L'esclusa. Луиджи Пиранделло

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L'esclusa - Луиджи Пиранделло

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lei. Lo trovò con la faccia contro il muro, che piangeva, solo.

      – Francesco…

      – Via! via! via!

      La spinse avanti, di furia. Chiusa la concerìa, fecero in silenzio il breve tratto fino a casa. Davanti alla porta, ordinò alla moglie di salire avanti, aggiungendo, minaccioso:

      – Non debbo vederla!

      Poco dopo, salì anche lui e andò a chiudersi a chiave in una camera, al bujo; si buttò sul letto, vestito, con la faccia affondata nei guanciali, stringendo con una mano la testata della lettiera.

      Giacque così tutta la notte. Di tratto in tratto, balzava a sedere sul letto. Tendeva l'orecchio. Nessun rumore per casa. Pure nessuno certo dormiva.

      Quel profondo silenzio gl'irritava sordamente l'interno tumulto dell'anima violenta. Così seduto, si torturava le gambe, le braccia, con le dita artigliate, stretto alla gola da una voglia rabbiosa, impotente, di piangere, d'urlare. Poi ricadeva sul letto, riaffondava la faccia nel guanciale bagnato di lagrime.

      Come! Aveva dunque pianto?

      A poco a poco, sotto l'incubo dei pensieri che gli si presentavano sempre con la medesima forma, col medesimo giro, si stordì e rimase a lungo immobile, quasi inconsapevole, sospirando di tratto in tratto, stanco; ridestandosi talora con la coscienza ottusa e la sensazione soltanto degli occhi aridi, sbarrati nel bujo della camera.

      Poi le fessure delle imposte cominciarono a schiarirsi. Grado grado, quei fili esili d'umido albore s'accesero vieppiù nel bujo, rifulsero biondi: il sole!

      Egli dal letto, con le mani intrecciate dietro la nuca, guardava le imposte. Giù per la strada cominciava il trànsito continuo dei carri, ed era come se gli passassero per la mente: li vedeva, così giacente e compreso ancora dal tepore del letto e della camera, con l'anima appena risentita. Di fuori, il giorno… il lavoro… Gli operaj, seduti l'uno accanto all'altro sul marciapiedi, aspettano che s'apra il portone della concerìa. Ecco, suona la campana, entrano, a due a due, a tre, allegri o taciturni, con un fagottino sotto il braccio. Il vecchio Scoma, ah, quegli non parla mai… sua figlia…

      Anche mia figlia! anche mia figlia! Peggio di quella! Quella non tradì, fu tradita; e ora la miseria…

      Balzò dal letto, quasi per correre da Marta e afferrarla per i capelli, trascinarla per casa, percuoterla a sangue.

      Due picchi all'uscio, timidi.

      – Chi è? – gridò sobbalzando.

      – Io… – sospirò una voce, dietro l'uscio.

      – Via! Non voglio veder nessuno!

      – Se hai bisogno…

      – Via! via!

      E sentì i passi della moglie allontanarsi pian piano, e li seguì col pensiero nelle altre stanze. Dov'era «ella»? che faceva? poteva aver l'ardire di parlare, di guardare in faccia la madre, la sorella? e che diceva? Svergognata! svergognata!

      Il pensiero di lei, la curiosità di vederla, il bisogno quasi di sentirla tutta piangere tremante sotto gli occhi suoi senza concederle il perdono supplicato in ginocchio, lo tennero tra le smanie tutto il giorno. Aveva lasciato la camera al bujo, ed era giunto a sentir finanche orrore delle fessure luminose delle imposte che gli ferivano gli occhi ogni qualvolta si voltava, passeggiando.

      Sul tardi, condiscese ad aprire alla figlia minore. Aprì l'uscio e si stese di nuovo sul letto.

      – Richiudi subito!

      Maria richiuse subito l'uscio e posò a tasto una tazza di brodo sul tavolino da notte.

      – Ti senti male?

      – Non mi sento nulla, – rispose con durezza.

