Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie. G. Beltrame

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Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie - G. Beltrame

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una resistenza assai meno pericolosa che durante la lunga e faticosa operazione del suo allestimento, il quale sarebbe stato certamente interrotto dagli Arabi all'alba del mattino. Di fatto, mentre un po' prima dell'aurora i cammellieri, i servi e i mercanti stessi s'affaccendavano a mettere in pronto la carovana, duecento Benì-Geràr montati sopra cento cammelli sboccarono nella valle, e al primo vedere la loro preda saltaron giù dalle cavalcature, e sparpagliati in un grandioso disordine, agitando convulsivamente le lance, imprecando, e mandando grida selvagge, le s'avventarono contro come leoni affamati. I mercanti credendo dapprima di non avere altri nemici da combattere tentarono di resistere all'improvviso assalto; tirarono alcuni colpi di fucile contro di loro che non erano armati che di lance: ma, tutt'a un tratto, e nel momento in cui la carovana cominciava a pigliar confidenza nelle proprie forze, cento cammelli da una parte e cento dall'altra trasportarono sul campo di battaglia quattrocento Arabi ancora. Fu quindi un terrore, un'angoscia da non potersi descrivere. La gente della carovana stretta tutt'all'intorno dai Benì-Geràr venne barbaramente trucidata in pochi minuti. Solo Abd-El-Kàder, non avendo ricevuta alcuna ferita, riuscì a gittarsi a terra e a fingersi morto. Ma un Arabo passandogli accanto lo punse leggermente colla sua lancia, e da un movimento che vide lo riconobbe per vivo; lo fece alzare e lo condusse davanti al suo Capo. — La carneficina era già consumata; tuttavia il Capo allettato dall'odore del sangue propose di legarlo a un albero, e così per passatempo di ucciderlo a colpi di giavellotto. — A un segnale del Capo il crudele divertimento incominciò a spese di quel disgraziato. Ma per un singolare accidente, cui il Capo ascriveva a miracolo, dieci o dodici colpi successivi di lancia sfiorarono la pelle di Abd-El-Kàder senza ferirlo gravemente. Il Capo allora stupito esclamò: la tua vita, o amico, è molto dura, o Dio ti vuol salvo. Ebbene! sii adunque libero, e vattene pure ove meglio ti aggrada. — Abd-El-Kàder che da quel momento era libero, ma libero in mezzo al deserto, senza camicia e senza cibo, stette fermo al suo posto. — E dunque! gli domandò il Capo, tu non pensi di andartene? e che altro t'aspetti? — E dove mai, egli rispose, vuoi tu ch'io me ne vada? e come potrò campare la vita senza alimento alcuno? ho io nè manco un otre per conservarvi un po' d'acqua? — Gli Arabi frattanto si dividevano i datteri tolti ai mercanti; e per far giuste le parti li contavano ad uno ad uno. — Il Capo quindi, messa la mano in una cesta, ne prese trenta e li consegnò ad Abd-El-Kàder, a cui diede pure un vecchio otre, e poi gli disse: or vattene; che ti guidi Iddio e che ti benedica. — Abd-El-Kàder, incerto della via che avrebbe dovuto prendere per imbattersi in qualche carovana ed unirsi ad essa, s'avviò pensoso e sconfortato verso il pozzo per riempirvi d'acqua il suo piccolo otre. Ma l'otre era forato, e invano n'avrebbe chiesto un altro agli Arabi. Egli allora si risolse di non abbandonare il pozzo, e di attendervi rassegnato tutto ciò che di lui avesse voluto il destino. La sera del giorno stesso i Benì-Geràr erano scomparsi, e l'infelice Abd-El-Kàder, sentendosi morir di fame, mangiò i trenta datteri senza poi sentirsene sazio. Fortuna che il torrente che conduceva al pozzo era coperto d'arbusti spinosi chiamati dagli Arabi es-segiàr, e rhamnus lotus dai botanici, il cui frutto, che è una bacca, forniva anticamente l'alimento ai Lotofagi; e gli Arabi, che lo dicono nàbak, ne fanno uso pure oggidì; Abd-El-Kàder dovette rassegnarsi a questa manna che gli dava il deserto, la quale però ci voleva per salvargli la vita. Così tirò avanti per quindici giorni; ma in ultimo era ridotto sì male da non potersi più reggere in piedi, e fu costretto a ritirarsi in un antro sinuoso, ove per pietà invocava la morte. Finalmente un gawàs (sgherro) turco guidato da un Arabo e diretto, a dromedario, verso El-Obèid s'avvicinò al pozzo per rinnovar l'acqua al suo otre.

