Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi

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Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - Francesco Domenico Guerrazzi

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tristo ufficio sparlando presso voi delle persone di cui la fama vi è cara. — Isabella, credetelo sopra l’anima mia, voi correte pericolo di vita....”

      — “Lionardo, voi così savio capirete troppo bene come in casi tanto importanti male può l’uomo [pg!80] convincersi dell’altrui convinzione; voi avete fatto molto, avete fatto anche troppo, onde mi neghiate onestamente il meno....”

      — “È vero; e poi io venni qua disposto a mettere in avventura la vita: non vi raccomando discrettezza per me, ve la chiedo per voi, e per tale, che so che amate più di voi....”

      — “Sta bene, parlate.”

      — “Ieri mi recai di buon mattino da Francesco, il quale mi aveva mandato a chiamare, ond’io lo informassi intorno alla correzione del Boccaccio, che ho impreso dietro gli ordini di lui: egli era sceso nella officina chimica; io nonostante mi feci annunziare da uno staffiere, il quale di lì a poco tornò dicendomi, che andassi pure costà, che il serenissimo padrone, come persona di casa, mi riceveva senza cerimonie nella officina. Io rinvenni Francesco tutto affaccendato intorno ad un fornello, considerando certa sostanza chiusa dentro un’ampolla di vetro. Appena mi vide, così mi parlò: — «Buon giorno e buono anno, cugino Lionardo; io sto dietro ad una esperienza che non mi riesce condurre a termine; or ora leggerò il vostro lavoro del Decamerone, che avrete emendato da pari vostro, lasciando stare le bellezze, e togliendo quanto offende i buoni costumi e la religione. Peccato, che cotesto grande uomo non avesse costumi buoni! Ma non vi è pericolo, Lionardo, ch’ei sia andato perduto? N’è vero, cugino, che messere Giovanni prima [pg!81] di morire si pentisse, e lasciasse il mondo in odore di santità?» — Alla quale domanda risposi, che il Beato Giovanni Colombini nella vita del Beato Pietro dei Petroni ci assicura, come il Beato Pietro, poco prima che si partisse a vita migliore, mandasse Giovacchino Ciani a riprendere il Boccaccio dei suoi scritti e dei suoi costumi meno che onesti, e nel tempo stesso a svelargli certi segreti così riposti nel proprio animo, che il Boccaccio teneva per fermo nessuno, tranne lui, potesse saperli. Della quale cosa percosso, messere Giovanni pianse amaramente i trascorsi passati, e rendendosi a Dio ne fece mirabile penitenza.33 — «Gran mercè, riprese Francesco; voi mi avete dato una consolazione desideratissima, accertandomi che il nostro messere Giovanni adesso stia in luogo di salute. Or via, siatemi cortese di aspettarmi per un po’ di tempo, tanto ch’io mi sbrighi da questa faccenda: andate costà in libreria, vi troverete in buon dato libri, e parecchi nuovissimi.» — Entrai nella libreria, fingendo leggere il primo libro che mi capitò tra mano, ma seguitava con occhio obliquo il lavorío di Francesco. Costui non finiva mai di soffiare nei carboni, guardare attraverso l’ampolla, e poi volgersi a un vasetto sopra la tavola; e quindi presa un pocolino di polvere tra le dita, considerandola attentamente diceva: «Bisogna dire che i nostri vecchi ne sapessero più di noi, che ce ne abbiano date ad intendere a serque: il colore ci è; l’apparenza l’ho [pg!82] trovata; ma il sapore.... il sapore...., e l’arsenico sembra fuori di dubbio che ci entrasse: eppure nelle note al mio Poggio, e nella Cronaca Trivigiana leggo che il Conte di Virtù.... — in fè di Dio, gli era proprio tagliato a suo dosso questo titolo! — avvelenasse con tossico che pareva in tutto e per tutto sale, lo zio Bernabò, facendoglielo porre così naturale sopra i fagiuoli.... ma non mi riesce a trovarlo; io darei mille ducati....!» — In questa, ecco uno staffiere entrare nella officina, ed annunziare il bargello. Io non so per quale motivo presi a tremare; guardai la stanza, speculando se vi era modo di quinci partirmi, e trovai una porta che metteva in cortile. Sul punto di uscire. Dio m’inspirò tornare: seguitai la prima ispirazione, che quasi sempre ho provato buona, e mi posi cautamente in ascolto. Il bargello era entrato, e così favellava: «Il cavaliere Antinori, come sa la Eccellenza Vostra Serenissima, arrivò ieri da Portoferraio....”

      — “Come!” interruppe Isabella, “il cavaliere Bernardo venne a Firenze senza che noi ne abbiamo notizia?”

      — “Il cavaliere Antinori a questa ora è sepolto. Dio faccia misericordia all’anima sua!”

      — “Gran Madre del Signore! ch’è quello ch’io sento! Lionardo, ne siete voi sicuro?”

