Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

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style="font-size:15px;">      “Rais?” esclamò Reid sbalordito. Subito un sudore gelido gli coprì la fronte. “Come?”

      “Non ho nessun dettaglio,” rispose in fretta lei mentre rinfilava il cellulare nella borsetta. “Mi dispiace così tanto, Kent, ma devo andare.”

      “Sì,” mormorò l’uomo. “Capisco.” Era come se fosse a centinaia di chilometri di distanza dal loro intimo tavolo nel piccolo ristorante. L’assassino che aveva lasciato per morto—non una volta ma due—era ancora vivo, ed era in libertà.

      Maria si alzò, e prima di andarsene, si chinò e premette le labbra alle sue. “Presto ci rivedremo di nuovo, te lo prometto. Ma per adesso, il dovere mi chiama.”

      “Ma certo,” replicò lui. “Vai e trovalo. E, Maria? Stai attenta. È pericoloso.”

      “Lo sono anche io.” Gli fece l’occhiolino, e poi uscì rapidamente dal ristorante.

      Reid rimase seduto da solo per un lungo momento. Quando la cameriera si avvicinò, non la sentì nemmeno parlare; le fece solo un vago cenno a indicare che stava bene così. Ma la realtà era che stava tutt’altro che bene. Non aveva nemmeno sentito un brivido nostalgico quando Maria lo aveva baciato. Tutto ciò che aveva provato era una stretta allo stomaco per l’ansia.

      L’uomo convinto di essere destinato a uccidere Kent Steele era scappato.

      CAPITOLO CINQUE

      Adrian Cheval era ancora sveglio nonostante l’ora tarda. Era seduto in cucina su uno sgabello, fissando immobile e con la vista annebbiata lo schermo del portatile davanti a lui, battendo freneticamente sulla tastiera.

      Si fermò abbastanza a lungo da sentire Claudette che si avvicinava in silenzio e a piedi nudi sulle scale coperte dalla moquette. Il loro appartamento a Marsiglia era piccolo ma accogliente, all’estremità di una strada tranquilla a soli cinque minuti dal mare.

      Un momento più tardi una figura minuta dai capelli color del fuoco apparve nel suo campo visivo. La donna gli mise le mani sulle spalle e gliele accarezzò su e giù, fino al petto, appoggiandogli la testa sulla schiena. “Mon chéri,” mormorò. “Amore mio. Non riesco a dormire.”

      “Neanche io,” rispose piano lui in francese. “Ho troppe cosa da fare.”

      Claudette gli mordicchiò gentilmente il lobo dell’orecchio. “Parlamene.”

      Adrian indicò lo schermo, sul quale era in bella mostra la struttura ciclica a doppia elica del RNA del variola major, il virus comunemente noto come vaiolo. “Questo ceppo della Siberia è… incredibile. Non ho mai visto niente del genere. Secondo i miei calcoli, la sua virulenza dovrebbe essere sbalorditiva. Sono convinto che l’unica cosa che possa avergli impedito di eliminare l’umanità migliaia di anni fa sia stata l’era glaciale.”

      “Un nuovo Diluvio universale.” Claudette emise un languido sospiro nel suo orecchio, “Quanto manca perché sia pronto?”

      “Devo mutare il ceppo, mantenendo la stessa stabilità e potenza,” spiegò lui. “Non è un compito semplice, ma è necessario. Il WHO ha ottenuto dei campioni di questo stesso virus cinque mesi fa; senza dubbio stanno sviluppando un vaccino, se non lo hanno già fatto. Il nostro ceppo deve essere abbastanza unico perché il loro vaccino sia inefficace.” Quel processo era noto come mutagenesi letale, la manipolazione del RNA che avrebbe eseguito sui campioni che aveva ottenuto in Siberia per accrescere la sua virulenza e ridurre il periodo di incubazione. Grazie ai suoi calcoli, Adrian sospettava che il tasso di mortalità del virus del variola major mutato avrebbe potuto raggiungere il settantotto percento, quasi tre volte quella della varietà naturale del vaiolo che era stata distrutta dal World Health Organization nel 1980.