      Maria sedette, sospirando piano, a piè del letto, col tovagliolo tra le mani.

      Egli si levò su un gomito, forzandosi a discernere la figlia nel bujo.

      Maria non era mai stata la preferita. Era cresciuta quasi all'ombra di Marta, e da se stessa pareva si fosse acconciata al còmpito di stare accanto alla sorella adorata per farne meglio risaltare l'ingegno, lo spirito, la bellezza. Nessuno aveva mai badato a lei, né ella se n'era mai neppure lagnata fra sé, vinta anch'essa dal fascino di Marta. Pensieri e sentimenti erano rimasti chiusi in lei, quasi non richiesti da nessuno. E né il padre né la madre pareva si fossero peranche accorti ch'ella era cresciuta, ch'era ormai donna. Non bella, né vaga; ma dagli occhi e dalla voce spirava tanta bontà e dagli atteggiamenti così timida grazia, che riusciva a tutti irresistibilmente simpatica.

      – Maria, – chiamò con voce rauca il padre, ancora nella stessa positura.

      Maria accorse al letto e si sentì all'improvviso cingere e serrare forte dal braccio di lui, si sentì sul seno la testa del padre. Così piansero entrambi, senza dir nulla, vieppiù stretti, a lungo.

      – Vàttene, vàttene… – diss'egli alla fine, angosciato. – Non voglio nulla… Voglio restar solo…

      E la figlia obbedì, tremante ancora dalla tenerezza inattesa.

      IV

      Maria aveva ceduto a Marta la cameretta, in cui questa soleva dormire da ragazza. Nulla era mutato in essa, nulla di suo vi aveva messo Maria.

      Era ancora lì quel caro armadietto dalle antiche pitture villerecce su gli sportelli, alle quali la pàtina veramente aveva più aggiunto che tolto. Era ancora lì il tavolinetto da lavoro della nonna dall'impial-lacciatura arsa e scoppiata da tanto tempo, da quella sera, in cui ella vi aveva lasciato cader sù il lu-me e per poco la fiamma non le si era appresa alle gonnelle. Ecco lì ancora, accanto al lettuccio d'ot-tone, l'acquasantiera di vetro e, sotto, la rametta di palma col nastro roseo, ora sbiadito.

      C'era acqua santa in quella piletta? Oh, certo sì: Maria era tanto divota!

      E al capezzale l'ECCE HOMO d'avorio, riparato da una lastra concava dentro la cornice ovale, nera; l'ECCE HOMO che una volta aveva chinato in segno d'assentimento il capo incoronato di spine a lei e a Maria accorse una dopo l'altra a supplicarlo per la madre colta da improvviso malore.

      Marta non era mai stata superstiziosa; pure quel segno non le era uscito mai più dalla memoria, con lo strano sgomento nel sapere dalla sorella, alquanto tempo dopo, che anche a lei era parso di vedere l'ECCE HOMO chinare il capo in segno di assentimento.

      Allucinazioni, certo! Ma, tuttavia, perché non osava adesso alzar gli occhi a guardare quell'immagine sacra al capezzale?

      Non era davvero innocente? Aveva forse amato l'Alvignani? Ma via! Non le pareva neanche ammis-sibile che qualcuno potesse crederci sul serio. Tutto il suo torto consisteva nel non aver saputo re-spingere, come doveva, quelle lettere dell'Alvignani. Le aveva respinte, ma da inesperta, risponden-do… A ogni modo, non si sentiva in nulla, per nulla colpevole verso il marito.

      Della furtiva corrispondenza epistolare aveva letto con interesse solo quella parte che si riferiva al caso di coscienza tanto grave, quanto ingenuamente da lei esposto all'Alvignani in risposta alle pri-me lettere di lui troppo filosofiche, per disgrazia, nella loro composta sentimentalità.

      Delle frasi d'amore non s'era curata, o ne aveva riso, come di superfluità galanti e innocue. S'era in-somma impegnata tra

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