Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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piacere che poi crebbe, e di molto, quando li vide brontolare e bisticciarsi.

      Miss Dill non si lasciava trovare. Tutti giravano in giardino chiamandola qua e là… Nessuno rispondeva. Eppure Ambrogio e il signor Domenico erano passati sul piedi dell’istitutrice e del Reverendo; ma le nere colombelle, invece di lasciarsi prendere, si erano nascoste nella serra, donde usciva poco dopo la sola miss, guardandosi prima ben bene attorno e poi avviandosi lentamente verso il Palazzo, mentre don Vincenzo aspettava sull’usciolo il ritorno d’Ambrogio e del signor Domenico.

      – Ohi! Ecco don Vincenzo!… Non avete sentito a chiamare la signora miss?

      – No.

      – È un’ora che si cerca; dove sarà andata a ficcarsi?…

      – L’ho veduta poco fa… mi ha chiesto, anzi, della signorina.

      – E la signorina cerca la miss!…

      – Oh, guarda guarda, combinazione!…

      Tutti e tre ritornarono insieme verso casa, dove trovarono appunto l’istitutrice che scusava la sua assenza dicendo di aver preso un po’ di fresco sotto il pergolato, perchè soffriva di nervi.

      La brigata prestò fede al racconto; non così Lalla, che fissò l’istitutrice e sorrise.

      Salutati affabilmente gli ospiti, la signorina e la miss si ritirarono, e la Nena con loro.

      Lalla sentiva gli occhi di Sandrino che cercavano i suoi, pure gli passò dinanzi senza guardarlo. Le tre donne fecero la scala in silenzio; ma poi, prima di separarsi, sull’uscio delle loro camere, la signorina vedendo la miss che brontolava, minacciando l’emicrania per l’indomani, le domandò fissandola bene in faccia, con un certo tono impertinentino:

      – Scusi, miss, non crede lei di aver presa l’emicrania stando troppo al fresco sotto il pergolato?

      – Probabile… probabilissimo. Buona notte.

      – Ma… un momentino, miss… mi lasci vedere… oh curiosa! Che cos’ha sulle guance?

      – Io?…

      Lalla prese, il fazzoletto e lo passò qua e là sulla faccia scialba dell’istitutrice.

      – Sarà polvere…

      – Sicuro, polvere di tabacco!

      La miss diventò verde, perchè non poteva diventar rossa. – Oh! Sarà… certo… m’hanno detto che fa tanto bene per la nevralgia.

      – Ma è inutile metterne sulle guance… e nemmeno sugli occhi… e sul collo!

      Lalla aveva indovinato, da quei segni, i passaggi del naso di don Vincenzo, e una tale scoperta le fece molto piacere: quella donna, la inflessibile guardiana, ella ormai la teneva in sua balìa.

      – Mi pare impossibile…

      – Oh, anche a me pare impossibile, miss, ma è proprio vero!

      L’istitutrice si sentì perduta: la bocca aperta, il candeliere in una mano, il libro delle preghiere nell’altra, immobile sotto il plaid grigio che teneva sulle spalle, fissava la signorina e non poteva più muovere un passo, non sapeva più dire una parola.

      – Buona notte, buona notte, miss, e, per conto mio, non abbia timore di nulla. Dorma, dorma sonni tranquilli… – E la signorina sorrise un’altra volta salutando colla mano l’istitutrice attonita, e raggiunse la Nena…

      Sandro mantenne il giuramento. Lasciò gli amici, e approfittando della lite successa, non accompagnò a casa l’Ottavia: la Veronica giubilava e, non avendo di meglio, si sfogava abbracciando il signor Domenico.

