Obiettivo Zero . Джек Марс
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“Guardami,” disse l’Imam Khalil in arabo. “Per favore.”
Prese il ragazzo per le spalle in un gesto paterno, e si chinò per poterlo guardare direttamente in volto. “Guardami,” disse di nuovo. Non era un ordine, ma una gentile richiesta.
Omar faceva fatica a guardare Khalil negli occhi. Invece gli fissò il mento, la corta barba nera, rasata con cura sul collo. Studiò i risvolti della sua giacca marrone scuro, non molto costosa e tuttavia più elegante di qualsiasi abito Omar avesse mai visto. L’uomo anziano aveva un buon odore e parlava al ragazzo come se fossero stati alla pari, con un rispetto che nessuno gli aveva mai dimostrato prima. Era per tutti quei motivi che Omar non riusciva a costringersi a guardarlo negli occhi.
“Omar, sai che cosa è un martire?” stava chiedendo l’uomo. La sua voce era limpida ma non alta. Il ragazzo non aveva mai sentito l’Imam gridare.
Omar scosse la testa. “No, Imam Khalil.”
“Un martire è un tipo di eroe. Ma è qualcosa di più; è un eroe che si dona del tutto a una causa. Un martire è ricordato. Un martire è celebrato. Tu, Omar, tu sarai celebrato. Tu sarai ricordato. Tu sarai amato per sempre. Sai perché?”
Il ragazzo annuì leggermente, ma non parlò. Credeva negli insegnamenti dell’Imam, vi si era aggrappato come a un salvagente, e anche di più dopo che un bombardamento aveva ucciso la sua famiglia. Anche dopo essere stato cacciato dalla sua patria, la Siria, dai dissidenti. Tuttavia faceva fatica a credere a ciò che l’Imam Khalil gli aveva detto qualche giorno prima.
“Sei benedetto,” disse Khalil. “Guardami, Omar.” Con una certa difficoltà, il ragazzo alzò lo sguardo per incontrare gli occhi marroni dell’Imam, dolci e gentili ma allo stesso tempo intensi. “Tu sei il Mahdi, l’ultimo degli Imam. Il Redentore che libererà il mondo dai peccatori. Tu sei un salvatore, Omar. Lo capisci?”
“Sì, Imam.”
“E ci credi, Omar?”
Il ragazzo non era certo che fosse così. Non si sentiva speciale, o importante, o benedetto da Allah, ma tuttavia rispose: “Sì. Imam. Ci credo.”
“Allah mi ha parlato,” continuò piano Khalil, “e mi ha detto che cosa dobbiamo fare. Ti ricordi che cosa devi fare?”
Omar annuì. La sua missione era piuttosto semplice, anche se Khalil si era accertato che il ragazzo non avesse dubbi su che cosa avrebbe significato per lui.
“Bene. Bene.” Khalil fece un ampio sorriso. I suoi denti erano perfettamente bianchi e brillanti nel sole luminoso. “Prima che ci separiamo, Omar, mi faresti l’onore di pregare insieme a me per un momento?”
Gli tese una mano, e Omar la prese. Era calda e liscia nella sua. L’Imam chiuse gli occhi e mosse le labbra in parole silenziose.
“Imam?” disse il ragazzo in un sussurro. “Non dovremmo voltarci verso la Mecca?”
Ancora una volta Khalil fece un ampio sorriso. “Non oggi, Omar. Il vero Dio mi ha concesso un desiderio; oggi, io mi volto verso di te.”
I due uomini rimasero fermi insieme per un lungo istante, pregando in silenzio rivolti l’uno verso l’altro. Omar sentiva il calore del sole sul volto, e per il silenzioso minuto che seguì, pensò di percepire qualcosa, come se le dita invisibili di Dio gli stessero accarezzando una guancia.
Khalil era inginocchiato all’ombra di un piccolo aeroplano bianco. L’aereo poteva accogliere solo quattro persone e aveva delle eliche sulle ali. Omar non era mai stato più vicino di così a un velivolo, tranne che durante il volo dalla Grecia alla Spagna, che era stata l’unica volta che era stato su un aereo.
