Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac

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Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac

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aria sottomessa. Gihtar era infastidito dalla sua sottomissione. Senza curarsi della sua condiscendenza, Kulu si voltò verso il suo servo più anziano.

      “È una bella giornata. Andiamo a fare due chiacchiere in cortile”.

      Sei invidiosa, Lenora?, pensò con cattiveria, e si allontanò dietro al maestro senza controllare la sua reazione.

      Il cortile era veramente bello. I viottoli fioriti si allungavano fino al padiglione, e perfino i muri di pietra della tenuta, ricoperti di vite vergine, avevano un’aria quasi tenera. Kulu gli mise una mano sulle spalle.

      “Sono soddisfatto delle tue prestazioni”.

      Gihtar rimase basito. Si prepara infine ad affrancarmi?

      “Be’, hai ancora molta strada da fare”, le parole del maestro infransero le sue speranze. Come aveva potuto pensare che fossero finite le sue sventure? Il silenzio del suo interlocutore poteva essere male interpretato. “Non offenderti, qui potrai sempre sentirti al sicuro finché mi ascolterai. Mi ascolti, Gihtar, visto che siamo già in argomento?”.

      “Certo, maestro”.

      “Bene. La tua obbedienza significa molto per me, perché presto avremo un lavoro serio. Questo cliente è qualcosa che aspetto da mo’, e che potevo soltanto sognarmi”.

      “Deve avere trattarsi di qualche riccone”.

      Kulu sorrise. “Che apprendista ingenuo! Certo che si tratta di un riccone, ma non è tutto qui. Comunque, la cosa non ti riguarda. L’unica tua preoccupazione dev’essere di poter rispettare le scadenze che ti imporrò. Se non ne sei in grado, sta’ pur certo che ti manderò in rovina. Con la quantità di balsamo, vestiti e materiale con cui ti pago posso assumere anche una decina di kasi”.

      “Spero che il mio lavoro valga la paga che mi date”.

      L’altro fece un cenno con la testa. “Solo non pensare che io non possa farcela senza di te. Hai una mano esperta, ma Tarnek è grande. Nessuno è insostituibile”.

      Neanche tu, pensò Gihtar tenendosi l’osservazione per sé.

      “Farò tutto quel che mi ordinerete”.

      “Allora ci siamo capiti. Ora ascoltami bene. Oggi tu e Lenora vi riposerete, vi lascio liberi fino a domani. Sirmiona pensa che sono troppo generoso, ma non posso andare contro la mia natura. Bada solo che questa non diventi un’abitudine, perché il giorno successivo sarà molto impegnativo”.

      Desideroso di riposo, l’apprendista non mosse alcuna obiezione a quanto proposto. Accetta tutto ciò che ti viene offerto, questa era la regola che aveva da tempo fatto sua durante il suo servizio.

      “Un’altra cosa. Sposterai immediatamente tutta la merce nello scantinato. Le porte della bottega devono essere costantemente chiuse a chiave, e non aprirai a nessun altro che a me. Nemmeno a Sirmiona. Se verrà a trovarti, fa’ finta di non sentirla. Non cedere neanche se alza la voce, e soprattutto non metterti a discutere con lei. Sta’ semplicemente zitto, e se facesse problemi come solo lei sa, fa’ appello alle mie istruzioni. Sono io quello che servi, non dimenticarlo”.

      “Tutto chiaro, maestro”.

      “Manderò via Lenora per qualche giorno, non voglio che neanche lei sia presente”.

      Questa volta Gihtar non poté nascondere il suo stupore. Non gli sembrava strano lavorare da solo, ma un ulteriore paio di mani rappresentava un sollievo a cui rinunciava a cuor pesante. “Non guardarmi così, so bene quel che ti dico. Se tutto andrà secondo i piani, sarà un bene anche per te. Siamo alle porte di un affare molto serio, e non permetterò che niente ci minacci. Ho passato tutta la notte a trattare”.

