Regno Diviso. Джек Марс

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Regno Diviso - Джек Марс

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faceva ginnastica, potevano accadere cose – potevano scintillare idee, crearsi collegamenti. Era questo che Luke voleva dai suoi.

      Finora l’idea funzionava esattamente come da programma. Oggi era una giornata di nevicate, ed erano solo le sette e mezza. E comunque la sala era già un andirivieni di sgobboni che facevano colazione.

      Ed fece spallucce. “Bene. Crescono troppo in fretta.” Era stravaccato sulla sedia, ancora con la tuta, a mescolare olio di cocco biologico nel caffè al posto della panna.

      “Cassandra mi fa fare i salti mortali per vederle, ma non è una novità. Nulla che non possa gestire. Ha presentato una mozione al tribunale per costringermi a rivelare dove mi trovo in qualsiasi momento. Io ho detto che spesso si tratta di informazioni secretate, e per fortuna il giudice su questo è stato dalla mia parte.

      “Poi Cassandra durante le vacanze di Natale ha preso e si è trasferita nella periferia a sud di Richmond. Afferma che laggiù le scuole sono migliori, più sicure, e probabilmente è vero. Però alle ragazze non fa bene spostarsi continuamente così. In più, non è che a me sia indifferente che il giudice le abbia detto non lasciare la Virginia; si è trasferita il più lontano possibile pur rimanendo nello stato. Mi facevo un viaggetto di venti miglia per vedere le ragazze, e adesso sono più di duecento.”

      “Cassandra è una donna bellissima,” disse Luke. Mai dette parole più vere. L’ex moglie di Ed era alta e statuaria. Era come se Naomi Campbell non fosse mai stata scoperta, non fosse mai diventata una top model, e Ed se la fosse sposata. E ci avesse avuto dei figli insieme.

      Per poi divorziare.

      Adesso Ed sorrise. “È così che ti fanno finire in trappola.”

      “È la cosa più naturale del mondo,” disse Luke.

      “È così dall’inizio dei tempi,” disse Ed. “Ma immagino che non mi hai interrotto l’allenamento per discutere dei calvari nelle relazioni tra uomini e donne.”

      Luke scosse la testa. “No. Hai sentito dello schianto aereo che c’è stato in Egitto?”

      “Come avrei potuto non sentire niente?” disse Ed. “Però non hanno detto molto. Si può perdonare allo spettatore medio di pensare che si sia trattato di un normale schianto aereo. Solo una di quelle disgrazie che a volte succedono.”

      “Non lo è stato,” disse Luke bevendo il caffè nero.

      Ed sorrise. “Dimmi qualcosa che non so.”

      “Stamattina sono stato alla Casa Bianca.”

      Adesso il sorriso gli andava quasi da un orecchio all’altro. “Ho detto, dimmi qualcosa che non so.”

      “C’è stata una riunione di emergenza,” disse Luke. “Kurt Kimball pensa che l’aereo sia stato abbattuto da un attacco tramite razzi che nello specifico aveva come obiettivo Marshall Dennis. Stava per aprire un hotel sul Mar Rosso.”

      Ed fissò il suo caffè, pensandoci su. Gli si oscurò il volto. Continuava a mescolare l’olio di cocco.

      “Ok.”

      “Alla riunione c’era il generale Loomis.”

      “Frank Loomis?” disse Ed. “JSOC?”

      “Lo conosci?”

      Ed scrollò le spalle. “Una volta gli sono stato prestato dalla Delta. L’operazione è andata peggio che poteva. Ha quasi fatto ammazzare un po’ di noi. Un giorno te lo racconterò.”

      Luke annuì. “Stamattina faceva lo schivo. Ha detto che i suoi dell’intelligence gli hanno detto che l’attentato è stato un diversivo, una copertura per qualcosa di più grosso. Quando la presidente lo ha incalzato per sapere come facesse a dirlo, o quale potrebbe essere il prossimo attacco, lui ha detto che…”

      Ed finì la frase per lui. “Non aveva la libertà di discuterne.”

      “Esatto,” disse Luke.

      “Allora noi qui che ruolo abbiamo?”

      “C’è un tizio a Baltimora. Trudy e Swann pensano che sia sporco, e che stia per scappare dalla città. Vorrei beccarlo oggi prima che scompaia. Vedere che cos’ha da dire. Non otterremo mai un mandato di arresto, almeno non con breve preavviso, quindi…”

      Ed sorrise. “Vuoi che ci vada io, a prenderlo?”

      Luke scrollò le spalle. “Direi che dovrebbe farlo una squadra di sei persone. Parti con un paio dei tuoi migliori per assicurarti che vada tutto a buon fine. Però portati anche un paio dei tuoi novellini. Mi piacerebbe vederli in azione, vedere che cosa abbiamo davanti.”

      “La situazione com’è?” disse Ed.

      “È una casa. I dettagli ce li ha Swann. Ci sono due donne e due bambini. Tre maschi adulti. Tutto ciò che vogliamo è il soggetto, che ha passato i sessanta. Io direi entrata turbolenta, azione rapida, lo beccate e lo portate fuori. Cercate di non rompere niente.”

      “In altre parole,” disse Ed, “non uccidete nessuno.”

      Luke annuì. “Esatto.”

      “Sei proprio delicato,” disse Ed.

      Luke sorrise. “Ci provo.”

      “Ok. Consideralo fatto.”

      CAPITOLO SEI

      8:40 ora della costa orientale

      Westgate

      Baltimora, Maryland

      “Vedi il posto?” disse Ed nel microfono.

      La profonda voce gutturale di Mark Swann si fece sentire nella cuffia. “Vuoi dire in tempo reale?”

      Ed scosse la testa. “No, voglio dire nel 1978. Sì, in tempo reale, Swann.”

      “Certo che no. Non vedo niente. Oggi non ho un drone in volo, e anche se potessi metterne su uno, le nuvole sono troppo basse. Tutto ciò che vedo viene dalle telecamere che avete addosso.”

      “Quindi non vedi che cosa succede sul retro.”

      “No, non al momento. Ma tu hai la mappa aerea, no? E la pianta?”

      Ed sospirò. “Sì.” Sarebbero entrati alla cieca.

      “Allora dovresti essere a posto.”

      Ed sedeva sul retro di un furgone bianco parcheggiato in strada a trenta metri dalla casa in cui viveva Mustafa Boudiaf. Il mezzo aveva su un logo arancione, giallo e verde della SMECO, con nel mezzo un lampo. SMECO era l’acronimo di Southern Maryland Electrical Cooperative, un’azienda elettrica che quella zona non la serviva nemmeno.

      Nel furgone con lui c’erano tre persone, i membri della sua squadra. Erano vestiti come lui – maglie di lana nere a maniche lunghe, pesanti giubbotti tattici e pantaloni cargo foderati di un Dragon Skin leggero. Sopra ai giubbotti tattici c’erano

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