      Sandro andò camminando a casaccio per la campagna, solo solo, fin quasi all’alba, e poi, rincasato stanco, si buttò sul letto senza poter dormire, nè riposare, e continuò a sognare le cose più strane. Sognava di farsi un nome, e guadagnarsi la gloria e le ricchezze colle sue attitudini artistiche. Le manine lunghe e nervose della signorina, gli avevano fatto vibrare, possenti, le corde dell’amore e dell’ambizione. Quella vittoria ch’egli credeva sua, mentre il vinto invece era lui, fe’ dar di volta al cervello del povero figliuolo. – Come aveva ottenuta la donna, superando tutti gli ostacoli, non sarebbe riuscito anche a crearsi uno stato che lo rendesse degno di lei? Degno di lei, s’intende, agli occhi della sua famiglia, agli occhi del mondo…; per il cuore della fanciulla, egli lo era sempre stato. Lalla, la sua Lalla aveva arrossito d’amore e si era mostrata gelosa!… – E ciò bastava perchè Sandro vedesse la bionda duchessina rifiutare i più ricchi pretendenti per aspettar lui, e per la consolazione di diventare la moglie del celebre Frascolini!… Così sognando, sognando sempre, egli perdeva di vista la realtà delle cose e, svanita la spensierata allegrezza dei suoi vent’anni, cominciava a essere malcontento di sè e degli altri, e a trovarsi a mano a mano sempre più infelice. Il giovinotto, che fino allora era rimasto pago dell’affabilità dei Conti di Santo Fiore, i quali si degnavano di tenerlo ospite nelle loro anticamere, adesso imprecava contro il pregiudizio ignorante e le ingiustizie aristocratiche, che pretendevano, con cento braccia, di opporsi al suo ingresso nella camera da letto della duchessina Lalla d’Eleda. D’altra parte sdegnava il nome onorato di suo padre, disprezzandone la condizione umile e plebea: le modeste aspirazioni e le gioie fino allora godute, perdevano ogni attrattiva per il giovinotto povero e oscuro, che voleva essere ricco e illustre, e che in quello squilibrio fra il volere e il potere, si trovava, si sentiva spostato. Uno spostato!… Il figlio e nipote dei segretari comunali di Santo Fiore, i quali occupando quel posto avevano sperato di tenerlo in serbo anche per lui, dove, come sarebbe andato a finire?…

      E Lalla?… Lalla si svegliò che il sole era già alto, e fu suo primo pensiero quello di accertarsi di non aver detto o fatto nulla che potesse comprometterla. Poi pensò all’Ottavia, alla Veronica, e sorrise, l’orgogliosetta, della propria vittoria. Pensò, e molto, anche a Sandro, alla maschia bellezza, al volto colorito, alle labbra che bruciavano, alla voce tremante del giovane; ricordò che la Nena, quel giorno, sarebbe andata da lui per avere i libri promessi, e indovinò arrossendo dal piacere, che nei libri ella avrebbe trovata una lettera…

      – Ma io non ti risponderò, signorino bello! – esclamò scherzando con Musette, la quale, veduta muoversi la padroncina, era saltata sul letto, vispa, festante, dimenando la coda, e abbaiando dall’allegrezza. – No, no! – e Lalla parlava colla cagnetta come se questa fosse appunto Sandrino. – No, no; non voglio rispondere alla tua lettera, è inutile che ti arrabbi, è inutile che tu mi morda le mani; in questo caso tu prenderai un buon scappellotto, così… – e la fanciulla faceva seguire l’atto alle parole – ma una risposta scritta, non l’avrai no, no e no… Col tuo bel musino, tu saresti capace di mostrare le mie lettere agli amici… Ah! vedi? Hai detto di sì! – esclamò Lalla ridendo di uno starnuto della cagnolina, che veniva a proposito come un’affermazione.

      – Saresti capace di farmi piangere un giorno, quando non potrò più volerti bene, perchè dovrò sposare un signore, più bello di te!… Indietro, subito; che non voglio baci! Vergognatevi! Mi credete forse miss Dill?… Indietro!… Va via!… e la fanciulla con le braccia tese, si teneva lontano Musette che allungava il collo per arrivare a lambirle la faccia. – Ohè! birichino! Volete rompermi la camicia?… – Va via! – da bravo!… Non dovete veder nulla… cattivo… brutto… Ah! cattivo, cattivo! – La piccola Musette, con un salto improvviso, le era arrivata dietro le spalle, poichè Lalla stava a sedere sul letto, e leccavale il collo, la faccia, le orecchie, facendola gridare dal solletico e dal piacere, finchè la fanciulla, presa la cagnolina, si rannicchiò con essa sotto le coltri, mordendola alla sua volta, e soffocandola

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