      — “Lasciate che io termini. — Il bargello continuava: — «Lo conducemmo subito dal cavaliere Serguidi, che gli fece una bravata terribile per [pg!83] l’onta recata al suo principe, ammonendolo che si costituisse in colpa, e si commettesse alla clemenza vostra. Ma il cavaliere negava a spada tratta, finchè il Serguidi con voce minacciosa cavò una lettera dicendo: — «Or via, negherete voi questa?» — Il cavaliere, visto appena quel foglio, diventò come un panno lavato; tutto sbaldanzito alzava le mani supplichevole, senza potere articolare parola. — «Andate via;» conchiuse il Serguidi, «voi non meritate perdono.» — Il cavaliere si partiva che pareva ebbro, sì gli tremavano le gambe sotto, e tirava di lungo per andarsene a casa come se non fosse fatto suo: io gli tenni dietro con la famiglia, volendomi un po’ prendere spasso di costui.» — «Delle tue,» — interruppe Francesco; «porgimi quel soffietto; va innanzi, ch’io ti ascolto: non mi tacere nulla, chè ci prendo propriamente gusto.» — E il bargello: — «Ei camminava d’inspirazione, perchè si avviava verso il Palagio. Quando fu alla porta dei lioni, io me gli scopersi, e gli dissi: — Messere, togliete in pace ch’io vi serva da maggiordomo: il serenissimo nostro padrone vi ha preparato un quartiere da pari vostro qua dentro.... — Il cavaliere mi guardò come trasognato, e si lasciò condurre a modo di agnello: stamane poi prima di giorno sono entrato in prigione col cappellano, e se la dormiva ch’era uno incanto....» — «Dormiva?» interrogò Francesco alzando la faccia, che pareva imbrattata di sangue, di sopra agli ardenti carboni. — «Dormiva.» — «Egli [pg!84] non doveva dormire!» — «Eppure dormiva.» — «Voi gli avete lasciato passare l’ultima notte in pace. Così si può dire che non abbia sofferto nulla! E non posso tornare da capo.... n’è vero?» — Il bargello faceva col capo cenno affermativo. — «Io l’ho scosso, ed egli si è svegliato alzandosi a sedere sopra il letto; e ha domandato: — Che ci è egli? — Svegliatevi un momento, gli ho risposto; poi dormirete a bello agio: eccovi un prete; voi non avete più di una ora a morire.» — «Ed egli?....» cercava di nuovo Francesco. — E il bargello: «Egli ha risposto: sia fatta la volontà di Dio.» — «Come, propriamente così?» — «Così per l’appunto.» — «Ma che non hanno paura di morire?» — «E’ pare che ce li abbiate avvezzati.» — «No, in questo modo è troppo poca cosa la morte: provvederemo. Séguita.» — «Si è confessato per filo e per segno, e poi mi ha chiesto in grazia di scrivere: gli ho dato carta, penna e calamaio; ma tremava così forte, che non poteva formare lettera. Vedete, Serenissimo.» — E mostrava una carta. Francesco, deposto il soffietto, l’ha tolta in mano, e la esaminando parlava: — «Mira un po’ i bei grotteschi! non vi leggo nulla.» — «Ve lo diceva che non potè scrivere parola. Allora io ho creduto bene osservare: Messere cavaliere, poichè mi accorgo che voi non potete fornire il fatto vostro, consentite ch’io faccia il mio; e messegli prima le manette, gli ho passato la corda al collo, e l’ho fatto strangolare in buona [pg!85] regola....» — «Va bene: e il capitano Francesco?» — «Oh! Il capitano ha preso vento; si è cacciato la calcosa tra i viandanti, ed in Firenze non si trova....» — Qui non è da dirsi in quale matta frenesia abbia rotto Francesco: mandava spuma dalla bocca, sangue dagli occhi: — «Va, corrigli dietro!» urlava; «spedite cavallari apposta, scoppiate cavalli.... ai confini.... ai confini.» — E il bargello non sapeva che cosa farsi. Intanto l’ampolla di vetro, non so per qual causa, si è spezzata: le schegge in parte hanno colpito la faccia del bargello internandosi nella carne; quel tristo cacciava fuori dolorosissime strida. Allora Francesco ad un tratto è tornato cupo e silenzioso; se non che volgendosi al bargello, gli ha detto freddamente: — «Affrettate a curarvi, perchè il vetro è avvelenato.» — Il bargello fuggiva a precipizio mugolando: — «Povera moglie! poveri miei figliuoli!....» — Se in quel punto mi avessero tratto sangue, non me ne sarebbe uscita una goccia: mi sentivo come inchiodato là dov’era; già mi tenevo spacciato raccomandando la mia anima a Dio. Per ventura Francesco si è lasciato andare giù sopra una sedia, abbassando la testa come uomo che si sprofonda dentro un pensiero; ed io distintamente più volte, e ve lo giuro sopra la vita di mia madre,

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