Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie. G. Beltrame
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Читать онлайн книгу Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie - G. Beltrame страница 2
Presso a 40 miglia geografiche da Chartùm si inalzano due piccoli monti, l'uno a destra del fiume chiamato Gèbel-Àule (monte primo) ed anche Giàr-en-Nèbi, dal nome di un gran Capo che abitava vicino; e l'altro a sinistra appellato Gèbel-Mòndara (monte specchio), perchè la sua testa, come dicono gli Arabi, è piatta e rotonda a foggia di uno specchietto di Trieste. Dopo alcune ore di cammino s'erge pure a sinistra Gèbel-Mùssa (il monte Mosè), ch'ebbe il nome, come Giàr-en-Nèbi, da un gran Capo, tutti e due tenuti in venerazione dagli Arabi Hossanìeh.
Quindi il fiume si divide in più bracci che par che spacchino la foresta, formando varie e graziose isolette ombreggiate, come le rive, da acacie, da mimose, da tamarindi e da altre piante.
Io volli internarmi nella foresta per osservarla da vicino; ed oh! quanto grande e potente è lo scheletro di quella generazione, i cui Nestori abbarbicati nel terreno primevo con tante radici serpentine e nodose inalzano il loro fusto ramoso, quasi a contendere lo spazio al cielo! e intorno ad essi cento piante serpeggianti s'avviticchiano, si arrampicano e danzano, per così dire, vagamente cadendo dalle loro cime in modo da lasciar qualche volta nel mezzo uno spazio vuoto e rotondo impenetrabile ai raggi del sole, ove gran parte della notte trovan rifugio le gazzelle, i bufali, gli elefanti, il leone, il leopardo, la pantera, che s'appressano al fiume per dissetarsi; e sulle cui braccia erculee riposano tranquilli gli avoltòi rapaci e le aquile, i papagalli dalle verdi piume, le timide tortorelle, le cicogne nere, le galline faraone e una quantità d'altri svariati uccelli. — E il mattino! oh! come qui è bello il mattino! — La luce dei primi raggi del sole saluta ridente le cime degli alberi e le sprazza minutissima e le indora; si agglomera e si condensa intorno alle loro chiome eleganti; si arriccia e si velluta nelle foglie pubescenti e pelose; si acciglia e s'ottenebra fra i rami stipati; s'inceppa nelle reti delle piante parassite, e si nasconde fra i mille labirinti de' cespugli ramosi, dipingendo con la tavolozza più feconda e capricciosa i figli prediletti della flora africana. — S'ode frattanto qualche mugghìo lontano delle fiere che si addentrano nella foresta. — E lungo il fiume su quell'onda di foglie disegnata dalle cime degli alberi si veggono navigare le scimmie coi loro nati in seno, percorrendo grandi distanze senza discendere mai al suolo; e sotto quegli alberi, una quantità di gazzelle e d'altre antilopi di forme le più leggiadre brucano l'erba rugiadosa e saltellano festose nella libera e palesemente gaia loro vita; mentre stormi di grossi uccelli vanno e vengono fra l' una e l'altra riva del fiume; e qua e là gloterano le cicogne, e rotano in alto gli avoltòi e le aquile intorno a centinaia di tortorelle che amoreggiano giulive tra le piante; e ovunque una infinità di volatili d'ogni specie. Tutto canta, tutto gruga, tutto chiocchiola, tutto pigola; per tutto si sente frullo d'ali, per tutto c'è vita e armonia. — Oh! quanto solenni, nel mattino, sono i primi fremiti della foresta che risente la vita! — Ma a misura che s'alza il sole, la delicatezza delle prime tinte svanisce in un immenso chiarore che ricopre come d'un bianco velo le bellezze di questa natura selvaggia, i quadrupedi si rintanano o si posano all'ombra d'alberi annosi, e tace il canto degli augelli fin verso sera. — «Allora una luce pallida dà alla foresta non so che di molle e di malinconico; c'è una specie di silenzio per l'occhio, una pace di linee e di colori, un riposo di tutte le cose, nel quale sembra che lo sguardo illanguidisca e l'immaginazione si culli;» finchè sotto gli ultimi raggi del sole che cade, le varie tinte de' colori di cui s'adornano le piante e il movimento de' volatili che cercano un luogo per riposarsi la notte, par che ridonino alla foresta la vita del mattino.... ma una vita che tosto muore, come l'ultima scintilla del lucignolo che sta per ispegnersi.
