La Vicina Perfetta. Блейк Пирс
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Funzionò. Meno di dieci minuti dopo, l’agente se ne stava andando, portandosi dietro una tazza di caffè da asporto e un contenitore di plastica con le uova al formaggio su cui aveva cambiato idea.
“Ci vediamo venerdì,” ricordò a Kyle. “Nove in punto nel mio ufficio.”
“Non vedo l’ora.”
Cinque minuti dopo era fuori dalla porta anche lui. Montò in auto e salutò gli agenti dell’FBI parcheggiati dall’altra parte della strada, dove si piazzavano di tanto in tanto da quando si era trasferito lì. Ripassò mentalmente il programma. Sapeva che tra tutti gli incontri e le interviste, sarebbe stato difficile organizzare la distruzione metaforica e fisica di Jessie Hunt. Ma era fiducioso di riuscirci. Dopotutto aveva già gestito quello che poteva rivelarsi un crollo quasi totale della sua carriera da dietro le sbarre.
Con la formidabile assistenza del cartello della droga Monzon con base a Monterrey, aveva coordinato ogni genere di incubo per Jessie. Era partito dalle piccole cose, chiedendo ai soldati del cartello di tagliarle i copertoni dell’auto. Poi era passato al nascondere le pillole, a fare chiamate anonime ai servizi sociali suggerendo che abusasse di sua sorella e, meglio di tutto, hackerare le sue pagine social e postare commenti razzisti. Quel colpo stava mostrando i suoi strascichi ancora adesso e la persona della sua ex moglie non era vista di buon occhio da tanti a Los Angeles, anche dopo che era stata tecnicamente esonerata.
Il cartello lo stava aiutando ad assicurare che ci fossero ancora delle proteste fuori dalla centrale dove lei lavorava. C’era in programma che la sua macchina venisse presto marchiata con dei graffiti. E poi sarebbe iniziato il meglio.
Prima ci sarebbe stata l’eliminazione di quelli che le stavano più vicini. E poi, quando si fosse trovata nella condizione più emotivamente vulnerabile, sarebbe andato da lei e avrebbe fatto quello che sognava da anni. All’inizio aveva pensato di squartarla e guardare il suo volto riempirsi di orrore mentre le tirava fuori gli organi e li bruciava davanti a lei. Ma ora aveva in mente qualcosa di effettivamente peggiore. La vendetta sarebbe stata stronza, per quella stronza.
CAPITOLO CINQUE
Jessie mangiucchiava nervosamente il suo muffin.
Mentre sedeva al Nicker Diner sulla South Main Street e aspettava l’arrivo di Garland Moses, aveva la strana sensazione che qualcuno stesse tradendo l’altro. Di solito lei e Ryan lavoravano insieme. Ma Ryan aveva indagato su un caso la sera precedente insieme a Garland a Manhattan Beach. La loro coalizione era una sorta di violazione personale? Lo era questo incontro per la colazione mattutina? Sapeva che logicamente era un pensiero ridicolo. Eppure la sensazione era persistente.
Garland finalmente entrò nel locale alle 8.30, una mezz’ora precisa di ritardo sull’orario che avevano concordato per il loro incontro. I suoi capelli bianchi sembravano ancora più arruffati e scombinati del solito. Gli occhiali bifocali parevano essere pericolosamente in bilico sul suo naso, pronti a cadere da un momento all’altro. Non alzò neppure lo sguardo mentre si dirigeva al tavolino che Jessie sapeva essere il suo preferito.
Jessie incrociò lo sguardo del cameriere e gli fece cenno di portare del caffè per il nuovo avventore, che sembrava averne bisogno. Dopo essere stata alzata fino a tardi, anche lei avrebbe avuto quella faccia, e aveva trent’anni, non settantuno.
“Nottata intensa?” gli chiese mentre lui si sedeva.
Garland le sorrise mestamente.
“Sono stato su ben oltre il mio solito orario per coricarmi,” ammise. “Come sono sicuro possa attestare anche il tuo ragazzo. Avrei davvero bisogno di un buon caff…”
Smise di parlare quando in quel momento una tazza piena venne posata sul tavolino davanti a lui.
“Mi ha letto nel pensiero,” disse al cameriere, che a sua volta indicò Jessie.
“A dire il vero è stata lei.”
“Questa è profilazione di qualità,” disse, prendendo un sorso dalla tazza.
“Questa non è profilazione, Garland. Sapere che vuoi un caffè quando entri qua dentro è come sapere che il sole sorge a est.”
“Grazie lo stesso,” le disse.
“Com’è andata ieri notte?” gli chiese.
“Hernandez non ti ha raccontato?”
“Stava uscendo quando mi sono alzata. Non ha voluto svegliarmi, continua a dirmi di riposare e roba del genere.”
“Magari dovresti dargli ascolto,” suggerì Garland provocatorio. “Ti stai riprendendo da ustioni multiple, una concussione e ossa ammaccate.”
“Stai cercando di fare il simpatico, Garland?” gli chiese. “Perché se la risposta è sì, ti dico che faresti bene a concentrarti sul tuo lavoro quotidiano, che a quanto pare ora è diventato anche lavoro notturno.”
“Non cercare di cambiare argomento,” ribatté Garland. “So che stai tentando di tornare al lavoro prima di quanto vogliano i medici, e non dovresti farlo. Aspetta che il tuo corpo sia pronto.”
“Come fai a sapere che sto tentando di tornare al lavoro prima?” gli chiese.
“Facile,” le rispose con un sorriso malizioso. “Ogni volta che ti pieghi o ti giri, ti irrigidisci un poco, cosa che mi fa capire che stai prendendo una dose più bassa di antidolorifici, rispetto a quella prescritta. E poi continui a spingerti in avanti come una scolaretta preoccupata che la suora di turno le sbacchetti le mani per essere stata a ciondolare sul banco.”
“Cosa c’entra tutto questo?”
“Hai paura di appoggiarti con la schiena alla sedia, perché è ancora dolorante. Quindi hai adottato la postura più composta che abbia mai visto al di fuori di un romanzo di E.M. Forster.”
Jessie scosse la testa, tanto frustrata quanto stupita.
“È quasi come se lo facessi per lavoro.”
“I complimenti li trovi dappertutto,” le disse sorseggiando ancora il caffè. “Ma dico sul serio. Dovresti andarci piano finché puoi. E poi stare alla larga dalla scena pubblica potrebbe contribuire alla scomparsa degli ultimi sprazzi derivanti da quei post razzisti.”
“I post che non ho scritto io?” gli ricordò Jessie.
“Non è questo il punto,” le disse con tono rassegnato. “Per quante prove tu possa offrire che il tuo account ha subito l’attacco di un hacker, alcune persone sono ancora intenzionate a pensare il peggio di te.”
“Quindi pensi che dovrei starmene nascosta fino a che la gente si dimenticherà di pensare che sono razzista?” gli chiese scettica.
Garland sospirò ma non abboccò all’amo.
“Magari fai quello che sta facendo la tua amica Kat,” le suggerì.
L’amica di Jessie, la detective privata Katherine ‘Kat’ Gentry, stava attualmente seguendo una completa riabilitazione neurologica alla Clinica Mayo di Phoenix. Era stata insieme a Jessie durante il salvataggio della donna rapita nella casa in fiamme. Entrambe avevano subito delle concussioni per l’esplosione di una bomba sulla scena.
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