Obiettivo Zero . Джек Марс
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Читать онлайн книгу Obiettivo Zero - Джек Марс страница 9
“Allora scendiamo nello scantinato e andiamo nella palestra,” recitò la ragazza. Uno dei primi lavori che Reid aveva fatto, dopo aver traslocato, era stato sostituire la porta della stanzetta nello scantinato con una dall’anima in acciaio. Aveva tre pesanti catenacci e cardini in lega d’alluminio. Era a prova di proiettili e ignifuga, e il tecnico della CIA che l’aveva installata aveva dichiarato che sarebbero serviti una dozzina di arieti della SWAT per buttarla giù. Aveva trasformato a tutti gli effetti la piccola palestra in un bunker improvvisata.
“E poi?” domandò lui.
“Prima chiamiamo il signor Thompson,” disse Maya. “E poi il 911. Se dimentichiamo i cellulari o non possiamo raggiungerli, c’è un telefono fisso nello scantinato pre-programmato con il suo numero.”
“E se qualcuno fa irruzione, e non riuscite ad arrivare allo scantinato?”
“Allora andiamo all’uscita disponibile più vicina,” continuò Maya. “Non appena siamo fuori, facciamo più rumore possibile.”
Thompson era molte cose, ma duro d’orecchio non era fra di esse. Una notte Reid e le ragazze avevano tenuto il volume della televisione troppo alto mentre guardavano un film d’azione, e l’uomo anziano era arrivato di corsa al suono di quello che aveva pensato fossero spari silenziati.
“Ma sarebbe meglio se avessimo sempre i cellulari con noi, nel caso dovessimo fare una telefonata non appena arriviamo in un posto sicuro.”
Reid annuì in segno d’approvazione. Maya aveva recitato tutto il piano, con l’eccezione di una parte piccola ma cruciale. “Hai dimenticato qualcosa.”
“No, non l’ho fatto.” Si accigliò.
“Non appena siete in un luogo sicuro, e dopo aver chiamato Thompson e le autorità…?”
“Oh, giusto. Allora ti chiamiamo subito e ti facciamo sapere che cosa è successo.”
“Okay.”
“Okay?” Maya sollevò un sopracciglio. “Okay significa che ci lascerai da sole per una volta?”
Ancora non gli piaceva. Ma era solo per un paio d’ore, e Thompson sarebbe stato alla porta accanto. “Sì,” disse alla fine.
Maya emise un sospiro di sollievo. “Grazie. Staremo bene, te lo giuro.” Lo abbracciò di nuovo, brevemente. Si girò per tornare al piano di sotto, ma poi le venne in mente qualcos’altro. “Posso farti un’altra domanda?”
“Certo. Ma non ti prometto di darti una risposta.”
“Comincerai di nuovo a… viaggiare?”
“Oh.” Ancora una volta fu preso alla sprovvista. La CIA gli aveva offerto di restituirgli il lavoro, e in effetti il direttore del National Intelligence stesso aveva richiesto che Kent Steele fosse pienamente reintegrato, ma Reid non aveva ancora accettato, e l’agenzia aveva evitato di insistere. La maggior parte del tempo faceva in modo di non pensarci.
“Io… vorrei davvero dirti no. Ma la verità è che non lo so. Non ho ancora deciso.” Si interruppe per un momento prima di chiederle: “Che cosa penseresti se lo facessi?”
“Vuoi la mia opinione?” domandò lei sorpresa.
“Sì, certo. Tu sei davvero una delle persone più intelligenti che conosca, e la tua opinione è molto importante per me.”
“Voglio dire… da una parte, è una bella cosa, sapendo quello che so ora…”
“Sapendo quello che credi di sapere,” la corresse Reid.
“Ma mi fa anche paura. So che ci sono buone possibilità che resti ferito, o… o peggio.” Maya rimase in silenzio per un po’. “Ti piace? Lavorare per loro?”
Reid non le rispose subito. Aveva ragione; quello che gli era successo era stato terrificante, e aveva messo in pericolo la sua vita più di una volta, oltre che quelle delle sue ragazze. Non avrebbe sopportato se fosse successo loro qualcosa. Ma la dura verità, e una delle maggiori ragioni per cui si era tenuto tanto impegnato di recente, era che gli era piaciuto, e che gli mancava. Kent Steele bramava la caccia. C’era stato un tempo, quando era ricominciato tutto, in cui aveva considerato quella parte di lui come una persona diversa, ma non era vero. Kent Steele era solo uno pseudonimo. Lui bramava la caccia. Gli mancava. Era una parte di Reid, proprio come insegnare e crescere le sue due figlie. Anche se aveva ancora i ricordi confusi, facevano parte di lui e della sua identità. Smettere del tutto sarebbe stato come quando un’incidente metteva fine alla carriera di una star dello sport, lasciandola a domandarsi: Chi sono, se non uno sportivo?
Non fu necessario rispondere alla sua domanda ad alta voce. Maya poté vederlo nel suo sguardo distante.
“Com’è che si chiama?” domandò la ragazza all’improvviso, cambiando argomento.
Reid sorrise imbarazzato. “Maria.”
“Maria,” ripeté lei pensierosa. “Va bene. Goditi l’appuntamento.” Poi tornò al piano di sotto.
Prima di seguirla, Reid ebbe un piccolo ripensamento. Aprì il primo cassetto del comò e frugò nel fondo fino a quando non trovò quello che stava cercando, una vecchia bottiglia di costosa colonia che non metteva da due anni. Era stata la preferita di Kate. Annusò il diffusore e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Era un profumo familiare e muschiato che portò con sé un’ondata di bei ricordi.
Ne spruzzò un po’ sui polsi e se lo diede ai lati del collo. L’odore era più forte di quanto ricordasse, ma piacevole.
Poi… un altro ricordo gli lampeggiò davanti agli occhi.
La cucina in Virginia. Kate è arrabbiata, sta indicando qualcosa sul tavolo. Non è solo arrabbiata, è spaventata. “Perché hai una cosa del genere, Reid?” chiede in tono accusatorio. “E se una delle ragazze l’avesse trovata? Rispondimi!”
Allontanò la visione prima dell’arrivo dell’inevitabile emicrania, ma ciò non rese l’esperienza meno inquietante. Non riusciva a ricordare quando o perché fosse avvenuto quel litigio; lui e Kate avevano discusso di rado, e nel ricordo lei era sembrata spaventata. Doveva aver avuto paura di quello per cui stavano litigando, o forse persino di lui. Ma non le aveva mai dato motivo per temerlo. Almeno non che riuscisse a ricordare…
Gli tremarono le mani quando fu colpito da un nuovo pensiero. Non riusciva a ricordare l’evento, il che significava che doveva essere tra quelli soppressi dall’impianto che gli avevano messo nel cranio. Ma perché una memoria riguardante Kate era stata cancellata insieme all’agente Zero?
“Papà!” Maya lo chiamò dal fondo delle scale. “Arriverai in ritardo.”
“Sì,” borbottò. “Vengo.” Prima o poi doveva affrontare la realtà: o cercava una soluzione al suo problema, oppure quelle memorie occasionali avrebbero continuato a tornare alla superficie, confuse e scioccanti.
Ma ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento aveva una promessa da mantenere.
Andò al piano di sotto, baciò entrambe le figlie sul capo e si diresse verso l’auto. Prima di attraversare il vialetto, si accertò che Maya avesse attivato l’allarme dietro di lui, e poi salì sul SUV