Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi - Augusto De Angelis

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Fu a Pretoria… Jeremiah Shanahan era uno dei cassieri della Società… aveva molto denaro in consegna… ma godeva la fiducia dei direttori e la meritava… Non ha rubato denaro… Non è vero che sia stato in carcere per aver rubato.

      — E voi?

      — Ero suo amico… C’eravamo legati… Il mio anche era un impiego di fiducia. Le cassette coi diamanti greggi venivano consegnate a me, per recarle dalle miniere alla sede di Pretoria… Io ero un po’ un collega di Jeremiah… Viaggiavo nell’interno, come le ho detto, e molto spesso non pernottavo in città, ma a Pretoria abitavo con Shanahan…

      — Lui aveva moglie, allora?

      — No. Eravamo scapoli entrambi.

      — E voi lo siete sempre rimasto, scapolo?

      — Sì.

      Tacque.

      — Ebbene?

      — Fu il destino!… Io mi lasciai traviare… Un giorno, colui che mi accompagnava, mi indusse a fingere un’aggressione… Tornammo senza la cassetta… Io avevo una pallottola di weterly in un braccio… Crestansen una ferita di striscio alla nuca. Leggera, però… Non gli rimase neppure la cicatrice… Avevo avuto paura di fargli male…

      Dunque, Crestansen aveva rubato davvero. E adesso lo avevano ucciso. E avevano ucciso anche Giobbe Tuama, che invece rubato non aveva.

      — Credettero alla vostra storia?

      — Sì… Almeno, finsero di credere… Non avrebbero potuto trovar prove contro di noi… Avevamo sepolto la cassetta in una foresta… Soltanto noi due sapevamo sotto quale albero…

      — Voi due e Jeremiah Shanahan… Il colosso mandò un sospiro.

      — Fui io a rivelargli il luogo… Lui era stato l’unico che non aveva creduto alla mia storia e me lo aveva detto… Io, allora, dovetti promettergli una parte dei brillanti…

      De Vincenzi lo ascoltava, senza guardarlo, per timore che egli si interrompesse e che non fosse possibile poi farlo proseguire. Beniamino era scosso da un tremito convulso. Soltanto la paura di qualcosa di terribile lo induceva a raccontare tutte quelle brutture.

      — Avanti!

      — Dopo un anno, lasciammo Pretoria e ci stabilimmo a Detroit… Fu qui che Jeremiah prese moglie…

      — Ed ebbe una figlia…

      — No. La figlia c’era già… Sposò una vedova…

      Dunque, Lolly Down era la figlia di Dorotea soltanto.

      Quasi macchinalmente, De Vincenzi ripeté:

      — Vedova…

      Allora Beniamino si turbò e lo guardò smarrito, come indagando.

      — Che avete?

      Non rispose.

      — Siete proprio sicuro di avermi detto tutta la verità?

      Ebbe un lampo improvviso: se questa appunto che gli era apparsa con un lampo d’intuizione fosse la verità? Non attese la risposta dell’uomo.

      — Il marito di Dorotea Winckers come si chiamava?

      — Non ricordo.

      — Sì, che lo ricordate! Provate a dirmi che non si chiamava Olivier O’Brien!…

      Il colosso sospirò profondamente. E di nuovo gli apparve sul volto quella espressione di terror panico. Aveva colto nel segno e Olivier O’Brien era vivo o per lo meno tutti lo credevano vivo. Questo doveva essere il centro del dramma. Ma in tal caso che cosa c’entrava Giorgio Crestansen e perché lo avevano ucciso? No, decisamente non avanzava. Una matassa accidentata, che si aggrovigliava sempre più.

      Un caso di bigamia? Poteva darsi. Ma tutto l’odio di Dorotea per Giobbe Tuama? Perché quell’odio deciso, inflessibile, freddamente crudele?

      Si alzò di scatto.

      — Aspettatemi qui, Beniamino O’Garrich… L’altro era rassegnato. Soltanto, aveva sempre paura.

      — Mi lasciate qui? – e guardò le pareti attorno a sé e poi la porta.

      — Chiuderò la porta a chiave dal di fuori.

      E la chiuse. E discese in fretta. Si fermò sulla soglia della sala. Il Pastore s’era riavuto. Sempre disteso sul divano, aveva gli occhi aperti e uno strano sguardo febbrile, brillante come fuoco, che girava attorno e che subito posò su di lui.

      Il dottore stava in piedi in mezzo alla stanza e fissava il Cristo. Si voltò e vide il commissario. Ebbe un gesto di sollievo. Era lo stesso medico del mattino, quello accorso in Piazza Mercanti. Ma il suo colorito malsano si era incupito e le guance grassottelle gli ricadevano flaccide.

      — Sono sempre io! Tutte in un giorno capitano! Avevo appena ripreso servizio e mi fate venir qui… Meno male che questa volta…

      De Vincenzi alzò la mano per farlo tacere ed ebbe uno sguardo così severamente eloquente, che l’altro capì.

      — Sta bene, dottore. Mi darà poi il suo rapporto. Può essere interrogato, vero?

      — Ma certo! – e c’era molta meraviglia nella sua voce. Guardò il ferito quasi con sarcasmo. Il Pastore si sollevò a sedere sul divano.

      — Che cosa vuol sapere? È stato uno stordimento e null’altro. Non so neppur io perché sia rimasto per tanto tempo nell’incoscienza.

      De Vincenzí fece qualche passo verso di lui. Aveva assunto il suo aspetto più cordiale.

      — Un brutto colpo! Avete ricevuto un colpo, che avrebbe potuto uccidervi!

      — Naturalmente! Ma non mi ha ucciso!

      — Avete veduto il vostro aggressore?

      — Appena un istante. Ero entrato in Chiesa, per raccogliermi… Ogni sera, lo faccio… Stavo avvicinandomi al mio scanno, avevo messo il piede sul primo gradino, quando ho sentito nettamente la presenza di qualcuno presso di me, dietro la colonna… Mi sono voltato e ho fatto appena a tempo a scorgere un uomo. Mi stava accosto. Sollevò il braccio e mi colpì in testa… Sono caduto e non ho compreso più nulla…

      — Ma lo avete veduto?

      — Vagamente. Aveva gli occhiali cerchiati di nero e una gran barba bionda…

      — E un cappello di paglia con un nastro azzurro!

      — Come lo sapete?!

      — Già…

      L’uomo dell’Hôtel d’Inghilterra!

      — Bene, dottore. Non c’è più altro da fare qui, per lei, vero?… Lo ha medicato?

      —

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