Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie. G. Beltrame

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Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie - G. Beltrame

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essere da meno.

      Questi costumi sono senza dubbio barbari e feroci; non si può negare però ch'essi imprimano in coloro dai quali vengono praticati una singolare energia, un coraggio passivo, invincibile e stoico. E si noti che questi atti di eroismo si manifestano specialmente fra i giovani che appartengono alle più distinte famiglie della tribù.

      Molti fra noi male sopportano un forte dolor di capo, di denti, di stomaco; la più leggiera ferita strappa loro un grido; ma l'Arabo invece saprà sostenere senza risentirsi e senza rammaricarsi i più atroci tormenti; e non è ch'egli non soffra; egli soffre quanto noi soffriamo; ma il punto d'onore gli fa dire come allo stoico: «Non sarà mai, o dolore, ch'io ti confessi in nessun modo.» Non la sete, non la fame nè la stanchezza nè le ferite profonde di una lancia potranno indurlo ad inquietarsi; e mentre nei divani dell'Egitto si veggono i Fellahìn, condannati al bastone o alla sferza, trascinarsi piagnolosi ai ginocchi delle autorità turche perchè sia loro conceduto il perdono o alleviata la pena, s'è ammirato più d'una volta l'Arabo del Sudàn subire lo spaventevole supplizio del palo senza accordare a' carnefici assetati di vendetta il trionfo di un gemito, la soddisfazione di una lagrima.

      Io so d'un Arabo il quale, facendo parte d'un drappello militare che aveva seguito il governatore del Kordofàn in una spedizione contro i Baggàra, si rese colpevole d'omicidio, ed assiso quindi presso il cadavere della sua vittima attendeva paziente e tranquillo che i satelliti del Governo venissero ad arrestarlo. Alcuni soldati, che di là passarono per caso, lo videro, l'afferrarono e lo condussero alla tenda del Governatore.

      Più di venti uomini stringevano l'omicida il quale non opponeva alcuna resistenza; e chi lo tirava per le braccia, chi per le gambe, chi pel collo e chi per i capelli; e com'egli fu davanti al Governatore: «Sappi, o Signore, sclamò, ch'io non ebbi la viltà di fuggire dopo l'uccisione del mio Capo, ma attesi imperterrito la mia cattura; or dì adunque a' tuoi cani che mi lascino in pace, affinchè libero io possa, se mai, marciare al supplizio come un uomo.» Il Governatore ordinò fosse lasciato libero; e l'Arabo allora cominciò ad esporre i motivi che, secondo lui, erano più che sufficienti a giustificare il suo delitto. Ma il Governatore lo condannò a morire legato alla bocca di un cannone carico a palla, a cui egli stesso avrebbe dovuto dar fuoco. Mentre si facevano i preparativi per l'esecuzione della sentenza, l'Arabo che aveva sentito con tutta indifferenza la propria condanna uscì dalla tenda ove si trovava, e avvicinatosi a un gruppo di soldati che lì presso erano accoccolati, pregò uno di essi che fumava a voler cedergli un istante la pipa; quindi si raccolse più che gli fu possibile in sè stesso, fumò mezza pipa, e quando lo si venne ad avvertire che tutto era pronto pel suo supplizio, la restituì al padrone, lo ringraziò, lo salutò e mosse con passo fermo verso il cannone, infame strumento della sua morte.

      Le esecuzioni, di cui noi fummo parecchie volte testimoni in Europa, offrono uno spettacolo ben differente; la maggior parte dei colpevoli che prima d'essere caduti nella mano inesorabile della giustizia facevano i rodomonti, vinti poi dal terrore furono veduti strascicarsi sul palco più cadaveri che persone vive.

      Noi abbiamo veduto l'Arabo fiero e dotato della più squisita suscettibilità; ma invincibile è pure la sua ostinazione; non c'è caso di smuoverlo quando egli si sia fissato con la mente in un'idea, in un capriccio qualunque; le preghiere tornano vane, inutili le minacce, il bastone e la sferza; la morte stessa non l'indurrebbe a mutar consiglio; meglio è allora abbandonarlo a sè stesso finchè da sè stesso rinsavisca.

      Un mercante europeo viaggiava in un deserto del Sudàn, e guida della sua carovana era un Arabo, a cui solo era nota la via che si dovea percorrere per giungere a un dato luogo. Dopo due o tre giorni di cammino, l'Arabo non avendo di che cibarsi chiese al cuciniere, che preparava la cena pel mercante, qualche cosa da mangiare. Il cuciniere gli rispose con mal garbo d'aver pazienza un poco. L'Arabo aspettò un quarto d'ora, e poi rinnovò la domanda. Il cuciniere indispettito gli diè sulla voce, e intanto capitò là il mercante che fece all'Arabo un acerbo rimprovero, perchè voleva essere servito prima di lui ch'era il padrone. L'Arabo, che credeva di non meritare tali parole di censura e di biasimo, insistette nella sua domanda, che questa volta espresse con un «voglio mi si dia da mangiare.» Allora il mercante: ebbene, disse, poichè sei così prepotente da volere quel che vuoi tu, e non quello che voglio io, sappi che ti tratterò da qui innanzi come un asino indocile.... e stasera non cenerai per dio! — Così fu — l'Arabo tacque, abbassò il capo e si ritirò in disparte.

