Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI. Francesco Domenico Guerrazzi

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Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI - Francesco Domenico Guerrazzi

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che desiderava l'alto lignaggio di Giacomo; pure una volta secondo i bisogni della famiglia con discreta convenienza fornita: ma Francesco Cènci, passata che gli fu la paura incussagli da papa Clemente VIII quando lo costrinse a somministrare al suo figlio 2000 scudi annui di pensione, e conoscendo come (quantunque egli stesse su l'austero) bene altra fosse la sua dalla mente di Sisto V, incominciò prima a stentargliela, poi a ridurgliela, e infine non gli dava quasi più niente; onde la famiglia vivevasi in angustia grande, stretta da ogni necessità.

      Luisa comecchè molto soffrisse, e meno per se (come di leggieri può credersi) che per la famiglia, tuttavolta si aiutava come meglio le riusciva; mostrava ilare il volto al marito, e lo confortava a starsi di buona voglia, chè le cose si sarebbero mutate in bene. Dopo le nuvole apparisce il sole, ella gli diceva, e ogni giorno passa il peggio; nè a un modo solo può durare; con altri simili luoghi comuni che il labbro profferisce, e il cuore non crede: imperciocchè, pur troppo! la fortuna ghermisca l'uomo a' capelli, e lo strascini dentro la tomba, e non lo lasci se prima non lo abbia calcato bene nella fossa, e calpestato la terra sopra che lo copre. Le tribolazioni della animosa donna stavano tra Dio e lei: e sì che si sentiva scoppiare il cuore quantunque volte contemplava il suo nobile consorte tanto non pure dimesso, ma abietto di abbigliamenti; i figli quasi nudi, e talora affamati. Alle frequenti scosse la sua anima però si era non poco mutata; un senso di dubbio serpeggiava là dentro; soffocava non senza sforzo una voce di rimprovero, che suo malgrado vi sorgeva di tanto in tanto a riprenderla della sua troppa pazienza. Incominciava a pentirsi del sagrifizio sofferto: chi l'avesse osservata sottilmente poteva comprenderlo di leggieri dal volto, e dalla voce con la quale profferì le ultime parole.

      Ma Giacomo, oppresso dalla tristezza, non aveva comodo a instituire coteste osservazioni, e:

      —Luisa mia, soggiungeva in suono di mistero, bene altre… bene altre ne ha commesse costui… Senti… accostati, affinchè i bambini non odano.—

      —E siccome ella repugnando non si accostava, Giacomo avvicinò la sua alla sedia della consorte.

      —Tu hai da sapere, che la madre mia fu onesta quanto bella… angiolo mio, come te… Però se mantenne purissimo sempre alla fedeltà coniugale il suo cuore, tu capisci ch'ella non potè impedire che altri s'innamorasse di lei. Il signor Gasparo Lanci, nostro gentiluomo, ne concepì altissimo affetto; e procedendo meno discretamente che a bene avvisato cavaliere non convenga, pubblicò la sua passione stampando un funesto sonetto, che mi rammento benissimo, e diceva così:

      Posciachè amor per voi mi accese il core Forse di troppo a me onrata fiamma, Così di fuoco ho la sinistra mamma, Che non ho refrigerio al fiero ardore. Mi nutrisco di pianto, e di dolore; E bench'io mi consumi dramma a dramma, Mi restaura il calor, che sol m'infiamma; Così mi ancide, e mi ravviva amore. Virginia il guardo onde tanto arso fui Ei tanto fisso nella mente siede, Che non posso pensar se non a lui. Se da voi non impetro hormai mercede Cenere mi farà, chè non di altrui Si può smorzar l'ardor che ogni altro eccede[9].

      Questo sonetto, che può considerarsi come un crimenlese di poesia, forse fu assoluto dallo amore, non da mia madre. Il giorno dopo, che il signor Gasparo glielo ebbe mandato in dono impresso sopra mantino rosso, egli venne, secondo la usanza, a visitarla, assente Francesco Cènci. La signora madre tostochè lo vide si levò in piedi; e, fattagli reverenza, con voce alquanto alterata prese a favellargli così: «Carissimo signor Gasparo; dopo la pubblicità del suo sonetto, speravo che vossignoria comprendesse come una gentildonna onorata non potesse riceverla più oltre; e poichè il suo buon giudizio qui le ha fatto fallo, non posso risparmiarmi d'insegnarglielo di mia propria bocca». Poi, mossa a pietà del pallore del gentiluomo, con suono più dolce aggiungeva: «Che sia benedetto, signor Gasparo; ma perchè vossignoria offre a me uno amore che, sposa altrui, non potrei partecipare senza colpa; mentre presentato ad una fanciulla da par suo sarebbe prezioso, e la colmerebbe di giubbilo? Giri, di grazia, l'occhio intorno, e veda come Roma sia copiosa di fanciulle per bellezze e per costumi rarissime; dirizzi a qualcheduna fra loro le sue fiamme pregiate, e viva pure tranquillo che saranno accolte, come meritano, più che volentieri».