      Dopo il suo ritorno dalla Siberia, Adrian aveva visitato per prima Stoccolma e aveva usato le generalità del defunto studente Renault per accedere all’università, dove si era accertato che i campioni rimanessero inattivi mentre lavorava su essi. Ma non poteva sfruttare troppo a lungo l’identità di qualcun altro, quindi aveva rubato l’equipaggiamento ed era tornato a Marsiglia. Aveva montato un laboratorio nello scantinato inutilizzato del negozio di un sarto a tre isolati dal loro appartamento; il gentile proprietario era convinto che Adrian fosse un genetista, che studiasse il DNA umano e niente altro, e lui teneva la porta chiusa con un lucchetto quando non era presente.

      “Imam Khalil sarà felice,” sussurrò Claudette nel suo orecchio.

      “Sì,” concordò piano Adrian. “Sarà soddisfatto.”

      La maggior parte delle donne non sarebbe stata entusiasta di trovare la propria dolce metà a lavoro su una sostanza tanto volatile come un ceppo altamente virulento del vaiolo, ma Claudette non era come la maggior parte delle donne. Era minuta, appena un metro e sessanta rispetto al metro e ottantacinque di Adrian. I suoi capelli erano di un rosso acceso e i suoi occhi verdi come la più fitta giungla, e suggerivano una certa irascibilità.

      Si erano incontrati solo l’anno prima, quando Adrian aveva toccato il fondo. Era appena stato espulso dall’università di Stoccolma per aver tentato di ottenere campioni di un raro enterovirus, lo stesso che aveva preso la vita di sua madre solo qualche settimana prima. All’epoca, era stato deciso a creare una cura, persino ossessionato da quell’idea, perché nessuno dovesse soffrire come era successo a lei. Ma era stato scoperto dalla facoltà dell’università e allontanato in modo sbrigativo.

      Claudette lo aveva trovato in un vicolo, steso in una pozza della sua stessa desolazione e vomito, mezzo-svenuto per l’alcol. Lo aveva portato a casa, ripulito, e gli aveva dato dell’acqua. Il mattino seguente Adrian si era svegliato con quella donna bellissima seduta al suo capezzale, che gli sorrideva dicendogli: “So esattamente di che cosa hai bisogno.”

      Roteò sullo sgabello della cucina per voltarsi verso di lei e le accarezzò la schiena. Da seduto era alto quasi quanto lei. “È interessante che tu abbia parlato del Diluvio Universale,” notò. “Sai, ci sono alcuni studiosi che dicono che se è davvero avvenuto, deve essere stato circa sette o ottomila anni fa… quasi all’epoca a cui risale questo ceppo. Forse il Diluvio è una metafora, ed è stato questo virus a purificare il mondo dai malvagi.”

      Claudette scoppiò in una risata. “Non credere che non mi sia accorta dei tuoi continui sforzi per riunire la scienza e la spiritualità.” Gli prese con dolcezza il volto tra le mani e gli baciò la fronte. “Ma ancora non capisci che a volte serve solo avere fede.”

      Serve solo avere fede. Era ciò che gli aveva prescritto l’anno prima, quando si era svegliato dalla sbronza. Claudette lo aveva accolto e gli aveva permesso di rimanere nel suo appartamento, quello stesso dove vivevano tuttora. Adrian non aveva creduto nell’amore a prima vista prima di incontrare lei, ma la donna era arrivata a influenzare moltissimo il suo modo di pensare. Nel corso di qualche mese, lo aveva introdotto ai principi dell’Imam Khalil, un sant’uomo islamico della Siria. Khalil non si considerava né sunnita o sciita, ma un semplice devoto di Dio, al punto che permetteva al suo piccolo gruppo di seguaci di chiamarLo con qualsiasi nome volessero, perché Khalil credeva che la relazione di ogni individuo con il proprio creatore fosse strettamente personale. Per Khalil, il nome di quel creatore era Allah.

      “Voglio che tu venga a letto,” gli disse Claudette, accarezzandogli la guancia con il dorso della mano. “Hai bisogno di riposarti. Ma prima… hai preparato il campione?”

      “Il campione,” ripeté Adrian. “Sì, certo.”

      C’era solo una minuscola fialetta, poco più grande di un’unghia, del virus attivo,

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