L'esclusa. Луиджи Пиранделло

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L'esclusa - Луиджи Пиранделло

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ne scopriva anche dopo molto tempo, lasciava prorompere furibondo il dispetto accumulato, senza riflettere che ormai quelle escandescenze erano fuor di luogo, e che infine s'era fatto per non dargli dispiacere.

      Si sentiva estraneo nella sua stessa casa; gli pareva che i suoi lo tenessero per estraneo; e diffidava. Specialmente di lei, della moglie, diffidava.

      E la signora Agata, infatti, soffriva sopra tutto di questo: che nell'animo di lui fossero impressi due falsi concetti di lei: l'uno di malizia, l'altro d'ipocrisia. Tanto più ne soffriva, in quanto che lei stessa si vedeva spesso costretta a riconoscere che non senza ragione egli doveva credere così; perché davvero ella, mancando ogni intesa fra loro due, talvolta era forzata dai bisogni stessi della vita a far di nascosto qualcosa ch'egli non avrebbe certamente approvata; e poi a fingere con lui.

      Era sicura adesso la signora Agata, che il marito, nel furore, le avrebbe rinfacciato tutte quelle lievi concessioni che in tanti anni era riuscita con la dolcezza a ottenere.

      – Francesco! – chiamò con voce umile, nel silenzio della strada.

      – Chi è là? – domandò forte l'Ajala, scotendosi, curvandosi su la ringhiera del balcone. – Tu? Chi ti ha detto di venire? Vàttene! vàttene via subito! Non mi far gridare di qua!

      – Apri, te ne supplico…

      – Vàttene, t'ho detto! Non voglio veder nessuno! A casa! subito, a casa! No? Scendo, sai?

      E Francesco Ajala, diede uno scrollo poderoso alla ringhiera di ferro, e si ritrasse.

      Ella attese a capo chino, come una mendicante, appoggiata al portone, asciugandosi di tanto in tanto gli occhi con un fazzoletto che teneva in mano da quattr'ore.

      Un rumore di passi per il lungo androne interno, cupo, rintronante: lo sportello a destra del portone s'aprì, e l'Ajala, curvandosi, sporgendo il capo, afferrò per un braccio la moglie.

      – Che sei venuta a far qui? Che vuoi? Chi sei? Non conosco più nessuno io; non ho più nessuno; né famiglia né casa! Fuori tutti! Fuori! Schifo mi fate, schifo! Vàttene via! via!

      E le diede un violento spintone.

      Ella rimase, col braccio indolenzito dalla stretta, davanti al vano dello sportello; poi entrò come un'ombra, rassegnata ad aspettare ch'egli si votasse il cuore di tutta la collera, rovesciandogliela addosso; decisa anche a farsi percuotere.

      In mezzo al bujo androne, l'Ajala, con le mani intrecciate dietro la nuca, le braccia strette intorno alla testa, s'era messo a guardare la grande porta a vetri, in fondo, cieca nel blando chiaror lunare. Si voltò, sentendo nel bujo piangere la moglie; le venne incontro con le pugna serrate, ruggendo con scherno:

      – L'hai ricevuta in casa? Te la sei baciata, carezzata, lisciata, la tua bella figlia? Che vuoi ora da me? Che aspetti qua? me lo dici?

      – Vuoi partire… – singhiozzò ella, piano.

      – Subito, sì! La valigia…

      – Dove vuoi andare?

      – Debbo dirlo a te?

      – Ma anche… per sapere ciò che debbo prepararti… quanto starai fuori…

      – Quanto? – gridò lui. – E t'immagini ch'io possa ritornare? rimettere piede nella vostra casa svergognata? Via per sempre! In galera o sottoterra. Lo raggiungerò! lo raggiungerò! Oh, a costo di…

      – E ti par giusto? – arrischiò ella, desolatamente.

      – No, ma che! no! – tuonò egli con un ghigno orribile. – Giusto è che una figlia insudici il nome del padre! che si faccia scacciare come una sgualdrina dal marito, e che poi venga a insegnarne l'arte alla sorella minore! Questo è giusto, questo è giusto per te, lo so!

      – Come vuoi tu, – diss'ella. – Ma io ti domandavo se, prima di lasciarti andare a un tale eccesso, non ti pareva che convenisse piuttosto…

      – Che cosa?

      – Vedere se fosse possibile evitare lo scandalo.

      – Lo scandalo? – gridò egli. – Ma se Rocco è venuto qua!

      – Qua?

      – A mostrarmi le lettere!

      – Ah, tu le hai vedute? – domandò ella con ansia. – L'ultima? C'è la prova che Marta…

      – È innocente, è vero? – scattò egli, afferrandola per un braccio, respingendola, andandole addosso di nuovo. – Innocente? Innocente? hai il coraggio di dire innocente davanti a me? E qua, qua, qua, rossore, qua, ne hai? rossore, qua?

      E, in così dire, si percosse più volte furiosamente le guance. Poi ripigliò:

      – Innocente… Con quelle lettere? Avresti fatto lo stesso, dunque, tu? Sta' zitta! Non arrischiarti a scusarla!

      – Non la scuso, – gemette ella, piano, con strazio. – Ma se ho la prova, io, la prova che mia figlia non merita il castigo che le si vuole infliggere…

      – Ah, questo, – tonò cupamente l'Ajala, – questo l'ho detto anch'io a quell'imbecille…

      – Vedi? – gridò la moglie, quasi ilarata da un lampo di speranza.

      – Ma poi egli mi chiese se io, al posto suo, avrei perdonato… Ebbene, no! Perché io, – aggiunse, riafferrando per le braccia la moglie e scrollandola forte, – io non t'avrei perdonato: ti avrei uccisa!

      – Senza colpa.

      – Per quella lettera! Non ti basta?

      – Marta, sì, sarà colpevole, – si piegò allora ad ammettere la madre, – ma d'una leggerezza, non d'altro. Ma ora tu che vuoi fare? Partire, affrontare colui, tu! E non intendi che la sciagura, così… Lasciami dire, per carità! Ho fede, io, ho fede che un giorno, presto, la luce si farà…

      – Non scusare! Non scusare!

      – Non scuso Marta, no; accuso me, va bene. Me, me, perché io non dovevo lasciarlo fare questo matrimonio…

      – Accusi anche me, dunque?

      – Ma se tu stesso l'hai detto! Non te n'eri pentito? Abbiamo avuto troppa fretta di maritarla, e confessa che abbiamo scelto male! E quel che le toccò soffrire sotto la tirannia di quella strega della zia e del padre infame, prima che Rocco si risolvesse a far casa da sé? Questo non la scusa, sì, è vero, lo so; ma può rendere, mi sembra, meno severi nella pena. E pure una disgraziata… sì, una…

      Non poté seguitare. Nascose il volto nel fazzoletto scossa dai singhiozzi irrefrenabili.

      Egli, con un gomito appoggiato al muro e la fronte nella mano, scompigliava ritmicamente col piede un mucchietto di ferruche raccolte lì nell'androne, e, con le ciglia giunte, irsute, aggrondate, pareva solo intento a quell'esercizio del piede. Poi disse con voce cupa:

      – Giacché la colpa è mia e tua, questa è la nostra condanna, e dobbiamo scontarla. Bada! Rientro con te in casa; sarà, d'ora in poi, la mia e la tua prigione. Non ne uscirò che morto!

      Andò

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