      All'indomani il mercante si levò di buon'ora, e com'era solito di fare, uscito dalla tenda, risvegliò la sua gente ed ordinò il carico de' cammelli; quindi rientrò a bervi il caffè aspettando che tutto fosse in punto per rimettersi in via. Ma poco dopo un servo veniva ad avvertirlo che la guida si ricusava di sellare la sua cammella e di continuare il cammino. Egli stimò bene di tacere, sperando che l'Arabo non l'avrebbe durata a lungo nel suo proposito; fece un giro intorno all'accampamento; passò vicino alla guida fingendo di non essersi accorto di nulla. Venuto il momento della partenza, l'Arabo colla sua lancia in mano era sempre là immobilmente assiso sopra la sabbia come uno che non dovesse far parte di quella carovana. Ma.... come? — disse il mercante — tu non se' pronto ancora? — No, rispose, poichè non posso partire; tu non ignori che ieri io non assaggiai briciola; il mio ventre è vuoto ed ha bisogno di riposo. E poi tu mi dicesti, n'è vero? ch'io sono un asino; e tu pure devi sapere che non è possibile che un asino possa guidare degli uomini. — Alzati, te lo impongo, gridò allora con voce animata il mercante. — L'Arabo non si mosse di così com'era. — Ed egli lo percosse con un colpo di sferza. — E l'Arabo sempre fermo al suo posto come una statua. — Il mercante cavò quindi dalla sua cintura una pistola, e drizzatane la bocca alla fronte della guida: tu partirai, le disse, o ti farò saltare in aria la dura tua cervice.

      Un Italiano, un Francese, un Inglese, un Turco avrebbero ubbidito, o si sarebbero difesi. Ma l'Arabo? l'Arabo armato della sua lancia nè volle ubbidire nè difendersi, e levatosi ben tosto da sedere, gittò via la lancia e cominciò a danzare davanti al mercante dicendo: ammazzami adunque, ammazzami presto: sono io forse un turco da temere la morte?

      Il mercante ch'era ben lungi dal credere che la cosa la sarebbe andata a finire così, si trovò in un bell'imbarazzo. Aspettare che di là passasse qualche carovana e unirsi ad essa.... avventurarsi senza guida in un deserto ove non esisteva traccia alcuna di via.... era un esporsi a morir di sete con tutta la sua gente. Egli s'appigliò finalmente al partito, ch'io credo sia stato il migliore, di seguire cioè le tracce già stampate da' cammelli nella sabbia, e rifare così la strada, la quale l'avrebbe condotto ad un pozzo, che aveva abbandonato da circa due giorni; sperava frattanto d'incontrarsi in alcuni Arabi e di provvedersi d'un'altra guida. Montò in sella, e senza lasciare trasparir nulla di ciò che lo inquietava moltissimo comandò alla sua gente di ritornare verso il pozzo, mentre egli contava i passi del suo cammello, risoluto di retrocedere e di uccidere la guida, se prima d'averne contati cento non l'avesse veduta marciare alla testa della carovana.

      Ma non appena questa si mosse, ecco l'Arabo che si rizzò lestamente, si diresse verso la sua cammella, la sellò in un batter d'occhio, le si slanciò sopra, e raggiunta la carovana la rimise sul sentiero che dovea condurla là dove il mercante era diretto. Or questi in tutto quel giorno non fece parola alla guida come non l'avesse veduta, e come niente fosse accaduto. Venuta la sera, e posto l'accampamento, l'Arabo si prostrò ai piedi del mercante piangendo come un bambino; ma il mercante due volte lo respinse; e due volte l'Arabo, pentito, gli s'inginocchiò davanti dicendo: ah! perdonami, o Signore; non è il gastigo da me giustamente meritato ch'io temo; conosco il male che feci e l'angustia che ti recai colla mia condotta, e son pronto a scontarne la pena; ma ti supplico, per ciò che hai di più caro al mondo, a non conservar rancore contro di me, a volere dimenticar tutto; e ti giuro che non avrai più di che lagnarti del mio servizio. — Il mercante ordinò al cuciniere gli si portasse da mangiare; l'assicurò del suo perdono, ed imparò ancora una volta come gli Arabi debbano essere trattati.

      Vogliamo notare però che, quando l'Arabo non sia giunto a un certo grado di ostinazione, se v'ha mezzo d'indurlo a far

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