Top. Albertazzi Adolfo

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Top - Albertazzi Adolfo

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in casa, per queto vivere, volle subito sollevar la vecchia dello strano sospetto ch'ella cercasse d'innamorarle il figlio. Appena di lui udiva i passi o la voce, scappava nella sua camera.

      E la signora Filomena, la vecchia, non tardò ad accorgersi del proposito e a dimostrar gratitudine. Talvolta, piano piano, toccando con l'indice la punta del naso per impor silenzio, entrava a porgerle un uovo appena fatto; talvolta la chiamava dolcemente di sotto la finestra perchè scendesse a prendere un po' di sole con lei.

      – Venite giù, poverina! Vi farà bene. E tanto insisteva che bisognava accontentarla. Sedevano a solatio, davanti alla casa e di lato al pozzo e alla catapecchia ov'erano il forno, il porcile e il pollaio. Sotto al fico, dal piede bianco di cenere, la Filomena dipanava matasse all'arcolaio e cantarellava a bassa voce; Elena, seduta sulla panca del bucato, tra l'olla e la siepe su cui asciugavano fazzoletti e borracci, o cuciva o guardava le galline che andavano a letto. Montavano per la piccola scala sbalzando a una a una di piolo in piolo e misurandosi ogni volta, con la testa alta, allo slancio. Su! Ma lassù, là dentro, seguiva un rimescolio di voci e di proteste; e alcune malcontente atterravan di volo e tornavano a beccare nel truogolo. Tra i galletti ancora a terra intervenivano le ultime risse; gli ultimi assalti alle galline proterve. Le oche (non mancavano due oche) si spollinavano a vicenda affondando il becco tra le piume e scuotendo la coda; e il gatto si leccava e lisciava, beato.

      Ma già il porco domandava a suo modo la cena; e quando il sole calante accendeva d'una luce d'oro la montagna di là dal fiume, stupenda, la vecchia s'alzava per accontentar il porco, povera creatura, e preparare, dopo, la cena dell'ospite.

***

      Questi gli svaghi a Sant'Elpidio! Questa la vita che compensava tanti studi, tanti sacrifizi! Eppoi? Muterebbe mai sorte pur mutando luogo? Ed Elena Baschi nella presente mortificazione fu presa dallo sgomento del futuro, e pianse la sua bellezza sfiorita entro una scuola, il suo ingegno consunto in opera meschina.

      Ma della tristezza accorata in cui cadde a poco a poco, ma della desolazione profonda a cui a poco a poco si abbandonò, nè le fatiche della scuola, nè il disagio domestico, nè la stessa mancanza di affetti (orfana; sola al mondo) potevano rendere bastevole ragione. Un maggior male le rodeva l'anima: come un più segreto affanno; come un'aspirazione dell'anima spossata, e pur avida d'un bene ignoto e inconoscibile. Oh fuggire! oh rompere ogni catena! oh morire!

      Piangeva guardando dalla finestra della sua camera la mirabile prospettiva dei monti e del fiume e della valle verde, che l'autunno circonfondeva di una soavità luminosa e di una luminosa pace. E non comprendeva che il maggior male le veniva appunto di là, dal contrasto fra la vita esterna e la sua intima vita, dal discordo fra la tentazione di quel cielo e di quella terra piena d'anima arcana e la sua piccola anima riflessa nel suo povero pensiero ribelle.

      La sosteneva in faccia agli altri l'alterigia. E non comprendeva l'inconsapevole consiglio che a viver bene le dava, nella persona della vecchia, l'umiltà. Al contrario, della consuetudine con la vecchia risentiva un'irritazione, un fastidio sempre più grave e ormai pari all'odio.

      Già esente da ogni soggezione, la Filomena, anche quando la maestra era in casa, cantava a squarciagola i canti della sua fanciullezza; e cantava con impetuosa gioia, interrompendosi talora sol per ripetere l'usato grido – Oh… là! – , che i ragazzi le mandavano dalla pendice opposta. A sessant'anni! Ebbra di vita, così!

      – Pazza! – mormorava Elena, tormentata.

