Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

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mormorò Claudette. “Perché aspettiamo ospiti.”

      “Stasera?” Adrian abbassò le mani dalla sua schiena. Non si aspettava che succedesse tanto presto. “A quest’ora?” Erano quasi le due del mattino.

      “Da un momento all’altro,” rispose lei. “Abbiamo fatto una promessa, amore mio, e dobbiamo mantenerla.”

      “Sì,” bisbigliò Adrian. Aveva ragione, come sempre. Le promesse non andavano infrante. “Ovviamente.”

      Un brusco e violento colpo alla porta del loro appartamento fece sobbalzare entrambi.

      Claudette vi si avvicinò in fretta, lasciando inserita la catena e aprendo solo di pochi centimetri. Adrian la seguì, sbirciando sopra la sua spalla per vedere i due uomini dall’altra parte. Nessuno dei due sembrava molto amichevole. Non conosceva i loro nomi, e nella sua mente li aveva nominati ‘gli arabi’, anche se per quel che ne sapeva potevano essere curdi o turchi.

      Uno dei due parlò rapidamente a Claudette in arabo. Adrian non capì, il suo arabo era rudimentale nel migliore dei casi, si limitava a poche frasi che la donna gli aveva insegnato, ma lei annuì una volta, tolse la catena e lasciò entrare gli uomini.

      Entrambi erano piuttosto giovani, circa sulla trentina, e portavano corte barbe nere sulle guance dalla pelle scura. Indossavano abiti in stile europeo, jeans e magliette, con sopra giacche leggere a proteggerli dalla gelida aria notturna; l’Imam Khalil non pretendeva che i suoi seguaci mettessero abiti o paramenti religiosi. In effetti, da quando erano stati allontanati dalla Siria, preferiva che la sua gente si mescolasse agli altri il più possibile, per motivi che erano ovvi ad Adrian, visto che cosa dovevano recuperare i due uomini lì presenti.

      “Cheval.” Uno dei siriani annuì verso di lui, quasi con reverenza. “Avanti? Dicci?” Parlava in un francese molto incerto.

      “Avanti?” ripeté Adrian confuso.

      “Vuole sapere dei tuoi progressi,” spiegò con gentilezza Claudette.

      Lui sogghignò. “Il suo francese è tremendo.”

      “Così come il tuo arabo,” ribatté lei.

      Giusta osservazione, concesse Adrian. “Digli che il procedimento richiede tempo. È complicato, e richiede pazienza. Ma il lavoro sta andando bene.”

      Claudette ripeté il messaggio in arabo, e i due uomini annuirono in segno di approvazione.

      “Un piccolo pezzo?” chiese il secondo uomo. Sembrava che volessero far pratica con lui di lingua francese.

      “Sono venuti per il campione,” disse Claudette ad Adrian, anche se lui lo aveva capito dal contesto. “Vuoi prenderlo?” Era ovvio che la donna non avesse alcuna intenzione di toccare il contenitore per il trasporto di campioni biologici, che fosse sigillato o meno.

      Adrian annuì, ma non si mosse. “Chiedigli perché non è venuto Khalil stesso.”

      Claudette si morse il labbro e gli sfiorò un braccio. “Tesoro,” disse piano, “sono sicura che sia impegnato altrove…”

      “Che cosa potrebbe essere più importante di questo?” insisté lui. Era stato certo che l’Imam si sarebbe presentato.

      Claudette ripeté la domanda in arabo. I due siriani si accigliarono e si scambiarono uno sguardo prima di rispondere.

      “Dicono che stanotte è a trovare gli infermi,” disse poi in francese ad Adrian, “sta pregando per la loro liberazione dal mondo fisico.”

      Un ricordo della madre gli lampeggiò nella mente, solo qualche giorno prima della sua morte, stesa a letto con occhi aperti ma inconsapevoli. Era stata quasi inconscia per le medicine; senza sarebbe stata in uno stato costante di dolore, e tuttavia dopo averle prese era praticamente comatosa. Nelle settimane prima del suo decesso, non aveva avuto alcun concetto del mondo attorno a sé. Lui aveva pregato spesso perché guarisse, lì al suo capezzale, anche se verso la fine le sue suppliche erano cambiate e si era ritrovato a desiderare una morte rapida e indolore per la madre.

