La rivicità di Yanez. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La rivicità di Yanez - Emilio Salgari страница 13
Si capiva che le mitragliatrici, armi mai vedute da quei banditi, che facevano un grande fracasso e che facevano continua strage, avevano impressionato tutti.
D’altronde Sandokan e Yanez avevano radunati, presso la foce del fiume fangoso, tutti i cento uomini giunti dalla lontana Malesia, ed avevano fatto condurre, non senza grande fatica da parte dei cornac, i cinque elefanti, decisi a lanciarli contro gli avversari in una corsa spaventosa. Già sapevano ormai che erano condannati al pari dei cavalli.
Il cacciatore di topi, seguíto da Kammamuri, dal fedele rajaputo e da una mezza dozzina di montanari, aveva approfittato di quella calma per visitare tutte le rotonde e le gallerie superiori, sede un giorno di chi sa quante migliaia di miserabili, e tutti erano tornati carichi di legna per potere, durante la notte, accendere dei falò.
– E dunque? – gli chiese Yanez, quando lo vide giungere carico come un mulo, seguíto da tutti gli altri sette.
– Vi porto una buona notizia – rispose il vecchio, gettando a terra, con gran fracasso, il suo pesante fardello. – La temperatura si è rinfrescata, ed anche nelle alte gallerie ora si può vivere benissimo.
«Un po’ di sudore d’altronde non fa mai male in questi paesi.»
– Dunque l’incendio deve essersi spento completamente.
– Sí, Altezza; ed era tempo che le case, le moschee e le pagode finissero di bruciare.
«Ma vi è di piú. Ho scoperto, in certe rotonde che io da anni non visitavo, dei veri depositi di legna, e poi ho veduto i topi ritornare in gran numero.»
– Abbiamo qui abbastanza carne, sicché possiamo fare a meno per ora di quei rosicchianti niente affatto piacevoli.
– Non potete dire, Altezza, che bene arrostiti siano cattivi.
– No, ma sono sempre topi. Hai scoperto altro?
– Sí, un passaggio che mette in una vasta cantina. È ancora troppo caldo, ma fra ventiquattro ore io credo che noi tutti potremo percorrerlo.
– E gli elefanti ed i cavalli?
– Quel passaggio sarà la salvezza della vostra cavalleria grossa e leggera, sahib – disse il baniano. – Di notte noi usciremo e andremo a fare raccolta di foglie e di erbe. Gli uomini di Sindhia non ci inquieteranno. Sono troppo poltroni.
– Tu dunque non vedi la nostra situazione disperata?
– Oh no!… Con quei terribili guerrieri che ha condotto il vostro amico e con quelle armi non meno terribili, noi finiremo col lasciare l’amico Sindhia con un buon palmo di naso.
– Sei ottimista.
– Non sono mai stato pessimista, e non ho mai avuto da dolermene.
– Gli elefanti ed i cavalli peraltro da ventiquattro ore non mangiano.
– Domani mattina avranno una colazione abbondante. Il fuoco non può aver rovinato tutte le piantagioni che si estendevano intorno alla capitale.
Mettete a mia disposizione venti di quei terribili uomini, ed io rispondo di tutto, Altezza.
– Te ne concedo anche quaranta con un paio di mitragliatrici.
– No, le mitragliatrici non passerebbero; e poi possono essere piú utili a voi che a noi.
– Puoi aver ragione – rispose Yanez, il quale appariva, malgrado il suo carattere sempre vivace ed allegro, assai preoccupato. – Quando andrai ad esplorare quel passaggio?
– Appena caduta la notte, signore. È necessario che si raffreddi ancora un po’.
– Io ti accompagnerò con Tremal-Naik. Sandokan intanto veglierà alla foce del fiume nero.
– L’impresa potrebbe essere pericolosa assai, Altezza.
Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra dell’uomo che i malesi ed i dayaki chiamavano la Tigre bianca.
– Ho provato ben altri pericoli a Mompracem, a Labuan, nel Borneo ed anche qui – disse.
– Lo so, Altezza. Voi avete ucciso, insieme col vostro amico, il capo degli strangolatori delle Sunderbunds durante l’assalto di Delhi. Tutti sanno, anche in India, che siete degli uomini capaci di rovesciare degli imperi.
– Hai finito?
– Sí, Altezza.
– Concludi.
– Questa sera, giacché lo desiderate, andremo a cercare il cibo ai cavalli ed agli elefanti insieme con voi.
– Siamo intesi.
In quel momento giungeva il flemmatico olandese con un nuovo panciotto ed una nuova casacca di flanella bianca leggerissima e la grossa pipa in bocca.
– Ebbene, dottore, come vanno le vostre coltivazioni?
– Benissimo, signore – rispose Wan Horn. – Ho osservato poco fa le bottiglie dei bacilli del tifo, ed ho constatato che nulla hanno sofferto durante il viaggio. Si sviluppano meravigliosamente sotto questo clima.
– Sicché dopo i bacilli del colera andrete a inondare il campo o i campi di Sindhia con quelli del tifo – disse Yanez sempre ironico.
– Inondare? Eh, via, è un po’ troppo, Altezza – rispose l’olandese. – E poi non so se si presenterà un’altra occasione.
«Il rajah non mi riceverebbe certamente due volte. Mi farebbe fucilare dai suoi ultimi rajaputi.»
– Non oserei mandarvi da lui come parlamentario per la seconda volta – rispose Yanez. – Sindhia è un barbaro che non rispetta nessuna persona.
– Aveva già minacciato di trattenermi.
– E non sareste piú tornato vivo, ve lo assicuro. Quell’uomo è crudele come il fratello che egli stesso ha ucciso con un colpo di carabina durante un banchetto.
– È un pazzo, signore. I liquori lo hanno rovinato.
– Lo so che è un alcoolizzato pericoloso. Dunque voi mi dicevate che occorrono almeno quarant’otto ore prima che i bacilli si sviluppino e compiano la loro distruzione?
– Forse anche meno, Altezza.
– Per Giove!… Questo è un nuovo genere di guerra.
– Che darà dei risultati meravigliosi – rispose freddamente l’olandese. – Altro che le vostre carabine, le vostre mitragliatrici ed i vostri kampilangs!… Vedrete, vedrete!
E quel brav’uomo che si proponeva di assassinare, con le sue strane colture, se ne andò colle mani sprofondate nelle ampie tasche, fumando come una vaporiera.
– A questa sera, allora – disse Yanez al cacciatore di topi.
– Sí, Altezza. Conosco ormai la via e non mi smarrirò.
– E potremo noi oltrepassare la linea