      Pazza? O piuttosto in quella donna sopravviveva qualche cosa dell'anima primitiva, quando l'umanità non si era fatta estranea e insensibile alla natura? Naturalmente – senza riflessione, senza contemplazione, senza ammirazione – la vecchia cedeva alle stesse energie di vita, che, indistinte, traevano liete voci dagli animali, e colori e profumi dalle piante, e risplendevano nel fiume, contro i monti, nel cielo. E cantava, così, priva di pensiero, per un ignaro irresistibile consenso del suo spirito alla vita universa.

      Se non che, al cader del giorno anche lei si raccoglieva; pensava anche lei. E allora soffriva.

      Era un presentimento, conoscendo lei pure il carattere aspro, violento, pericoloso, del figliuolo? o era un'oscura temenza che aveva nel sangue, ereditaria? o un panico per qualche recente ricordo di sanguinoso assalto?

      Ogni giorno, all'imbrunire, la madre usciva in mezzo alla strada e vi restava immobile, attendendo, in ascolto. Se percepiva da lungi il noto trotto, tanto diverso a' suoi orecchi da quello d'ogni altro cavallo, gridava forte: – È qui! è qui! – ; come annunciasse al mondo intero una miracolosa salvezza; e rincasava trafelata a scaldar le vivande, mentre Elena si ritraeva, saliva alla sua camera. Ma se l'arrivo di Agostino tardava o mancava, allora la madre cominciava a dolersi: – Oh poveretta me! oh Madonna santa! – ; e dalle parole mormorate appena acuiva la voce a esclamazioni angosciose:

      – Gli assassini! Oh Madonna santa, se me l'hanno ammazzato, il mio figliolo? Dio! Dio! me l'hanno ammazzato!

      Elena, le prime volte che l'aveva vista e udita in tale ambascia, aveva cercato di quetarla, aveva richiesto il perchè di così atroce spavento.

      Con sdegno la vecchia le aveva risposto:

      – Non sapete nulla, voi!

      Ed Elena ripetendo – è pazza! – se ne andava a letto, tormentata perchè la vecchia sino a notte tarda pregava ad alta voce o gemeva in sogno. E il mercante di buoi, quando tornava a notte tarda, sbatteva la porta, parlava forte tra sè; bestemmiava salendo la scala. Forse ubbriaco?

      Elena si alzava ad accertarsi che il suo uscio era ben chiuso.

***

      Passò novembre. Venne l'inverno.

      Quand'ecco, nel pesante silenzio di una sera che nevicava, la folgore, lo schianto tragico.

      Elena era già in letto, desta; e udì battere più colpi alla porta.

      Chi, a quell'ora? Perchè? Non poteva essere che lui! Non chiamava; mandava, lui – sì, era lui – , un lamento fioco, faticoso, quasi a prova d'ultima vitalità.

      Orrenda l'attesa; orrende, a un tratto, le strida che proruppero, della madre: – Il mio Agostino! il mio figliolo! Madonna santa! il mio figliolo!

      Elena balzò; e intanto che si gettava indosso la veste, distingueva fra quelle strida atroci, incessanti, lo scalpiccio dei passi per le scale, il sussurro delle voci – di coloro che lo portavano su…

      E dall'uscio aperto vide, nell'altra camera, al lume rossigno della candela…; vide; comprese.

      Ferito, l'avevano adagiato nel letto… Seguitavan le strida; strazio, spasimo delle viscere materne; odio, esecrazione dell'anima materna davanti l'assassinio del figlio.

      Nella memoria di Elena, ogni volta che raccapricciando riguardava la tragica notte, questa sola visione della madre era rimasta evidente; ma del resto il ricordo era torbido, confuso come le immagini d'allora, tra l'ombre agitate dal lume rosso della candela.

      E la vecchia che non voleva staccarsi di là, e i due uomini che parevano forzarla senza potere…; due uomini!

      Poi, il medico… Giungeva, usciva; tornava dicendo: – laparotomia…; tentare.

      E lei, Elena? Nel ricordo si vedeva quale fosse stata sempre là spettatrice, smarrita, tremante, convulsa, nell'ombra. Invece, no: lei sola aveva fatto cessar quelle strida intollerabili; lei aveva tratta a sè la vecchia, l'aveva spinta nella sua camera, l'aveva minacciata – con che parole non rammentava – perchè tacesse.

      E la madre, che aveva urlato così il suo dolore, con uno strazio

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