      La luce nel padiglione. Pensavo che saresti venuto a controllarci. Sembrava che neanche Sirmiona godesse di fiducia illimitata. Probabilmente avrebbe escluso anche me, se non gli fossi tanto necessario.

      “Non vi deluderò”.

      “Sarà ben meglio. E ora torna nella bottega e riferisci a Lenora che siete liberi. Dopo le spiegherò tutto, ma tu preparati bene per quanto ti aspetta. E non dimenticare, non una parola a nessuno su quel di cui abbiamo appena parlato”.

      »« »« »«

      In quello spazio spartano che a lui spettava, meditò a lungo e profondamente. Un tempo Gihtar aveva avuto il diritto all’intera baracca dietro la bottega, ma dopo l’arrivo di Lenora aveva avuto il compito di dividerla in due parti. Quel mattino, proprio come il maestro aveva promesso, lei non c’era.

      Grato per il riposo, non si era lasciato abbattere dall’idea degli impegni che lo attendevano, ma si era un po’ stupito quando Kulu gli aveva riportato i suoi ordini e gli aveva mostrato due nuovi stampi comprati apposta per ciò che lo aspettava. Prima di allora, era già stata una novità il nuovo forno con un bacino per il combustibile più profondo e un’imboccatura più stretta. Ciò a cui era destinato richiedeva una temperatura elevata e costante.

      La produzione di coltelli, per la quale si prospettava un lavoro faticoso e delicato, era illegale, a meno che non si trattasse di una produzione appositamente commissionata. Non era il caso della bottega del maestro Kulu. Era perfettamente comprensibile perché fosse meglio evitare testimoni non voluti.

      Gihtar non dubitava della propria abilità. Anche se non aveva mai forgiato nulla del genere, i bozzetti e le istruzioni che si era ritrovato davanti gli fornivano una risposta a tutte le incognite che avrebbero potuto causare qualche problema. Ciò che lo preoccupava era invece il tempo a sua disposizione. Dodici coltellacci, nel periodo previsto, non erano affatto un compito semplice. Sapeva che lo attendeva un lavoro come mai prima.

      E in effetti, aveva proprio ragione.

      I giorni alla forgia si fondevano in una lunga agonia piena di forti colpi di martello, fusioni e riforgiature, e l’arsura del forno e il rosso calore erano l’unico sole che i suoi occhi potevano vedere. Alcune volte si ritrovò sull’orlo della disperazione, sconfitto dal colpo dei coltelli che a fatica stava forgiando. Anche quando completava con successo il processo di forgiatura, poteva succedere che non raggiungesse il bilanciamento desiderato, cosa che lo riportava al punto di partenza. Se non altro, poteva perlomeno lavorare indisturbato, non lasciava mai il laboratorio, il maestro lo aveva rifornito di una quantità più che sufficiente di balsamo, e si concedeva brevi meditazioni solo in caso di estrema necessità, su un lenzuolo scolorito vicino alla massiccia incudine.

      Le rare visite di Kulu mostravano segni di comprensione al di là di ogni attesa. Non commentava i frantumi dei tentativi infruttuosi, cosa assolutamente insolita per il suo carattere. Tutto era indirizzato a confortarlo, e a spronarlo a perseverare nel lavoro. Anche se la ragione di tale comportamento lo faceva impazzire, la cosa faceva piacere a Gihtar.

      Trascorse quasi un intero trimestre prima che portasse anche l’ultima arma ormai finita nello scantinato. L’orgoglio e il sollievo si mescolavano con una profonda spossatezza, e lui si sentiva rinvigorito dal ferro su cui posava lo sguardo. Un gran lavoro, e probabilmente la più grande sfida della sua vita, era ormai un’impresa fruttuosa alle sue spalle. Che qualcuno lo ammettesse o no, come mai prima di allora era certo del proprio posto nel mondo. Il maestro Gihtar.

      Quella sera stessa Kulu si presentò nella bottega con un altro kas. Dunque, ecco il cliente.

      Intorpidito dalla stanchezza, Gihtar

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