Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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style="font-size:15px;">      – Davvero? mo lo promette? Non si dimenticherà di… Non si dimenticherà?

      Che cosa voleva dire la signorina? Che cosa gli raccomandava di non dimenticare?

      – Le giuro… non potrei… Mi ricorderò: lo prometto! – rispose Alessandro con vivacità, e tutti e due perdettero di nuovo la parola; ma questa volta si guardavano tutti e due negli occhi.

      – Già – disse Lalla dopo un momento – come vuole che la signora Ottavia possa essere gelosa di me?… Il giovane tacque, e guardandola sempre, trasse un profondo sospiro.

      – E… lei, vuol proprio bene, lei, a quella signora?

      – Non so.

      – Non sa? Bel caso! – esclamò Lalla ridendo con uno di quei rapidi passaggi che mostrano la volubilità del carattere. – Bel caso! a Santo Fiore, saranno in due soli a non saperlo: lei e… e un altro.

      – Orbene, sì; non voglio più oltre mentire: ma pur confessandole che un giorno, ieri, ancora questa sera, ho potuto credere di voler bene all’Ottavia, le giuro per altro che amarla, amarla proprio coll’anima, non l’ho amata mai. Io non so, non posso spiegarmi; ma capisco, sento benissimo che una fanciulla soltanto può ispirare tanta sublime poesia!… Una fanciulla casta, ingenua che, amando, non commette una colpa, e non la fa commettere; una fanciulla che si può adorare e stimare, superbo, orgoglioso di lei, apertamente, sotto la faccia del sole, perchè l’amore ha bisogno della luce come la vita!…

      – Una fanciulla che fosse bella, buona… la Pierina, poniamo?

      – Oh, no! – esclamò il filodrammatico, colto così, all’impensata. – La Pierina no; è bella, ma non mi farebbe battere il cuore.

      – La Rinaldini?… ah quella le piace. Non la ricorda la cugina del marchese Rho?

      – No, no; nemmeno…

      – Allora sa che cosa le devo dire? – Io me ne lavo le mani; è troppo difficile da contentare. La Pierina, no, la Rinaldini nemmeno; come la vorrebbe dunque?…

      – Come la vorrei?… – e il povero Sandrino, al quale il freddo della sera aveva fatto un po’ di bene, s’interruppe quasi atterrito di ciò che stava per dire.

      – Dunque?! Coraggio!… ci sarebbe forse il pericolo che non sapesse nemmeno lei come la vorrebbe?

      – Oh! lo so; ma è su, su, tanto in alto, che io non dovrei, non potrei… non posso nemmeno guardarla!…

      – Peccato; in questo caso, non mi saprà dire se è bella o brutta.

      – No, no, non devo… non devo dir nulla! Senta, è meglio ritornare; fa freddo qui, e le potrebbe far male.

      – Teme che la signora Ottavia cerchi di lei?

      – No, non ho paura della signora Ottavia, ma ho paura della mia testa; della mia testa che brucia; e poi, se vuol saperlo, ho paura di lei…

      – Di me?… arrivare fino alla paura, è proprio un po’ troppo!

      – Vorrebbe dirmi, almeno, perchè lei si diverte tanto a prendersi gioco di un povero diavolo?… Da mezz’ora sento, e provo ciò che non ho mai sentito, nè provato in mia vita. Divento pazzo o che cosa divento? Non so… solamente so, che lei è tanto bella… e che mi fa perder la testa!…

      Bella!… era la prima volta che un giovane diceva a Lalla questa parola, e perchè sapeva di averla guadagnata, provò insieme con la soddisfazione della vanità, anche tutta la gioia di una vittoria. Sandro la vide sorridere avvolgersi nella sua mantellina, come per nascondersi agli occhi dell’ardito compagno, abbassar la testa, arrossire… egli credeva di modestia; ma la fanciulla arrossiva di piacere.

