Una visita preoccupante. Фиона Грейс
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Aprì la app e vide che tutte le notifiche riguardavano messaggi di Naomi. Sembrava aver inviato una raffica di domande. Domande molto strane…
Quanto dista Wilfordshire dalla Scozia?
In Inghilterra c’è una stagione dei monsoni?
Ci sono le zanzare in estate?
Lacey socchiuse gli occhi, le sopracciglia ancora umide di lacrime. Era profondamente perplessa. Perché Naomi era così improvvisamente e stranamente interessata al Regno Unito?
Rispose:
La Scozia è a 500 miglia da qui.
Non ci sono monsoni, ma piove un sacco.
Sì, ci sono zanzare.
Poi aggiunse alla fine:
Va tutto bene?
La risposta di Naomi fu immediata. Era come se la sorella fosse stata lì con il telefono davanti agli occhi ad aspettare la risposta di Lacey alla sua bizzarra lista di domande.
Ci sono montagne a Wilfordshire?
Lacey alzò le mani in aria, frustrata. Ma di cosa diavolo stava blaterando Naomi? Perché quell’improvvisa curiosità?
No, le rispose. Ci sono scogliere. Perché lo chiedi?
Lacey non poté fare a meno di chiedersi se Naomi avesse scoperto qualche genere di pista riguardante loro padre – la foto di una montagna piovosa, per esempio – ma forse quello era solo un pensiero alimentato dalle sue speranze. Naomi, di suo, preferiva fingere che loro padre non fosse mai esistito. Era molto più probabile che sua sorella stesse partecipando a un quiz per beneficienza al pub.
Il suo telefono continuò a trillare e vibrare, man mano che altre strane domande arrivavano da parte di Naomi. Lacey sospirò e mise via il cellulare. Era stata una breve distrazione dal dolore per Chester, ma non poteva stare tutto il giorno nel parcheggio del veterinario: aveva un negozio da mandare avanti.
Lacey tornò al suo negozio ed entrò.
Gina diede un’occhiata al suo volto rigato di lacrime ed esclamò: “Hanno soppresso Chester!”
“No!” esclamò Lacey. “Sta male. Deve stare per un po’ sotto osservazione dal veterinario.”
Gina si portò una mano al petto. “Grazie al cielo. Mi hai spaventata.”
Lacey si lasciò cadere sulla sedia dietro al bancone, affondando la testa tra le mani. Fu solo allora che si rese conto che i messaggi di Naomi l’avevano completamente distratta dal chiamare Tom e cancellare il viaggio a Dover. Guardò fuori dalla vetrina, in direzione della pasticceria dall’altra parte della strada, osservandolo mentre si muoveva indaffarato nel suo negozio. Sorrise mestamente. Aveva voluto così tanto passare una breve vacanza romantica con lui.
“Adesso dovrò cancellare il viaggio a Dover,” disse Lacey con un profondo sospiro. “Non posso abbandonare Chester mentre è malato. Lakshmi ha detto che delle visite gli farebbero bene.”
“Posso andare io a trovarlo,” le disse Gina.
Lacey esitò. Sollevò la testa e incrociò lo sguardo di Gina. Poi scosse la testa. “Non potrei chiederti di fare una cosa del genere. Fai già così tanto.”
“Esatto. Cosa vuoi che sia un’altra commissione da aggiungere alla lista?”
Lacey era reticente. A volte aveva l’impressione di caricare Gina di troppe responsabilità e richieste. Non aveva la minima intenzione di diventare il genere di boss che si aspetta dai suoi dipendenti un comportamento da soldatini, proprio come era stata la sua severa capa a New York.
Scosse di nuovo la testa. “No. Non sarebbe giusto. Non puoi stare dietro al negozio, prenderti cura di Boudicca e andare a controllare Chester ogni giorno.”
“E tu non puoi continuare a lavorare tutti i giorni senza una pausa,” contestò l’amica. Si mise le mani sui fianchi e la guardò con espressione severa. “Quand’è stata l’ultima volta che ti sei presa un giorno libero?”
Lacey iniziò a calcolare mentalmente, ma Gina la interruppe prima che potesse arrivare alla risposta.
“Esatto!” esclamò la donna. “Non riesci neanche a ricordarti quand’è stato, da tanto tempo è passato. Senti, signorinella, ti ordino di andare a fare il tuo viaggio. Se non ci vai, io mi licenzio.”
Lacey sentì un debole sorriso incurvarle le labbra. Dove sarebbe stata se non avesse trovato Gina? “Ti porterò un regalo di ringraziamento,” le disse docilmente.
“Non serve!” tuonò lei con tono plateale. “Il tuo regalo sarà vederti tornare rilassata e felice.”
“Sono stata piuttosto nervosa ultimamente, vero?”
Gina annuì con decisione.
Lacey rifletté che erano successe un sacco di cose da quando si era trasferita in Inghilterra. Anche se la maggior parte di queste erano state positive, quel bene si era mescolato con un sacco di aspetti negativi. E tutto aveva lasciato un certo segno su di lei. Lacey aveva bisogno di premere il pulsante reset, ripulire la mente dalle ragnatele.
“Davvero non ti dà fastidio?” le chiese.
Gina si mise una mano sul cuore. “Sinceramente, al cento per cento: non mi dà fastidio.”
Lacey provò uno slancio di gioia. Saltò in piedi dalla sedia e fece cenno a Gina di avvicinarsi al bancone, in modo da poterla abbracciare. Ma prima che potesse farlo, il campanello sopra alla porta suonò, annunciando un qualche cliente. Voci americane molto forti riempirono il negozio.
Voci americane molto forti e molto familiari…
La testa di Lacey si girò di scatto verso la porta. Da lì stavano entrando nel suo negozio di antiquariato nientemeno che sua sorella Naomi, suo nipote Frankie… e sua madre.
CAPITOLO TRE
Lacey sbatté le palpebre. Di certo era un’allucinazione. Ma quando il suo nipotino dai capelli ramati gridò “Zia Lacey!” non ci fu più alcun dubbio. Sua madre, sua sorella e suo nipote erano davvero lì! A Wilfordshire! Nel suo negozio!
Gina si voltò a guardarla e la sua bocca formò una perfetta O di sorpresa. “Lacey? È la tua famiglia?”
Aveva gli occhi sgranati dietro ai suoi spessi occhiali dalla montatura rossa. Ma Lacey era troppo stupefatta per poter rispondere. Tutto quello che riusciva a fare era restare a fissare la scena.
Come avevano fatto ad arrivare qui? Perché erano qui?
Il pesante tonfo dello zaino che Frankie aveva appena fatto cadere a terra la risvegliò di colpo dalle sue considerazioni. Il bambino le si lanciò incontro di corsa.
Era cresciuto di almeno 10 centimetri da quando Lacey l’aveva visto l’ultima volta e ora aveva un sorriso maturo che trasformava il suo volto di bambino in quello di un ragazzo.
“Sorpresa!”