Obiettivo Zero . Джек Марс

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Obiettivo Zero  - Джек Марс Uno spy thriller della serie Agente Zero

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che era titolare di una cattedra e spesso viaggiava per un libro che stava scrivendo.

      O magari è segretamente nella CIA, pensò Reid.

      “Buongiorno,” disse ad alta voce entrando in classe. La maggior parte degli studenti si era già accomodata prima del suo arrivo, quindi si affrettò a raggiungere il centro della sala, appoggiò la borsa sulla cattedra e si sfilò la giacca di tweed. “Sono in ritardo di qualche minuto, quindi cominciamo subito.” Era piacevole essere di nuovo in classe. Quello era il suo elemento, o almeno uno di essi. “Sono sicuro che qui qualcuno sa dirmi: quale è stato l’evento più devastante, per numero di morti, della storia europea?”

      “La seconda guerra mondiale,” rispose subito una voce.

      “Uno dei peggiori al mondo, certo,” replicò Reid, “ma la Russia se l’è cavata molto peggio dell’Europa, a giudicare dalle cifre. Altre idee?”

      “La conquista mongola,” disse una ragazza mora con i capelli raccolti in una coda di cavallo.

      “Un’altra buona ipotesi, ma state pensando a dei conflitti armati. Io ho in mente qualcosa di meno antropogenico, e più biologico.”

      “La Peste Nera,” borbottò un ragazzo biondo in prima fila.

      “Sì, è giusto, signor…?”

      “Wright,” rispose il ragazzo.

      Reid sorrise. “Signor Wright? Un cognome importante, scommetto che è popolare tra i suoi coetanei.”

      Il ragazzo sorrise timidamente e scosse la testa.

      “Comunque sì, il signor Wright ha ragione: la Peste Nera. La pandemia della peste bubbonica è iniziata nell’Asia Centrale, ha attraversato la Via della Seta, è stata portata in Europa dai ratti sulle navi mercantili, e si stima che nel quattordicesimo secolo abbia ucciso dalle settantacinque alle duecento milioni di persone.” Per un momento camminò avanti e indietro in silenzio, per enfatizzare il concetto. “C’è un’enorme differenza tra le due cifre, vero? Come mai i numeri sono così incerti?”

      La ragazza mora in terza fila alzò appena la mano. “Perché settecento anni fa non avevano un ufficio censimenti?”

      Reid e qualche altro studente ridacchiarono. “Beh, certo, questo è vero. Ma è anche per via della velocità con cui la peste si è diffusa. Voglio dire, stiamo parlando della morte di un terzo della popolazione dell’Europa in due anni. Per farvi capire, sarebbe come se l’intera East Coast e la California svanissero.” Si appoggiò alla cattedra e incrociò le braccia. “Ora so che cosa state pensando. ‘Professor Lawson, lei non è il tizio che viene qui e ci parla della guerra?’ Sì, e adesso ci arrivo.”

      “Qualcuno ha accennato alla conquista mongola. Per un breve periodo Genghis Khan ha avuto il più grande impero della storia, e il suo esercito marciò contro l’Europa dell’Est negli anni della peste in Asia. Si ritiene che Khan sia stato uno dei primi a usare quella che noi classifichiamo come guerra batteriologica; se una città non si arrendeva a lui, il suo esercito catapultava corpi infetti dalla peste oltre le mura nemiche e poi… gli bastava aspettare un po’.”

      Il signor Wright, il ragazzo biondo in prima fila, arricciò il naso per il disgusto. “Non può essere vero.”

      “È vero, glielo garantisco. Per esempio durante l’assedio di Caffa, in quella che ora è la Crimea, nel 1346. Vedete, vogliamo pensare che la guerra biologica sia un concetto nuovo, ma non lo è. Prima di avere i carri armati, o i droni, o i missili, o persino le pistole nel senso moderno, noi, uhm… loro, eh…”

      “Perché hai una cosa del genere, Reid?” chiede Kate in tono accusatorio. I suoi occhi sono più spaventati che arrabbiati.

