L'esclusa. Луиджи Пиранделло

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L'esclusa - Луиджи Пиранделло

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Tu l'hai voluto!

      Si frenò, sedette di nuovo; poi riprese con voce cupa:

      – Fa' che venga da me tuo nipote, Paolo Sistri. Affiderò a lui la direzione della conceria. Non c'è più da aver superbia, ora. Voleva Marta in moglie? Se la pigli! Ormai può essere di tutti.

      – Oh Francesco!

      – Basta così! Manda a chiamare Paolo. Andate via!

      Da questo Paolo Sistri, figliuolo d'una sorella defunta della signora Agata, ebbero le tre donne noti-zia delle prodezze di Rocco Pentàgora, ch'era partito veramente, il giorno dopo lo scandalo, in cerca dell'Alvignani, col professor Blandino e col Madden. A Palermo, Gregorio Alvignani non aveva vo-luto dapprima accettare la sfida; era anzi riuscito a persuadere il Blandino d'indurre il Pentàgora a ritirarla; ma allora questi lo aveva pubblicamente investito per costringerlo a battersi con lui. E s'era fatto il duello e Rocco aveva riportato una lunga ferita alla guancia sinistra. Ora, da tre giorni, era ritornato in paese in compagnia d'una donnaccia venduta; se l'era portata nella casa maritale, l'aveva costretta a indossare le vesti di Marta e, sollevando l'indignazione di tutto il paese, si offriva spetta-colo alla gente, conducendosela a passeggio, in carrozza, così parata.

      Ebbene, dopo tali notizie, non riconosceva ancora il padre l'indegnità di quel vile? non si vergogna-va di sottostare alla condanna infame di colui?

      Marta fremeva di sdegno e di rabbia, faceva un continuo violento sforzo su se stessa per contenersi di fronte alla madre e alla sorella, che si mostravano sempre più afflitte e abbattute.

      – Piangi, Maria, ma perché? – domandò una mattina, con fare derisorio alla sorella che entrava nella sua cameretta con gli occhi rossi.

      – Il babbo… lo sai! – rispose Maria, a stento.

      – Eh, – sospirò Marta. – Che vuoi farci? Forse si riposa. Non fa male a nessuno…

      Era senza corpetto, davanti allo specchio, in piedi: trasse dal capo le forcinelle di tartaruga, e il nero volume dei capelli le cascò fragrante su le spalle, su le braccia nude. Rovesciò indietro il capo e scosse così più volte la bella chioma pesante; poi sedette, e l'omero tondo, candidissimo, levigato, le emerse tra i capelli che s'erano partiti tra il seno e le terga. Su l'omero, il neo di viola, venuto sù con gli anni lentamente, come una stella, dalla scapola, dove prima Maria lo aveva scoperto, quando an-cora entrambe dormivano insieme.

      – Su, pèttinami, Maria.

      V

      Lungo lungo, sparuto, dalle gambe sperticate, dal volto sbiancato, pinticchiato di lentiggini, con ciuffetti di peli rossi su le gote e sul mento, Paolo Sistri veniva ora ogni sera a sottomettere all'ap-provazione dello zio Ajala il rapporto giornaliero dei lavori della concerìa.

      Dopo circa mezz'ora usciva abbattuto e sbalordito dalla stanza del rinchiuso, e alla zia Agata e a Ma-ria che lo aspettavano ansiose rispondeva ogni volta, piegando da un lato la testa:

      – Ha detto che va bene.

      Ma dell'approvazione pareva non fosse né convinto né soddisfatto, come in sospetto che lo zio lo lodasse per beffa. Si abbandonava su una seggiola, tirava dentro quanto più aria poteva e la soffiava pian piano per le nari, tentennando il capo.

      Ormai, sotto l'imbrigliatura d'uomo d'affari, aveva rinunziato a ogni velleità amorosa. Nei primi giorni si mostrò impacciatissimo della presenza di Marta; poi, man mano, si rinfrancò un poco; par-lando, però, si rivolgeva piuttosto a Maria o alla zia Agata.

      Narrava con garbuglio opprimente di pa-role tutte le peripezie della giornata, e si ripiegava in tutti i versi su la seggiola e girava gli occhi di qua e di là e sudava e inghiottiva. Ogni periodo di quel suo discorso avviluppato restava in aria o sfumava a un tratto in una esclamazione; se però qualcuno, per disgrazia, gli riusciva alla fine senza impuntature, lo ripeteva tre e quattro volte, prima di rimettersi alla fatica di figliarne un altro.

