Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi

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Isabella Orsini, duchessa di Bracciano - Francesco Domenico Guerrazzi

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e tre anni fanno molte eternità nelle cose di amore. — Eternità! vedete un po’ voi se sia concetto o parola che alla mente e alle labbra dell’uomo, e più a quelle della femmina, convengano! I contratti di amore principiano ordinariamente bilaterali, e spesso terminano unilaterali; il meglio sta, ma è raro, nello scioglierli a tempo fisso per consenso scambievole. I contratti di amore hanno di particolare anche questo, che mentre nelle permute, nelle compre, nelle locazioni, e simili, il contraente prima di obbligarsi vuole conoscere il fatto suo circa le stime, gl’inventarii, e gli accessorii, con diligenza consueta praticarsi da qualunque che non sia improvvido del tutto, qui poi stipula e si obbliga col capo nel sacco, riserbandosi a cose consumate di stimare e inventariare quanto abbisogna. E questo giorno tristissimo dello inventario per Isabella e per Troilo era arrivato e passato, e a questa ora chi sa quante volte lo avevano compilato. La verità della storia però ci consiglia a manifestare come la donna si fosse trovata in grande scapito, cosa che aveva contribuito assai ad alienare gli animi. Infatti, in lei era ardore di arti ingenue, e scienza, e vaghezza di scienza; ingegno pronto e felice, ed [pg!44] entusiasmo grandissimo; bontà d’indole somma; sensi disposti alla compassione; modi eletti, leggiadrie donnesche, e cortesie veramente regali. Rimane il sentimento di amore: e che in lei mancasse potenza di amare, io non vorrei dire perchè non sarebbe vero, ma ella stessa restava delusa scambiando lo impeto della immaginazione per una necessità invincibile del cuore; e siccome nulla conosciamo di più etereo della fantasia, nè che più presto svapori, così ella si sentiva sovente non pure maravigliata, ma atterrita di trovarsi fredda per cose o per uomini, verso le quali ed i quali l’era parso ardere poco anzi. Avventurosa lei, se la natura o l’arte avessero equilibrato meglio il suo cervello col suo cuore! Maestri gravi e solenni insegnamenti non l’erano mancati; ma se fra i precetti suasivi rigidezza, ed i precetti consiglieri di facilità, vediamo come più amabili preferire i secondi, tra rudimenti severi poi, e sciolti esempj, non è da domandarsi nemmeno se ottengano preferenza questi ultimi! E nella casa paterna la circondarono esempj pessimi; e poi, misera! punirono in lei, più di tutti innocente, colpe o conseguenze di colpe di cui avrebbero dovuto più giustamente portare le pene i fratelli. Infatti, le varie cronache che ho esaminate concordano in un giudizio medesimo, espresso così da una di quelle:« — E ciascuno diceva, che bisognava averci rimediato prima che il principe Francesco e gli altri suoi fratelli si servissero del mezzo suo per cavarsi le loro voglie con le altre gentildonne [pg!45] della città; menandola tutta notte fuori vestita da uomo, e pretendere poi ch’ella fosse una santa.»9 — Isabella pertanto possedeva, o, a meglio dire, era padroneggiata da ciò che chiamano temperamento poetico; cuore caldo in balía d’immaginazione ardente, o cavallo sfrenato a cavaliere furioso, condizioni piene di eventi luttuosissimi.