      Dopo aver pronunciato la parola ‘pistole’, il ricordo gli apparve all’improvviso nella mente, lo stesso del giorno prima, ma più chiaro. Erano nella cucina della loro casa precedente, in Virginia. Kate aveva trovato qualcosa mentre spolverava i condotti dell’aria condizionata.

      Una pistola sul tavolo, una piccola, una LC9 da nove millimetri argentata. Kate la indica come un oggetto maledetto. “Perché hai una cosa del genere, Reid?”

      “È… solo per protezione,” menti.

      “Protezione? Ma almeno sai come si usa? E se una delle ragazze l’avesse trovata?”

      “Non la…”

      “Lo sai quanto può essere curiosa Maya. Gesù. Non voglio nemmeno sapere come l’hai ottenuta. Non voglio questa cosa a casa nostra. Ti prego, portala via.”

      “Ma certo. Mi dispiace, Katie.” Katie, il nome che usi solo quando è arrabbiata.

      Prendi con esitazione l’arma dal tavolo, come se non fossi certo di come maneggiarla.

      Dopo che se ne sarà andata a lavoro, dovrai recuperare le altre undici nascoste per tutta la casa. Sarà meglio trovare dei posti migliori.

      “Professore?” Il ragazzo biondo, Wright, guardò Reid preoccupato. “Sta bene?”

      “Uhm… sì.” Reid si raddrizzò e si schiarì la gola. Gli dolevano le dita; aveva stretto forte il bordo della cattedra quando il ricordo era riemerso. “Sì, scusatemi.”

      Non aveva più alcun dubbio. Era sicuro che avesse perso almeno un ricordo di Kate.

      “Uhm… scusate, ragazzi, ma non sono molto in forma,” disse alla classe. “Tutto a un tratto non mi sento bene. Per oggi… finiamola qui. Vi darò qualche capitolo da leggere, e riprenderemo lunedì.”

      Gli tremavano le mani mentre enunciava i numeri delle pagine. Il sudore gli imperlava la fronte durante la lenta sfilata degli studenti fuori dalla porta. La ragazza mora si fermò alla sua cattedra. “Non ha un bell’aspetto, professor Lawson. Ha bisogno che chiamiamo qualcuno?”

      Gli stava spuntano un’emicrania al centro della testa, ma si costrinse a sorridere in una maniera che sperò fosse educata. “No, grazie. Starò bene. Mi serve solo un po’ di riposo.”

      “Okay. Spero che si senta meglio, professore.” Anche lei uscì dalla classe.

      Non appena rimase da solo, frugò nel cassetto della cattedra, trovò un’aspirina e la mandò giù con dell’acqua da una bottiglia che aveva nella borsa.

      Si appoggiò allo schienale della sedia e aspettò che i battiti del suo cuore rallentassero. Il ricordo che gli era appena tornato alla mente non aveva avuto solo un impatto psicologico o emotivo, ma anche uno molto fisico. Il pensiero di aver perso anche solo un istante delle sue memorie di Kate, quando già la moglie gli era stata strappata dalla vita, gli aveva fatto venire la nausea.

      Dopo qualche minuto l’orrenda sensazione che aveva allo stomaco iniziò a calmarsi, ma non fu così per i pensieri che gli si agitavano nella testa. Non poteva più addurre delle scuse, doveva prendere una decisione. Avrebbe dovuto decidere che cosa voleva fare. A casa, in una scatola nel suo ufficio, c’era una lettera che indicava da chi sarebbe dovuto andare per chiedere aiuto: un medico svizzero di nome Guyver, il neurochirurgo che gli aveva installato il soppressore della memoria. Se qualcuno poteva far qualcosa per ripristinare i suoi ricordi, quello era lui. Reid aveva passato l’ultimo mese in preda all’incertezza, non sapendo se tentare o meno di recuperare tutta la memoria.

      Ma

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