Top. Albertazzi Adolfo

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Top - Albertazzi Adolfo

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E la maestra udì dire che le due coltellate se le era meritate in un litigio all'osteria. Quasi potesse esser giusto tanto dolore; il dolore della madre, cui nessuno all'infuori di lei, che v'assisteva ogni giorno, pensava commiserando!

      La vecchia riprese le abitudini domestiche; ma sembrava impietrita dentro. Taceva sempre, ora; e quel silenzio, in essa di natura così clamorosa, commoveva più che lagrime e lagni. Non solo. O perdeva la coscienza della sventura cadendo per la stessa fissità del pensiero in uno smarrimento mentale, o con volontà ferma, con energia chiusa e voluttuosa la povera donna cercava d'esasperare il suo soffrire nulla omettendo delle antiche abitudini.

      E ogni sera apparecchiava la tavola, come un tempo, anche per lui! Sparecchiava, dopo, e sospirava; come soleva le sere che il suo Agostino non tornava a casa.

      Nè Elena, per quanto si provasse, riusciva a confortarla. Alle parole che venivan dal cuore e che spontanee e sincere avrebbero fatto tanto bene a una donna educata, la Filomena scuoteva le spalle, sfogava lo sdegno brontolando: – Siete una signorina, voi! – Nella fiera vecchia il dolore pareva a volte condensarsi in astio; i suoi occhi mandavano lampi d'ira: per un orgoglio barbaro. Nessuno doveva tentar di scemare il suo disumano dolore. Nessuno!

      Trascorso più d'un mese, mutò; s'intenerì alquanto; schiarì gli occhi e il viso attendendo alle pratiche religiose. Prima d'andare a letto recitava il rosario e il Deprofundis; ma Elena, che a seguirla nelle preci si era sentita costretta come da necessità, doveva non dar segno di compianto. Guai se la vecchia le scorgeva gli occhi rossi! La guatava bieca: non la riteneva degna di soffrire per lei!

      E con l'andar del tempo Elena, dianzi piegata dalla compassione, tornò a ribellarsi. Si sottrasse a quei modi d'intolleranza. Che obbligo, alla fine, aveva lei di patir tanto per una persona alla quale non era stata congiunta che dalla sua propria sfortuna? Che compenso aveva avuto del suo soffrire? Che speranza poteva riporre nella convivenza con una donna tale; tanto diversa da lei; a lei contraria del tutto, in tutto? E si confermò nel proposito di partir di lassù. E cambiava discorsi e maniere. Non cercava più affatto le buone parole; non si rammaricava più che non fossero comprese e gradite le attenzioni del suo pensiero gentile e vigile. Divenne ruvida; sin impaziente. Taceva lei, ora. Si meravigliava essa stessa, ma non le dispiaceva, d'aver forza bastevole per non rispondere alle richieste che la vecchia era pur costretta a rivolgerle; e quando bisognava, richiedeva con tono altezzoso; senza guardare.

      Alla metà di giugno: via! Se n'andrebbe! La liberazione!

      Ebbene, allora, nell'attesa, Elena s'accorse che la Filomena posava su di lei sguardi di nuovo indagatori; quasi a leggerle nell'anima. E quasi indotta in un'apprensione diversa, la vecchia cominciò a starle attorno con nuove premure, con attitudini timide, incerta tra la soggezione e la confidenza. Pareva aver acquistata la coscienza de' suoi torti e aver bisogno di perdono e dimandare con gli occhi la pietà che per l'addietro aveva disdegnata, l'affetto che aveva respinto.

      Finchè, un giorno, a voce bassa, con le labbra tremule, uscì a dire:

      – Voi, Elena, gli volevate bene: è vero?

      E gli occhi materni rifulsero dietro il velo delle lagrime.

      Elena perdè d'un tratto la sua energia. Stupita, non ebbe coraggio di negare. Non rispose; sviò lo sguardo. E la vecchia:

      – Me n'ero accorta, io! E avevo paura che vi sposasse! Ma sarebbe stato meglio…

      Bel complimento! Meno male che il suo Agostino sposasse lei, anzi che morire ammazzato! Ma Elena non rise. Non potè riderne neppur dopo; perchè dopo, la vecchia si rivolse a confortar lei per confortarsi con lei.