      Il signor Lanci interdetto si sprofondava in inchini; la voce gli negava l'ufficio consueto, ma le lacrime gli sgorgavano dagli occhi. Però, siccome amore si pasce di sospiri, di pianto e di speranza, non per questo smetteva il costume di farsi vedere sotto il palazzo, pago di contemplare almeno la dimora della donna amata. Certo giorno, poco innanzi l'alba, udii sotto le finestre di camera mia parecchie voci, che gridavano: «Misericordia, Gesù!» Scesi subito per la via con la spada in una mano ed un torchietto nell'altra, e vidi presso l'arco di casa il corpo del signor Gasparo trapassato da un coltello che dalla spalla destra gli riusciva sotto la mamma sinistra, dove aveva cantato di sentirsi il fuoco. Ma questo è nulla. Mia madre, già logora dai sofferti dolori, diventò più trista pel caso avvenuto al signor Gasparo buona anima; parendole, come pur troppo era chiaro, che per cagione sua egli avesse incontrata la mala morte. Già anche prima di cotesta strage poco ella usciva di casa; adesso poi non si lasciò più veder fuori, vivendo ritiratissima tutta chiusa nelle sue afflizioni. Così travagliata da nuovi e vecchi dispiaceri decadde per modo, che a quanti conversarono con esso lei parve che ormai pochi giorni le rimanessero a dimorare sopra la terra: inoltre la voce della sua prossima morte veniva sparsa a sommo studio da Francesco Cènci, novellamente accesosi, piuttostochè d'amore, di furore per la Lucrezia Petroni nostra matrigna. Certo dì, quando reputò il tempo opportuno, Francesco Cènci, colto il destro che mia madre, seduta a mensa al suo fianco, volse il capo per chiamare uno staffiere, egli, pronto come la lingua dell'aspide, gittò una presa di polvere nel suo bicchiere. La madre bevve; e, provato un gusto amaro, ne rimproverò il credenziere. Il Conte premuroso si fece recar la boccia, saggiò il vino con accuratezza, e accertò parergli lo squisito alicante che sempre aveva trovato. Io già era per aprir bocca e dire della polvere, quando il Conte, troncatami la voce in gola con una occhiata tagliente, così prese a favellare soave: «Signora Virginia, non ve ne fate caso; allorchè ci sentiamo male disposti, la prima cosa che ci venga a fastidio è sempre il vino.» Quindi, senz'altro aggiungere, si levò da tavola. Tre giorni dopo alla medesima ora mia madre, che Dio abbia in pace, moriva; e senza imbalsamarla, per motivo della subita corruzione, ben chiusa dentro tre casse la trasportavano in fretta a lontana sepoltura.

      Luisa aveva ascoltato questo racconto con viso arcigno, e a modo d'incredula. Finito ch'egli ebbe, così alla trista riprese:

      —Io non vo' dire, che il Conte sia un santo. Dio me ne guardi! Ma questo perpetuo vituperare che voi fate vostro padre, non vi ha recato altro che danno…

      —E come lo vitupero io?

      —E' non fu per simili obbrobrii che Sua Santità, tenendovi figlio senza cuore e desideroso della morte del padre, vi dimise dal suo cospetto sconsolato?

      —La buona fortuna di cotesto demonio è pari alla sua perversità.

      —Vergogna!… Rammentate che discorrete di vostro padre, e i vostri figliuoli vi potrebbero sentire.

      —E se sentissero, che mal sarebbe? È bene, anzi, che sappiano quanto lo avo loro sia diverso dal padre.

      —Voi?—Ah! se fosse vero quanto raccontate del Conte, voi avreste comune con lui l'odio dei figli…

      —L'odio dei miei figli! Luisa, sei folle stasera?—E Giacomo sollevò la testa come trasognato…

      —Sì, sì—gittate finalmente l'argine prorompeva Luisa con traboccante passione—l'odio del vostro sangue: ecco le vostre creature che hanno fame, e voi non le sapete cibare di pane; eccole ignude, e voi non procacciate vestirle: di me non parlo. La casa, che già vi fu cara, adesso v'incresce; rado venite, torbido state, presto partite, e non vi prende pensiero alcuno di noi, che fra le angosce vi aspettammo intere notti invano…

      —Luisa! l'anima, che potrebbe forse sostenere le

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