      Abd-El-Kàder, che altro non s'aspettava che la morte, li vide di lontano e cominciò a sperare la vita; fece sforzi incredibili per levarsi da terra e mover loro incontro, ma invano; le braccia e le gambe più non gli servivano: a stento riuscì a strascicarsi fino alla bocca della spelonca e a mandar fuori lamenti e gemiti da intenerire il cuore più duro. Il Gawàs fu il primo ad udir quelle grida, e disse al Beduino che lo accompagnava: ascolta.... ascolta tu pure.... queste sono certamente le grida d'una bestia che soffre dolore.... ed escono da quella grotta che tu vedi là presso il torrente; eccola, eccola la fiera che si contorce.... debbo io inviarle contro la palla della mia pistola?

      — No, no, rispose il Beduino: io son d'avviso ch'esse sieno invece le grida d'un infelice che chiede soccorso, e io voglio assicurarmene: balzò giù dal dromedario, e dopo pochi salti fu alla spelonca. — Oh spettacolo!! — Il Beduino levò di peso Abd-El-Kàder e sei portò al pozzo, ov'egli venne trattato con umanità e si sentì subito ristorato. I due passeggieri consecrarono inoltre quel giorno a sotterrare i morti compagni di Abd-El-Kàder, i cui corpi disseccati dal sole giacevano ancora sopra la sabbia rossa del loro sangue; e l'indomani partirono tutti e tre alla volta di El-Obèid.

      Dopo qualche anno alcuni Baggàra raccontavano con tuono di vanto questo avvenimento colle più minute circostanze.

      Il suono d'un tamburone, chiamato noggàra, battuto a misurati colpi invita la tribù al combattimento ed annunzia ancora una semplice mutazione di posto per comodità dei pascoli.

      L'arma degli Arabi nel Sudàn, e così presso i Baggàra, è la lancia (hàrba), la quale serve loro anche da giavellotto. Questi Arabi non hanno nè arco, nè frombola, che tanto solevano usare i loro antenati. I capi specialmente si servono pure di lunghe spade diritte cui imbrandiscono con ambo le mani.

      In guerra si difendono collo scudo che non è altro che un telaio ovale, formato d'un legno flessibilissimo e traversato per lungo da un asse della medesima specie, sopra il quale essi stendono e fissano la pelle del dorso d'un'antilope. La sua larghezza è circa di due piedi, e dai tre ai cinque l'altezza. La superficie esteriore è convessa, e nel mezzo della parte opposta sta l'impugnatura. Sull'orlo poi superiore sono, per lo più, alcune tacche, delle quali si valgono per appoggiarvi l'asta della loro lancia e per dirigerne quindi meglio i loro colpi. Quantunque la pelle di cui è formato lo scudo sia molto dura, pure succede talora che vien perforata dalle punte dei giavellotti; perciò il guerriero cerca di ripararne i colpi o colla sua lancia o collo scudo, che oppone in direzione obliqua alla linea percorsa dai giavellotti. L'Arabo minacciato dal nemico s'abbassa, mettendo un ginocchio in terra e coprendosi nello stesso tempo collo scudo; scatta poi su come una molla allorquando alla sua volta egli tenta di attaccarlo.

      I Baggàra combattono possibilmente a cavallo, ed allora non hanno lo scudo, di cui sono quasi sempre muniti i soldati a piedi. Questi vengono tradotti a cammello sul teatro del combattimento; e ciascun cammello ne trasporta due, dei quali l'uno siede sul gibbo e l'altro si tiene in sulla groppa del ruminante. Questo mezzo di trasporto torna nel Sudàn assai facile e pronto; e siccome i cammelli vi si trovano in una quantità enorme, così arrivati a posto i combattenti non se ne danno gran pensiero, ma gli affidano a pochi guardiani, i quali a non molta distanza attendono inquieti l'esito della pugna.

      Gli Arabi del fiume Bianco, come i Nubi, hanno quasi tutti legato sopra il gomito sinistro un pugnale del quale si servono a vari usi, e qualche volta per isfogare le loro gelosie o per far mostra del loro coraggio. — Un d'essi ha preso moglie e trovasi contento, beato d'aver ottenuto quella mano, a cui tanti altri aspiravano ardentemente ma invano. Or questi ingelositi della sua felicità non lo perdono d'occhio mai, gli tendono continue insidie, non gli lasciano un istante di riposo; e quand'egli meno ci pensa sente che la punta di un pugnale gli trapassa la polpa d'una gamba o lo ferisce in un braccio o in una spalla. Se il ferito giunge a conoscere il feritore, lo sfiderà poi a duello davanti al Capo della tribù, duello che avrà luogo col pugnale e alla presenza del Capo stesso. Ma nell'atto del tradimento si guardi bene il tradito dal lasciarsi sfuggire un grido, dall'emettere il più piccolo lamento per non meritarsi fama d'uomo debole e vigliacco, servo del dolore; s'egli camminava non s'arresti punto: se parlava non interrompa il discorso, non si conturbi, nè volga il capo verso l'assassino.

      Qualche volta un giovine guerriero racconta ad altri giovani le sue prodezze e se ne vanta, dicendo che nessuno può superarlo in valore; e un altro giovine, che non può più tollerare le sue petulanti presunzioni, senza rispondergli afferra il

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