchieravano nel corridoio. Con una mano, senza poter vedere che cosa stava facendo, aveva separato le due metà della penna e aveva rimosso la cartuccia, lavorando piano e con cura per evitare di versare l’inchiostro. La penna era un classico modello con un’acuminata punta d’oro. Aveva riposto quella metà sotto le lenzuola. L’altra metà aveva una clip da taschino in oro, che aveva forzato con attenzione con il pollice fino a staccarla.

      La manetta al polso sinistro gli lasciava meno di trenta centimetri di mobilità al braccio, ma se stendeva la mano al limite riusciva a raggiungere l’estremità del comodino. Il ripiano era un semplice pannello liscio di compensato, ma la parte inferiore era ruvida come carta vetrata. Nel corso di quattro estenuanti e dolorose ore la notte prima, Rais aveva strofinato la clip avanti e indietro sotto il tavolo, attento a non fare troppo rumore. Con ogni movimento aveva temuto che la clip potesse sfuggirgli di mano, o che le guardie notassero il gesto, ma la sua stanza era buia e gli uomini erano stati impegnati nella loro conversazione. Poi anche la clip era sparita sotto le lenzuola, insieme alla punta del pennino.

      Aveva capito da frammenti di discorsi che quella notte ci sarebbero state tre infermiere del turno notturno nel reparto di chirurgia, inclusa Elena, e altre due reperibili nel caso di necessità. Insieme alle guardie, facevano un totale di cinque persone che avrebbe dovuto affrontare, e un massimo di sette.

      A nessuno nello staff medico piaceva particolarmente occuparsi di lui, sapendo chi era, e quindi lo andavano a controllare di rado. Ora che Elena era entrata e uscita, Rais sapeva che aveva tra i sessanta e i novanta minuti prima del suo ritorno.

      Il suo braccio sinistro era bloccato con una cinghia standard d’ospedale, del tipo che i professionisti di solito definivano “a quattro punti”. Era una striscia azzurro chiaro avvolta al suo polso, stretta da un aderente cinturino bianco di nylon, la cui estremità era attaccata saldamente alla sponda di ferro del suo letto. Per via della severità dei suoi crimini, anche il suo polso destro era ammanettato.

      Le due guardie all’esterno stavano parlando in tedesco. Rais le ascoltò con attenzione; quella sulla sinistra, Luca, sembrava lamentarsi del fatto che sua moglie stava prendendo peso. Rais quasi sbuffò; l’uomo era ben lontano da potersi definire in forma lui stesso. L’altro, un ragazzo di nome Elias, era più giovane e atletico, ma beveva caffè in dosi che sarebbero stati letali per la maggior parte degli esseri umani. Ogni notte, tra i novanta minuti e le due ore dopo l’inizio del turno, Elias chiamava l’agente di sicurezza notturno per poter andare in bagno. Mentre era via, ne approfittava per uscire a fumare, quindi durante la pausa bagno rimaneva via tra gli otto e gli undici minuti. Rais aveva passato molte delle notti precedenti contando i secondi della sua assenza.

      Era una finestra d’opportunità molto stretta, ma lui era addestrato.

      Infilò la mano sotto le lenzuola alla ricerca della clip affilata e la tenne tra le punte delle dita. Poi, facendo attenzione, la gettò ad arco sopra il proprio corpo. Gli atterrò facilmente nel palmo della mano destra.

      La seguente era la parte più difficile del suo piano. Tirò il polso fino a tendere la catena delle manette, e in quella posizione voltò la mano per infilare la punta affilata della clip nella serratura che lo teneva bloccato alle sponde del letto. Era complicato e doloroso, ma aveva già scassinato altre manette in passato, e sapeva che il meccanismo di chiusura all’interno era progettato perché una chiave universale potesse aprirne ogni paia. Dato che conosceva il funzionamento della serratura doveva solo eseguire i movimenti giusti per far scattare i perni. Ma era necessario che la catena fosse ben tesa, per evitare che le manette sferragliassero contro le sponde del letto e allertassero le guardie.

      Gli servirono quasi venti minuti di contorcimenti, piegamenti e brevi pause per alleviare il dolore alle dita e riprendere il tentativo, ma alla fine la serratura scattò e la manetta si aprì. Rais la sfilò con attenzione dalla sponda.

      Aveva una mano libera.

      Si tese e liberò rapidamente la sinistra.

      Così erano libere entrambe.

      Infilò la clip sotto le lenzuola e afferrò la parte superiore della penna, stringendola nel palmo perché solo la punta fosse esposta.

      Fuori dalla porta, l’agente più giovane si alzò all’improvviso. Rais trattenne il fiato e si finse addormentato mentre Elias gli lanciava un’occhiata.

      “Chiama Francis, per favore?” disse l’agente in tedesco. “Devo andare a pisciare.”

      “Certo,” rispose Luca con uno sbaglio. Usò la radio per contattare la sorveglianza notturna dell’ospedale, che di solito era stazionata dietro la reception al primo piano. Rais aveva visto Francis diverse volte; era un uomo di una certa età, sulla sessantina, forse persino con qualche anno di più, con un fisico snello. Era armato di pistola ma si muoveva con lentezza.

      Era proprio quello che Rais aveva sperato. Non voleva lottare contro l’agente di polizia più giovane finché era ancora tanto debole.

      Tre minuti più tardi apparve Francis, nella sua uniforme bianca e la cravatta nera, ed Elias si affrettò verso il bagno. I due uomini fuori dalla porta si scambiarono convenevoli mentre la guardia dell’ospedale si accomodava con un sospiro sulla sedia di plastica lasciata vuota dal giovane.

      Era tempo di agire.

      Rais scivolò lentamente verso il bordo del letto e abbassò i piedi nudi sulle piastrelle fredde. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva usato le gambe, ma era certo che i suoi muscoli non si fossero atrofizzati tanto da essere inservibili.

      Si alzò con cura e in silenzio, ma poi gli cedettero le ginocchia. Strinse l’orlo del letto per sopportarsi e lanciò un’occhiata alla porta. Non arrivò nessuno; fuori continuavano a chiacchierare. I due uomini non avevano sentito niente.

      Si raddrizzò tremante e ansimando, e fece qualche passo silenzioso. Certo, aveva le gambe deboli, ma quando era necessario era sempre forte, e così doveva essere in quel momento. Il camice d’ospedale gli ondeggiò attorno, aperto sulla schiena. L’immodesto indumento lo avrebbe solo ostacolato, quindi se lo tolse con uno strattone, rimanendo sfrontatamente nudo nella stanza.

      Con la punta della penna nel pugno, prese posizione appena dietro la porta aperta, ed emise un basso fischio.

      L’improvviso raschio delle gambe delle sedie gli disse che entrambi gli uomini lo avevano sentito e si erano alzati. La stazza di Luca riempì la porta, mentre l’uomo scrutava dentro la stanza buia.

      “Mein Gott!” mormorò quando entrò e vide il letto vuoto.

      Francis lo seguì,

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