      “Come lo userà?” chiese Adrian. “Il campione.”

      “Si accerterà che la tua mutazione funzioni,” rispose semplicemente Claudette. “Lo sai.”

      “Sì, ma…” Il giovane scienziato si interruppe. Sapeva che non era stava a lui mettere in dubbio le intenzioni dell’Imam, ma all’improvviso sentiva il bisogno impellente di sapere. “Lo testerà privatamente? In un luogo remoto? È importante non mostrare troppo presto le nostre carte. Il resto del lotto non è ancora pronto… ”

      Claudette disse rapidamente qualcosa ai due uomini siriani, e poi prese Adrian per mano e lo condusse in cucina. “Amore mio,” mormorò piano, “stai avendo dei dubbi. Parlamene.”

      Adrian sospirò. “Sì,” ammise. “Questo è solo un campione molto piccolo, non è affatto stabile quanto lo saranno gli altri. E se non funzionasse?”

      “Lo farà.” Claudette lo strinse tra le braccia. “Ho piena fiducia in te, e lo stesso vale per l’Imam Khalil. Ti è stata donata questa opportunità. Sei stato benedetto, Adrian.”

      Sei stato benedetto. Erano state le stesse parole che Khalil aveva usato quando si erano incontrati. Tre mesi prima, Claudette aveva portato Adrian a fare un viaggio in Grecia. Khalil, come molti altri siriani, era un rifugiato, ma non uno politico, né per la guerra che stava devastando il paese. Era un rifugiato religioso, cacciato sia dagli sciiti che dai sunniti per le sue nozioni idealistiche. La spiritualità di Khalil era un amalgama di precetti islamici e alcune delle influenze esoteriche filosofiche di Druze, come la verità e la trasmigrazione dell’anima.

      Adrian aveva incontrato il sant’uomo in un albergo ad Atene. L’Imam Khalil era una persona gentile con un sorriso gradevole, capelli scuri e una barba ordinata e pettinata, che portava un completo marrone. Il giovane francese era stato preso alla sprovvista quando, durante il loro primo incontro, l’Imam gli aveva chiesto di pregare insieme a lui. Si erano seduti insieme su un tappeto, rivolti verso la Mecca, e avevano pregato in silenzio. La calma aveva avvolto l’Imam come un’aura, una placidità che Adrian non aveva più provato da quando era un bambino tra le braccia della madre ancora in salute.

      Dopo la preghiera, i due uomini avevano fumato da un narghilè di vetro e avevano bevuto del tè mentre Khalil parlava delle sue idee. Avevano discusso dell’importanza di essere fedeli a loro stessi; Khalil credeva che l’unico modo in cui l’umanità poteva assolvere i propri peccati era la sincerità assoluta, che avrebbe permesso all’anima di reincarnarsi in un essere puro. Aveva fatto molte domande ad Adrian, sia sulla scienza che sulla spiritualità. Gli aveva chiesto della madre, e gli aveva promesso che da qualche parte sulla terra lei era già rinata, pura, bellissima e in salute. Il giovane francese ne aveva tratto un grande conforto.

      Poi il sant’uomo aveva parlato dell’Imam Mahdi, il Redentore e ultimo degli Imam, gli uomini santi. Mahdi sarebbe stato colui che avrebbe portato il Giorno del Giudizio e avrebbe ripulito il mondo dal male. Khalil credeva che sarebbe successo presto, e dopo la redenzione di Mahdi si sarebbe instaurata l’utopia: ogni essere nell’universo sarebbe stato perfetto, genuino e incorrotto.

      Per diverse ore i due uomini erano rimasti seduti insieme, fino a notte fonda, e quando la mente di Adrian era stata annebbiata quanto l’aria densa e fumosa che roteava attorno a loro gli aveva finalmente posto la domanda che più gli premeva.

      “Sei

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