Top. Albertazzi Adolfo

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cosa appartenente ad altri; e poichè oggi il diritto nuovo pare conceda di portarla via tutta, o quasi tutta, evidentemente la roba dei campi sarà oggi passata in padronanza superiore a quella dei Santi e di Domineddio: il mondo non cammina per nulla.

      – Non date danno – raccomandava la donna del casellante ferroviario ai suoi ragazzi; e aggiungeva come argomento positivo alla moralità ideale: – Potreste buscarvi delle bòtte – . Quando però i figliuoli rincasavano carichi di legna o, magari, stringendo al seno un mellone o un cocomero, e dicevano: – Ce l'han donato – , lei fingeva di crederlo: li vedeva incolumi, e «la roba dei campi…».

      Ma la buona donna raccomandava con maggior premura: – State lontani dai borroni!

      Perchè a bruscolare andavan di solito lungo il Rio Rosso dove scorre più fondo tra più folto e più pioppi, verso monte; e non vi mancavano le tentazioni e i pericoli.

      Il divertimento alla chiusa!: togliere i travi che servivan da paratoia per veder la piena precipitare riscintillante, e mandar con essa – a rischio di tenergli dietro – il primo trave per sollevare dal baratro una fragorosa colonna di spume e di faville! E i pesci? Non si godeva a sorprenderli e quasi afferrarli mentre galleggiavano nell'acqua limpida e tremula?

***

      Quel giorno, dunque, i figliuoli del casellante, Mario e Aldo Sartori… Bei ragazzi tutt'e due, ma più il piccolo – Aldo – , che esprimeva dagli occhi la letizia del sangue sano e la bontà dell'indole… Quel giorno, a fin di luglio, appena furono discesi dal ponte s'avviarono di corsa alla chiusa. Ahimè, non aveva raccolta. E il caldo era così grande che i pesci non comparivano, e fin i ranocchi, all'approssimar dei passi, tardavano a balzar giù con un tonfo e a penetrar nella melma dimenando le gambe e intorbidando, come d'un fumo, il breve specchio. Soltanto le idrometre mostravano d'esser contente a sfiorar l'acqua coi fili delle loro zampine, insensibili a tutto fuorchè al correre miracolosamente così su l'acqua, nel sole; emanazione di vita indifferente a tutto fuorchè al molle contatto e al moto alacre e incessante.

      – Raduna tu i bacchetti – comandò Mario al fratello, e si adagiò a un'ombra. – Io farò il fascio.

      Sapeva già compor le fascine a modo degli uomini. Con un vinco. Ne attorcigliava la vetta a cappio, sottoponeva il legame alla stipa, la calcava col piede, e introducendo nel cappio l'altra estremità del vinco la tirava e torceva in groppo sì che tenesse la presa. Poi si addossava il fastelletto e portandolo a dorso curvato si credeva che chi lo guardava lo stimasse un uomo. Perciò comandava al fratello e gli lasciava il vanto della fatica più umile.

      – Cogli tu! Presto!

      No e no. Aldo ne aveva meno voglia di lui. E liticarono. E si acciuffarono. Dei due, Mario, che percuoteva più sodo, era più facile a lamentarsi. Aldo resisteva finchè poteva, indi scappava con rivincita di boccacce e sberleffi che ne rideva lui stesso. E ridendo tornavano in pace.

***

      Da quanti secoli si ripete nei fanciulli la smaniosa gioia che dovevan provare gli uomini primitivi allorchè riuscivano a impossessarsi di qualcuna delle più liete creature del mondo? Era una vittoria su la natura, la quale ai volatili volle dar mezzo di sfuggire alla cupidigia umana, ed è tuttavia la soddisfazione di un'istintiva, atavica invidia per quelle creature così liete a credersi inafferrabili: tanta soddisfazione, tal gioia da rendere ingenua e inconsapevole la crudeltà.

      – Con un archetto – diceva Mario – si prendon le buferle.