      – Rassegnatevi, poverina! – le diceva – . Pugni al Cielo non se ne posson dare. Ma il Signore è giusto; e voi sapete se era buono, il mio figliolo! Ah se era buono!

      O le diceva:

      – Cerchiamo d'esser buone anche noi, e lo rivedremo in Paradiso, il mio Agostino.

      Elena non aveva questa speranza, nondimeno taceva; non commetteva la crudeltà di contrariare col minimo atto l'illusione della povera vecchia. – Che ignorante! – pensava. – Stolida! Credere che io ne fossi innamorata!; che desideri, io di rivederlo in Paradiso! Io!

      E contava quanti giorni mancavano alla chiusura della scuola, e sospirava l'ora che se n'andrebbe. Ma sentiva che il distacco non sarebbe agevole; sentiva che il dolore vincola più dell'amore e che, no, non invano aveva sofferto per quella povera vecchia ignorante e stolida. Bisognava dirle: – Me ne vado. Vi abbandono, per sempre – . Era un pensiero penoso.

      Quando un giorno, uno degli ultimi giorni avanti le vacanze, credè giunto il momento opportuno a dar l'avviso. E rincasando, udì… Oh una cosa insana! incredibile! Al solito luogo d'un tempo, sotto al fico, mentre rigirava l'arcolaio, la Filomena cantava a squarciagola! Appena otto mesi dopo aver perduto il figlio in quel modo, cantava; ripresa dal fervore che nel giugno pieno di vita la natura le effondeva d'intorno, dal cielo caldo e luminoso, dai campi dorati di grano e verdi di messi, dai monti azzurri e solatii, dal fiume bianco e lucente. Cantava! Nè volgendosi sorpresa, arrossì; non si vergognò. Interruppe il canto; attese che Elena le venisse vicino. E sorrideva, in un modo…

      Elena s'avvicinò per dirle (tanto, non era pazza quella vecchia?), per dirle: – Alla fine della settimana, parto. – Ma prima che parlasse la vecchia le prese di forza la mano, la costrinse a piegarsi verso di lei, sul suo petto, le accostò al viso le guance grinzose, la baciò su la fronte.

      Poi si scostò d'un tratto per guardarla – oh con tutto il cuore negli occhi, con un affetto immenso! – , e mentre i lagrimoni le calavano su le grinze e sorrideva: – Il Signore è buono – mormorò – . Mi ha tolto il figliolo, ma mi ha dato una figliola. Tu, sei tu, non è vero?, la mia figliola!

      L'OMBRELLO

      I

      Si accompagnarono, per caso, un pomeriggio del giugno, ai Giardini pubblici, e godettero a trovarsi coetanei o quasi. Ottantatrè, ne aveva l'uno – Ceccuti – ; ottantaquattro, l'altro – Boldrighi.

      Bell'età!, e portata così bene da entrambi, con aspetto così vegeto, che, quantunque fossero molto diversi nella faccia e nella persona, ai loro occhi parvero assomigliarsi come fratelli. Ma risentirono un'impressione anche più forte a ripetersi, a vicenda, il nome.

      – Io debbo averlo conosciuto, un Boldrighi.

      – E io, un Ceccuti.

      Dove? quando? Poichè Ceccuti, partito non ancora trentenne da Bologna, vi era tornato da soli due anni col figlio pensionato delle Ferrovie, e poichè Boldrighi non aveva mai perduto di vista le due torri, il loro incontro, se era avvenuto mai, bisognava rintracciarlo qui, a Bologna, più di mezzo secolo addietro. Vattelapesca!

      Riandarono fin i tempi della puerizia, rievocarono maestri e condiscepoli, cercarono relazioni famigliari, investigarono nella storia contemporanea della città, si raffigurarono in mezzo alle maggiori solennità e alle più famose vicende: e niente!, lo sprazzo di luce rivelatrice non veniva.

      Eppure conservavano freschissima la memoria delle cose lontane.

      Pensa e pensa… A un tratto Ceccuti esclamò:

      – Si ricorda, lei, di una certa Rosa detta la…?

      – … la Garibaldina! – esclamò Boldrighi, arrossendo nelle gote grassottelle.

      Non fu un lampo:

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