Isabella Orsini, duchessa di Bracciano. Francesco Domenico Guerrazzi
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E Troilo, quale era egli comparso nel dì dello inventario? Troilo dalla pallida faccia, dalle ciglia irsute, e dall’occhio grifagno? Se consideriamo la persona, a vero dire, pochi sarebbero occorsi cavalieri in Italia da sostenere il paragone con lui, avvegnachè così comparisse in ogni suo membro ottimamente composto, e nel volto formoso, che artisti di grido lo pregarono a voler fare da modello, onde non è da dire in quanta superbia fosse salito costui. Costumava rasi i capelli, polite le guance, e copia di peli nerissimi sopra il labbro e sul mento: avendo anche sentito dire, come Alessandro Magno declinasse alquanto il capo sopra l’omero destro, egli per non essere da meno di lui, aveva imitato quel vezzo: vestiva panni o velluti sempre neri; mesto le più volte, e pensoso; di rado parlante; non già perchè si reputasse poco valente favellatore, che all’opposto presumeva tanto di sè, da degradarne Marco Tullio, ma perchè la sua natura porgeva così. E quando discorreva poco, lasciava la gente persuasa ch’ei fosse uomo di alti spiriti e sottile speculatore delle cose umane; ma se lasciava andarsi a troppo lungo sermone, [pg!46] allora tutta si faceva manifesta la vanità dell’animo suo, siccome avvertivano i nostri vecchi, che dal suono si conosce la saldezza del vaso. Come poi i cieli avessero lasciato sdrucciolare quel capo sopra coteste spalle, era tale quesito da non si potere sciogliere così sopra due piedi: certo è, che avrebbe formato la disperazione di quanti si avvisarono argomentare dai segni esterni le passioni o i concetti dell’anima. Di mano era prode quanto qualunque gentiluomo dei suoi tempi, e più feroce di tutti; negli scontri sanguinosi fra i baroni, pei quali andavano infami le strade di Roma, primo sempre al cimento, era ultimo nella ritirata; forte nacque, e forte combatteva, sebbene la prodizione fosse il bello ideale delle sue imprese, e il suo eroe prediletto quel famoso Alfonso Piccolomini, guastatore di strade, che Ferdinando dei Medici da cardinale salvò di sopra alle forche, e da granduca ve lo mise.10 Ma nelle battaglie, dove più che la ferocia giova lo ingegno, o l’una temperata dall’altro, mostrò tanta dappochezza, da non potergli mai affidare la condotta di un colonnello di fanti: e nei negozj non riuscì punto meglio, perchè talora con importuno silenzio inspirò sospetto; tale altra con vaniloquio anche più importuno, dispetto; onde ristettero da spedirlo più oltre e lo tennero in casa come il Bucintoro, arnese dorato ed inutile che i Veneziani mettevano fuori per la pompa delle nozze del doge con la Teti adriatica; così le sue commissioni consisterono in congratulazioni, [pg!47] come ne fanno testimonianza le tre ambascerie di Francia, dove una volta fu mandato per rallegrarsi della vittoria riportata dal duca d’Angiò a Moncontour contro l’ammiraglio Coligny, la seconda quando Carlo IX condusse per moglie la secondogenita dello imperatore Massimiliano, e finalmente la terza allorchè il duca d’Angiò, che poi fu Enrico III, venne eletto re di Polonia. E non ostante, vanitoso com’era, non rifiniva mai di volere fare toccare con mano alla Isabella quale e quanto sacrificio durasse per lei non combattendo le guerre che non avrebbe mai combattuto, e sospirando le vittorie che non avrebbe riportato giammai. L’amore suo per Isabella fu ozio, fu impeto di sangue giovanile, fu superbia di vincere donna venustissima di forme, e chiara per meritata celebrità; e presto gl’increbbe, imperciocchè le forme, comunque belle, piacciano svariate, e lo ingegno della donna, come quello che lo umiliava, era per lui argomento piuttosto di odio che di ammirazione. Io non affermerò che odiasse Isabella, ma soffriva impazientemente quel laccio, e con tanta maggiore impazienza, quanto conosceva non potere ormai liberarsene, e stringerlo irrevocabilmente con nodo fatale: chiuso l’animo al gentile, al decoro, al retto, e al bello, se Isabella declamava le poesie altrui o le proprie, il sonno lo prendeva: atroce ingiuria per qualsivoglia poeta, ma per una poetessa fuori di misura sanguinosa! La musica gli provocava la emicrania. Con tutto questo, una gelosia fredda e [pg!48] spassionata lo agitava, non perchè egli amasse Isabella, ma perchè Isabella dovesse amare lui: tutti doveano leggere intorno al collo di lei le parole che usavano anticamente incidere sopra il collare degli schiavi: — Appartiene a Troilo Orsini! — Insomma sopraggiunsero i tempi in cui la lieve ghirlanda di dittamo e di rose tessuta dallo amore si era convertita in una catena grave di rimorso e di rampogna uscita dalle mani delle Furie infernali.
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CAPITOLO TERZO.
IL CAVALIERE LIONARDO SALVIATI.
Essendo di fortuna e d’ingegno meno che mediocre, mi sento non dimanco avere dalla natura un bene particolare ed egregio, nel quale io mi sento tanto superiore a molti, quanto quasi di ogni uomo in tutte le altre cose mi conosco più basso. Questa è una cotal mirabile inclinazione, ed una come natural conoscenza ch’io ho nella amicizia... Io sono a questa parte quasi rapito dallo Dio del mio ingegno.
Salviati, Dialogo dell’Amicizia.
Come i poeti immaginano una vergine mesta sopra il margine del rio sfiorare una rosa, darne le foglie sparte in balía della corrente, e contemplare l’onda che passa con essa, così Isabella, con la guancia appoggiata alla mano destra, chiuse le palpebre, considerava le care rimembranze trasportate dalla fiumana del tempo. Dove la innocenza? dove le giovanili affezioni? dove la serena purità dell’anima? L’albero della vita, che l’era apparso un giorno sì lieto di perpetua fronda, adesso, oh come orribilmente brullo! E le scarse foglie rimaste crepitano aride, e pronte a staccarsi al primo fiato che vi soffi dentro. È rimasta sola delle figlie di Cosimo: Maria morì di