“Ti ringrazio per questo.” Khalil allontanò la mano da quella del ragazzo. “Ora devo andare, e tu devi fare lo stesso. Allah è con te, Omar, e che la pace sia con Lui e con te.” L’uomo anziano gli sorrise di nuovo, poi si voltò e salì sulla breve rampa che portava sull’aereo.
I motori partirono, emettendo un fischio iniziale che poi si trasformò in un rombo. Omar fece diversi passi all’indietro mentre il velivolo cominciava ad avanzare sulla piccola pista d’atterraggio. Lo guardò prendere velocità, sempre più rapido, fino a quando non si alzò in aria e alla fine svanì.
Da solo, Omar guardò dritto davanti a sé, godendosi il sole sul volto. Era una giornata calda, più calda rispetto alla media di quel periodo dell’anno. Poi iniziò il cammino di quatto miglia che lo avrebbe portato a Barcellona. Mentre procedeva, infilò una mano nella tasca, stringendo con delicatezza e protettivamente la piccola fiala di vetro.
Non riusciva a non chiedersi perché Allah non si fosse rivolto direttamente a lui. Invece il Suo messaggio era passato attraverso l’Imam. Gli avrei creduto? pensò Omar. O lo avrei ritenuto solo un sogno? L’Imam Khalil era santo e saggio, e aveva riconosciuto i segni quando erano apparsi. Omar era un giovane ragazzo ingenuo di soli sedici anni che sapeva ben poco del mondo, in particolare dell’Occidente. Forse non era stato adatto a sentire la voce di Dio.
Khalil gli aveva dato una manciata di Euro da portare con sé a Barcellona. “Prenditi il tuo tempo,” aveva detto l’uomo anziano. “Goditi un buon pasto. Te lo meriti.”
Omar non parlava spagnolo, e conosceva solo poche semplici frasi in inglese. Oltretutto non aveva fame, quindi invece di mangiare una volta arrivato in città, trovò una panchina da cui ammirare il panorama. Si sedette, chiedendosi perché proprio là, tra tutti i luoghi possibili.
Abbi fede, avrebbe detto l’Imam Khalil. Omar decise che l’avrebbe avuta.
Alla sua sinistra c’era l’Hotel Barceló Raval, uno strano edificio rotondo decorato con luci viola e rosse, da cui entravano e uscivano dei giovani ben vestiti. Non lo conosceva di nome, sapeva solo che sembrava un faro, che attraeva peccatori ricchi come una fiamma attrae le falene. Gli diede coraggio stare seduto davanti a quel palazzo, rinforzò la sua fede per fare ciò che si era ripromesso.
Omar prese con cura la fiala di vetro dalla tasca. Non sembrava che dentro ci fosse niente, o forse qualsiasi cosa contenesse era invisibile, come l’aria o un gas. Non aveva importanza. Sapeva bene che cosa doveva farci. Il primo passo era completo: entrare in città. Il secondo lo eseguì sulla panchina all’ombra del Raval.
Strinse la punta conica della fiala tra le dita e, con un piccolo movimento rotatorio, la staccò.
Un minuscolo frammento di vetro gli si infilò nel polpastrello. Guardò mentre si formava una goccia di sangue, ma resistette alla tentazione di infilarsi un dito in bocca. Invece fece quello che gli era stato detto: si infilò la fiala in una narice e inalò a fondo.
Non appena l’ebbe fatto, gli si strinse lo stomaco per la paura. Khalil non gli aveva spiegato nello specifico che cosa aspettarsi. Gli aveva solo detto di aspettare un po’, quindi rimase in attesa e fece del suo meglio per rimanere calmo. Osservò mentre altre persone entravano e uscivano dall’albergo, ognuna vestita in abiti appariscenti e lussuosi. Era ben consapevole del proprio abbigliamento umile, il logoro maglione, le guance macchiate, i capelli troppi lunghi e spettinati. Ricordò a se stesso che la vanità era un peccato.
Omar stette seduto e aspettò che succedesse qualcosa, di sentirlo agire dentro di sé, qualsiasi cosa ‘esso’ fosse.
Non provò nulla. Non c’era alcuna differenza.
Passò