La foresta continua a fiancheggiare le rive del fiume e a presentar sempre nuove scene.
Mi tormenterei invano se volessi esprimere con parole le varie emozioni che provai viaggiando in un paese a me fino allora sconosciuto, di cui avevo letto e avevo udito narrare mille cose bizzarre e stravaganti. Dirò solo che inoltrarsi in un tal paese e spaziare collo sguardo avidamente da ogni parte; trovare un pascolo continuo alla curiosità in tutto ciò che cade sott'occhio o giunge all'orecchio; gettare un oh!! di stupore a ogni tratto, e chiedere ogni momento a' barcaiuoli or questa or quella cosa; sentire che la mente a poco a poco si dilata e si rischiara; provarsi ad abbozzare un gruppo di gente che non si sa ancora a quale tribù appartenga e qual religione professi; sperare di veder presto la Croce di Cristo trionfar della loro barbarie traendo seco gloriosa la civiltà; e pensare di descrivere un giorno, o colla voce o colla stampa, tante cose a chi non le ha mai vedute o sentite... è davvero il più vivo e il più vario dei diletti umani.
Queste foreste, che accompagnano il fiume a destra e a sinistra, da Chartùm (15°, 37′) fin presso a machàdat-Abù-Zèt (13º lat. N.), non s'estendono in larghezza che circa due miglia geografiche, e in gran parte sono inondate dalle acque del fiume durante la stagione piovosa.
I primi abitanti che si trovano a sud di Chartùm lungo il Bàhr-el-Àbiad sono gli Arabi Hossanìeh, e quindi i Baggàra a sinistra del fiume, e gli Abù-Ròf a destra tra il 10º e il 14º lat. N.
Questi, come quasi tutti gli Arabi del Sudàn qua e là dispersi tra il 10º e il 15º grado, dalle rive del Senegàl sino a quelle del fiume Azzurro, si dicono Arabi d'Abù-Zèt.
Ecco quanto ci racconta la tradizione presso tutte le tribù arabe da me visitate lunghesso i fiumi Bianco ed Azzurro, fatta eccezione degli Abù-Gerìt, o Zabàlat[1], e di qualche altra piccola tribù di colore giallognolo, la quale venne a stanziarsi nel Sudàn molto più tardi degli Arabi Abù-Zèt.
«In un'epoca posteriore all'egira, e forse allor quando Amùr s'impadroniva dell'Egitto, molte tribù arabe, sotto la condotta di Abù-Zèt e di altri suoi compagni, abbandonarono la penisola arabica, e traversato il mar Rosso, probabilmente a Bab-el-Màndeb, per una via ora sconosciuta arrivarono finalmente al fiume Bianco durante la stagione secca. Abù-Zèt, essendo le acque molto basse, camminava lungo il fiume per vedere se c'era un guado; e trovatolo, passò pel primo alla riva opposta tirando per l'orecchio una delle sue capre e cercando così di eccitare uomini ed animali a seguirlo; ma non vi riuscì; niuno s'attentò di traversare il fiume in quel punto a cui fu dato il nome, che tuttora conserva, di guado della capra (machàdat-el-Àns). Abù-Zèt quindi ruppe il guado, poche ore dopo di cammino più a nord, in un luogo che presentava minori difficoltà, e tutti lo seguirono uomini ed armenti. Da quell'epoca il guado prese il nome di Abù-Zèt (machàdat-Abù-Zèt).»
Questi Arabi si diffusero poi per tutto il Sudàn. Le tribù arabe del Senegàl, di Bòrnu, dell'Uadày, del Dar-Fùr, gli Aulàd-Rascìd e i Salamàt, i Risekàt e i Benì-Aèlba, gli Aulàd-Òmar ed altri non traggono altra origine.
Gli Arabi poi che si stabilirono nel Kordofàn formarono le seguenti tribù:
I Kubabìsc, cioè pastori de' montoni, che compongono la tribù più importante del Kordofàn e che abitano il paese da Dòngolah fino a El-Obèid. Essi guidano le carovane e noleggiano i loro cammelli ai Giallàba (mercanti) pel trasporto dell'avorio, del tamarindo e specie della gomma. Oltre i montoni e i cammelli essi pascono capre in quantità.
I Benì-Geràr, tribù potente di cui la maggior parte abita il Dar-Fùr, gente guerriera e predatrice, temuta dagli stessi Kubabìsc, coi quali è spesso in guerra.
Gli Hababìn, tribù formidabile alleata coi