      E Troilo, quale era egli comparso nel dì dello inventario? Troilo dalla pallida faccia, dalle ciglia irsute, e dall’occhio grifagno? Se consideriamo la persona, a vero dire, pochi sarebbero occorsi cavalieri in Italia da sostenere il paragone con lui, avvegnachè così comparisse in ogni suo membro ottimamente composto, e nel volto formoso, che artisti di grido lo pregarono a voler fare da modello, onde non è da dire in quanta superbia fosse salito costui. Costumava rasi i capelli, polite le guance, e copia di peli nerissimi sopra il labbro e sul mento: avendo anche sentito dire, come Alessandro Magno declinasse alquanto il capo sopra l’omero destro, egli per non essere da meno di lui, aveva imitato quel vezzo: vestiva panni o velluti sempre neri; mesto le più volte, e pensoso; di rado parlante; non già perchè si reputasse poco valente favellatore, che all’opposto presumeva tanto di sè, da degradarne Marco Tullio, ma perchè la sua natura porgeva così. E quando discorreva poco, lasciava la gente persuasa ch’ei fosse uomo di alti spiriti e sottile speculatore delle cose umane; ma se lasciava andarsi a troppo lungo sermone, [pg!46] allora tutta si faceva manifesta la vanità dell’animo suo, siccome avvertivano i nostri vecchi, che dal suono si conosce la saldezza del vaso. Come poi i cieli avessero lasciato sdrucciolare quel capo sopra coteste spalle, era tale quesito da non si potere sciogliere così sopra due piedi: certo è, che avrebbe formato la disperazione di quanti si avvisarono argomentare dai segni esterni le passioni o i concetti dell’anima. Di mano era prode quanto qualunque gentiluomo dei suoi tempi, e più feroce di tutti; negli scontri sanguinosi fra i baroni, pei quali andavano infami le strade di Roma, primo sempre al cimento, era ultimo nella ritirata; forte nacque, e forte combatteva, sebbene la prodizione fosse il bello ideale delle sue imprese, e il suo eroe prediletto quel famoso Alfonso Piccolomini, guastatore di strade, che Ferdinando dei Medici da cardinale salvò di sopra alle forche, e da granduca ve lo mise.10 Ma nelle battaglie, dove più che la ferocia giova lo ingegno, o l’una temperata dall’altro, mostrò tanta dappochezza, da non potergli mai affidare la condotta di un colonnello di fanti: e nei negozj non riuscì punto meglio, perchè talora con importuno silenzio inspirò sospetto; tale altra con vaniloquio anche più importuno, dispetto; onde ristettero da spedirlo più oltre e lo tennero in casa come il Bucintoro, arnese dorato ed inutile che i Veneziani mettevano fuori per la pompa delle nozze del doge con la Teti adriatica; così le sue commissioni consisterono in congratulazioni, [pg!47] come ne fanno testimonianza le tre ambascerie di Francia, dove una volta fu mandato per rallegrarsi della vittoria riportata dal duca d’Angiò a Moncontour contro l’ammiraglio Coligny, la seconda quando Carlo IX condusse per moglie la secondogenita dello imperatore Massimiliano, e finalmente la terza allorchè il duca d’Angiò, che poi fu Enrico III, venne eletto re di Polonia. E non ostante, vanitoso com’era, non rifiniva mai di volere fare toccare con mano alla Isabella quale e quanto sacrificio durasse per lei non combattendo le guerre che non avrebbe mai combattuto, e sospirando le vittorie che non avrebbe riportato giammai. L’amore suo per Isabella fu ozio, fu impeto di sangue giovanile, fu superbia di vincere donna venustissima di forme, e chiara per meritata celebrità; e presto gl’increbbe, imperciocchè le forme, comunque belle, piacciano svariate, e lo ingegno della donna, come quello che lo umiliava, era per lui argomento piuttosto di odio che di ammirazione. Io non affermerò che odiasse Isabella, ma soffriva impazientemente quel laccio, e con tanta maggiore impazienza, quanto conosceva non potere ormai liberarsene, e stringerlo irrevocabilmente con nodo fatale: chiuso l’animo al gentile, al decoro, al retto, e al bello, se Isabella declamava le poesie altrui o le proprie, il sonno lo prendeva: atroce ingiuria per qualsivoglia poeta, ma per una poetessa fuori di misura sanguinosa! La musica gli provocava la emicrania. Con tutto questo, una gelosia fredda e [pg!48] spassionata lo agitava, non perchè egli amasse Isabella, ma perchè Isabella dovesse amare lui: tutti doveano leggere intorno al collo di lei le parole che usavano anticamente incidere sopra il collare degli schiavi: — Appartiene a Troilo Orsini! — Insomma sopraggiunsero i tempi in cui la lieve ghirlanda di dittamo e di rose tessuta dallo amore si era convertita in una catena grave di rimorso e di rampogna uscita dalle mani delle Furie infernali.

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      [pg!54]

       Indice

      IL CAVALIERE LIONARDO SALVIATI.

      Essendo di fortuna e d’ingegno meno che mediocre, mi sento non dimanco avere dalla natura un bene particolare ed egregio, nel quale io mi sento tanto superiore a molti, quanto quasi di ogni uomo in tutte le altre cose mi conosco più basso. Questa è una cotal mirabile inclinazione, ed una come natural conoscenza ch’io ho nella amicizia... Io sono a questa parte quasi rapito dallo Dio del mio ingegno.

      Salviati, Dialogo dell’Amicizia.

      Come i poeti immaginano una vergine mesta sopra il margine del rio sfiorare una rosa, darne le foglie sparte in balía della corrente, e contemplare l’onda che passa con essa, così Isabella, con la guancia appoggiata alla mano destra, chiuse le palpebre, considerava le care rimembranze trasportate dalla fiumana del tempo. Dove la innocenza? dove le giovanili affezioni? dove la serena purità dell’anima? L’albero della vita, che l’era apparso un giorno sì lieto di perpetua fronda, adesso, oh come orribilmente brullo! E le scarse foglie rimaste crepitano aride, e pronte a staccarsi al primo fiato che vi soffi dentro. È rimasta sola delle figlie di Cosimo: Maria morì di

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