      Povero Frascolini, povero illuso! Egli vedeva svolgersi uno dei capitoli più romantici della biblioteca circolante: quella fanciulla che arrossiva alle sue parole, sola con lui, al chiaror della luna, bionda, duchessa, egli la fece scendere, a poco a poco, fino a sè, confidente, sincera, innamorata; e troppo ingenuo, troppo inesperto, troppo esaltato, senza poter riflettere, Sandrino si abbandonò tutto a quella gran finzione.

      – No, no; – esclamò Lalla interrompendo l’estasi del buon figliuolo – non sono bella, anzi… bruttina… sì, piuttosto bruttina; ma per questo appunto, ella non deve burlarsi di me!

      – Ah, se non fosse lei!…

      – Certo, se fossi un’altra… potrei essere anche bella!…

      – No, se lei non fosse una signora, oppure se anch’io fossi nato nobile, ricco, allora…

      Sandro s’interruppe e Lalla non gli rispose; ella chinò il capo di nuovo, arrossendo con un brivido, un sussulto, che pareva un sospiro di tutta la persona. Il giovane le si avvicinò, sempre di più, e, mentre gli si piegavano le ginocchia al contatto delle vesti di Lalla, sentiva diffondersi intorno un profumo fresco, soave, finissimo, che usciva dai capelli, da tutto il corpo di lei; un profumo inebbriante, nuovo per il giovanotto ignaro, lontano dai gusti, dalle abitudini del viver signorile; e i suoi nervi, eccitati, provocavano un odioso confronto fra quella fragranza aristocratica e l’afrore di sudaticcio della pingue moglie dello speziale. La fanciulla stava chinata con la fronte appoggiata a una mano, mezzo velandosi gli occhi tra vergognosa e raccolta; egli accostò la bocca al collo di lei candidissimo che spiccava in quella penombra, ma non ebbe coraggio di baciar quello… le sfiorò appena i capelli, e timidamente posò le labbra sulle unghiette rosee della mano, senza notare, l’inesperto, che fra quelle dita lunghe e affusolate, lo spiava un occhio freddo, attentissimo.

      Lalla si alzò ratta, con un piccolo grido.

      – Madonna Santa! – esclamò Sandrino ritornando in sè. – Madonna Santa! che cosa ho fatto!… Perdoni, signora duchessina, perdoni il mio ardire, la mia sfrontatezza… perdoni; non ho detto che la testa mi gira?… che sto male?

      Lalla non rispose più una parola, si serrò intorno la mantellina e lentamente si avviò verso il palazzo, seguita dal giovinetto così mortificato, paurosa, come avesse commesso una grave colpa. Egli non aveva coraggio nemmeno di aggiungere scuse alle scuse, e si sentiva agghiacciare pensando a tutto ciò che gli poteva accadere. – Che gli era mai saltato in testa? Offendere così la signorina che si fidava di lui, che si degnava di concedergli la propria confidenza, che si degnava di scherzare, di trattarlo, non come un inferiore, ma come un amico? In che modo gli era sembrato, come mai aveva creduto, aveva potuto supporre un sentimento che fra loro due sarebbe stato impossibile?… Eppure egli l’aveva veduta sorridere, arrossire, tremare… No, no; egli era ubriaco e chissà che cosa aveva veduto. La signora duchessina irritata, offesa da quel suo procedere, avrebbe riferito tutto alla duchessa Maria, ed egli finirebbe coll’essere scacciato dal Palazzo, e coll’essere disprezzato da tutti! – Con simili pensieri giunto sotto il portico, credeva morire dalla vergogna; e quando la Nena e la sposa, veduta la padroncina, le vennero incontro correndo, si sentì cascare il fiato. Ma Lalla disinvolta, chiamò le due ragazze per nome, colla sua voce chiara e rotonda, poi si fermò un istante e, voltandosi appena, mormorò piano a Sandrino: – Si ricordi, mi ha promesso di non ballar più colla signora Ottavia.

      Sandro si fermò sbalordito; volle parlare, ma gli si chiuse la gola.

      Intanto Lalla scherzava tranquillamente colla sposa e colla Nena, chiedendo conto della miss sparita dalla festa, e che tutti credevano in compagnia della signorina. Subito l’Ambrogio, il medico, il cuoco, e i due Frascolini andarono

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