      Ora i fratelli sedevano all'ombra insieme, pacificati e invogliati di caccia da un branco di cardellini che calando dalle fronde di sopra a loro eran venuti a bere e a bagnarsi.

      – Sono men furbe dei cardellini le buferle – diceva Aldo.

      – E se ci restan, nella corda, non scappan più. Vedrai!

      Ma costruire un archetto non era agevole come legare un fascio di stipa.

      Mario piegò ad arco un ramoscello e lo tese per bene con uno spago doppio a scorsoio. Se non che non sapeva ancora la giusta distanza dei nodi, nè trattener l'uno col piòlo, che, quando la vittima capiterebbe su la corda, cadrebbe, e l'arco scatterebbe serrando e stringendo le povere gambe fra l'altro nodo e la cocca. Uno spasimo atroce.

      – Fa presto! – Aldo sollecitava, ansioso del giuoco. – Dove ce n'è, delle buferle, adesso?

      – Nell'acaciaia del Palazzaccio.

      E prova e riprova, finalmente la macchina sembrò in ordine.

      Mentre avanzavano per il sentiero tra le macchie il piccolo si accorse che il giorno mutava luce.

      – Vien tempo da piovere.

      – Lascia! In caso che piova andiamo a ricovero nella capanna del vignarolo, lassù. Io non ho paura di niente.

***

      Ecco. Sfogliata la cima a un'acacia, posato l'archetto fra una rama e l'altra, non c'era più che da attendere con pazienza, zitti e queti. Passeri ne giungevano, d'intorno, ma parevano avvisarsi a vicenda dell'insidia: buferle, nessuna. E Aldo non poteva star fermo e tacere. Deluso, cominciò a insistere per tornar a casa.

      – Non senti che tuona?

      Il temporale rombava da lungi e già ne pesava, nell'afa bassa, la minaccia. Quando uno strano grido, come d'una voce troppo alta emessa da una gola troppo stretta, come d'un richiamo doloroso e selvaggio, sorse lì, da loro.

      – Un pavone!

      – Un pavone di quelli del Palazzaccio. Cercherà la pavona e i pavoncini, per ammazzarli – disse Mario.

      E lo videro. Nonostante l'impedimento della coda oltrepassava svelto fra tronchi e sterpi. Addosso! Forandosi le mani e le guance nell'inseguirlo, lo spinsero contro un cespuglio.

      – Càvagli le penne! – incitava il piccolo. – Ne voglio una!

      Infatti come la bestia ebbe nascosto il capo nel cespuglio e pensandosi non più vista non si mosse più, Mario potè strapparle una, due, tre penne delle più belle.

      E nel cielo ottenebrato proruppero i lampi.

      Allora i ragazzi fuggirono a ricoverarsi nella capanna.

***

      Il capannotto del vignarolo era a sommo della riva, appoggiato a una quercia e contesto di frasche.

      Vi entrarono felici. Essere al coperto, al sicuro, là sotto, come fossero sol lor due al mondo, mentre la bufera si scatenava! Il tuono ora scuoteva cielo e terra.

      – È il diavolo che va in carrozza con sua moglie. – Mario rideva; non aveva paura.

      Ma Aldo non rideva più. In fondo, dove il riparo era più saldo, sedè accosto al pedale della quercia e si coperse il viso con le braccia. E a un tratto, dal cielo squarciato piombò la grandine col fracasso della ghiaia scaricata dalle birocce; con un guizzo di luce abbacinante una folgore cadde da presso. I chicchi grossi quanto le nocciole fendevano il fogliame e il frascame dell'albero; alcuni penetravano di colpo nel rifugio.

      – Mamma! – invocò il piccolo.

      – Non aver paura! – ammonì il fratello. – Ci son io; e ti copro con la paglia. Tieni tu le penne.

      Gli porse, gli mise nella mano le penne del pavone, e tornò verso l'entrata dov'era un po' di paglia, in mucchio. E si chinava per raccoglierla, per difendere con essa, dalla tempesta,

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