      La zia mostrava d'ascoltarlo con attenzione, assentiva col capo quasi a ogni parola e spesso, alla fine, sapendo ch'egli ormai non aveva più nessuno in casa, lo invitava a rimanere a cena.

      Paolo accettava quasi sempre. Ma erano ben tristi quelle cene in silenzio, interrotte dall'invio del ci-bo alla stanza del rinchiuso, gelate dall'aspetto di Maria, che ne ritornava ogni volta più oppressa.

      Marta osservava ogni cosa con una strana espressione negli occhi, ora quasi derisoria, ora sdegnosa. Quel dolore impresso negli altri non era un raffaccio a lei della presunta sua colpa? Spesso si alzava, abbandonava la tavola, senza dir nulla.

      – Marta!

      Non rispondeva: andava a chiudersi nella sua cameretta. Maria allora, dietro l'uscio, la pregava d'a-prire, di ritornare a cena. Ascoltava con un misto di dolore e di godimento quelle preghiere insistenti della sorella, e non apriva, né rispondeva; poi, appena Maria, stanca di pregare inutilmente, andava via, si stizziva contro se stessa di non aver ceduto e si metteva a piangere. Ma subito il rimorso si cangiava in odio contro il marito. Ah, in quella rabbia di cuore, in quel momento, se avesse potuto averlo fra le mani! E se le torceva, le mani, piangendo, smaniando. E il frutto di quell'uomo, intanto, maturava in grembo a lei… Sarebbe stata madre, tra poco! Il suo stato le faceva orrore; si dibatteva, cadeva in convulsione; e quelle crisi violente la lasciavano disfatta.

      Talvolta Paolo Sistri rimaneva un po', dopo cena, a tener compagnia. Sparecchiata la mensa, si rinfo-colava timidamente, intorno a quella tavola, sotto la lampada, un po' di vita familiare. Ma la voce usciva dolente da quelle labbra, quasi paurosa del silenzio imposto alla casa dalla sciagura. Di tratto in tratto Maria si recava in punta di piedi a origliare dietro l'uscio del padre.

      – Dorme, – rispondeva, rientrando, alla madre che la guardava in attesa.

      E la madre chiudeva gli occhi sul suo cordoglio e sospirava, rimettendosi al lavoro: al corredino per il nascituro.

      Bisognava far presto; poiché nessuno, finora, ci aveva pensato, a quel lavoro per il povero innocente che sarebbe venuto al mondo in quelle condizioni. Ci aveva pensato, da lontano, un'amica d'altri tempi, con la quale la signora Agata, per ordine del marito, aveva rotto ogni relazione.

      Si chiamava Anna Veronica, quest'amica. Quando la signora Agata l'aveva conosciuta la prima volta, ella viveva insieme con la madre, al cui mantenimento era orgogliosa di provvedere, insegnando nelle scuole elementari. Molti giovani in quel tempo s'erano messi a corteggiarla, sperando di trarre in inganno l'appassionata natura di lei; ma Anna, che veramente si consumava dentro nell'attesa d'un uomo a cui avrebbe consacrato il più ardente e devoto amore, s'era saputa sempre difendere. Qual-che mazzolino di fiori, lo scambio di qualche letterina, discorsi e sogni, fors'anche qualche bacio carpito: e basta poi.

      Pure nell'insidia era caduta una volta, poco dopo la morte della madre, e vi era stata vilmente trasci-nata dal fratello d'una tra le sue più ricche amiche, in casa delle quali soleva spesso recarsi dopo le interminabili ore di scuola, sempre ben accetta, poiché ella le ajutava nei loro lavori di cucito, le ral-legrava con le sue barzellette argute e pronte, e spesso rimaneva da loro a desinare e talvolta anche a dormire.

      Quella prima caduta era stata tenuta nascosta con interessata prudenza dai parenti del giovine, così che nulla di preciso n'era trapelato in paese. Anna aveva pianto segretamente la propria giovinezza sfiorita, l'avvenire spezzato, e aveva per qualche tempo sperato nel ravvedimento del giovine. Molte delle amiche, ignare o generose, le avevano conservato la loro amicizia, e fra queste Agata Ajala, al-lora da poco maritata.

      Dopo alcuni anni, però, Anna Veronica

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