In faccia al destino. Albertazzi Adolfo
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Peggio poi la vecchia Melvi. Diceva che Ortensia era «una farfalla, leggera leggera». Lei, la madre di Anna, diceva così, in tono di rimprovero! E pensare che sua figlia, anche quando scherzava chiassosa e pareva abbandonata alla più innocente gaiezza, non diceva parola, non faceva atto che non ubbidisse a un'intenzione o a un'abitudine acquistata per intenzione! Ma Anna non era riprovevole perchè era falsa.
Ortensia invece era spontanea in tutto; schietta e franca anche nei difetti: presto o tardi n'avrebbe danno; l'ammettevo io pure. A diciassette anni, era ancor troppo mutevole e impetuosa: non potevo negarlo. Troppo la sua volontà cedeva alle facoltà spirituali, che nè gli ammonimenti materni nè il nativo buon senso bastavano a disciplinare; era irriflessiva spesso; troppo fiduciosa di sè e degli altri; impaziente… Concedevo tutto questo. Ma Eugenia notava: – Quando Ortensia ha detto no, è no! Per fortuna – aggiungeva – , a saperla prendere è facile prevenire il no e ottenere il sì.
Dunque Ortensia aveva forza d'animo. Me lo confermavano alcuni ricordi.
Anni innanzi, quando era sui dodici anni, Ortensia s'impauriva ancora ad andar sola, di sera, nell'oscurità. Una sera il padre la derise, per questo, più del solito. Improvvisamente lei s'alzò da tavola; traversò tutta la casa al buio; e tornò pallida, ma vittoriosa.
E da bambina respingeva ogni tentazione di dolci e di frutta che le venivan offerti a patto di rivelare chi delle sue compagne di scuola avesse commesso qualche marachella. Golosa, mangiava quelle buone cose con gli occhi, ma non c'era modo di farla parlare. Ed ora perchè sembrava più ardita e più consapevole di sè, quando, sul serio o per gioco, esclamava d'impeto: – Voglio! – ?
Allorchè tant'anima si raccoglierebbe nell'amore o nel dolore, che forza di volontà avrebbe al suo soffrire! Era figlia di Claudio Moser, il quale tutto doveva a una volontà ferrea. Come pure aveva del padre la focosa cordialità, che manifestava spesso puerilmente.
– Tesoro! – quanti erre nell'esclamazione, mentre quasi soffocava il gatto con le carezze. Io le dicevo:
– Una volta o l'altra ti graffia. Sei troppo fidente: credi buoni sino i gatti!
– Ma non vede com'è bello?
E il vitellino alla cascina? Era un lattonzolo fulvo e ispido, che ne ascoltava le più affettuose espressioni con i grandi occhi stupiti e immoti e le gambe anteriori tese e aperte a un imminente sbalzo, se non di riconoscenza, di pazza gioia. Espressioni per il vitellino da fare invidia a un innamorato! Quanto a Sansone, il vecchio e bianco cavallo di Moser, lo abbracciava mentre esso le posava il capo su la spalla e tritava lo zucchero; ed erano abbracci così furiosi che per miracolo quello non se ne liberava con una zampata.
Con tali indizi d'indole affettuosa andavan altri che davano a conoscere non men vive le facoltà spirituali.
– Dopo che la mamma è guarita non provo più nessun bisogno di pregare. Come sarà? Certo non va bene!
Questo era effetto della giovinezza ritornata del tutto lieta; ma chiedeva a me:
– E lei non prova mai il bisogno di pregare? Mai?..
Io sorridevo, tacendo.
– È orribile! – Ortensia esclamava allora, dolente in modo da rivelare uno spirito passionale e profondo.
Che sarebbe di quest'anima all'uso della vita? Tenace nella passione, a chi s'affiderebbe quest'anima? Scemando l'esuberanza della giovinezza, così impulsiva, che mutamento avverrebbe in lei? Ogni indagine mi pareva una preparazione a difenderla un giorno, e nello stesso tempo accresceva l'intima ragione del mio affetto.
Volli sapere i suoi più grandi desideri.
Alla domanda, dondolandosi a pena a pena nella poltrona ad arco, chinò le palpebre su gli occhi, quasi a raccogliere e a precisare una visione.
– Viaggiare! Viaggiar molto! viaggiar sempre!
– Perchè?
– Oh bella! Per vedere il mondo; altri monti; pianure; città; il mare. Oh il mare!
– Calmo…; a lume di luna… – suggerivo io.
– E in tempesta no? Non l'ho mai visto in tempesta. Dev'essere stupendo!
– Dalla spiaggia…
– … Le onde bianche, il cielo nero, i lampi… Brrr! che bellezza!; ma a non esserci, là in mezzo!
– Brava! E poi?
– Un altro desiderio grande grande? Un bel cavallo roano… Roano o morello? Morello! con una stella bianca nella fronte!; e mi portasse via di galoppo, dove volessi io… S'intende, più giovane e più focoso di Sansone. Sa che è un bel tipo, Sansone? Cascasse il mondo, lui non si turba! Sola io riesco a farlo inquietare un po', quando non gli lascio ingoiar lo zucchero… È buono, Sansone; tanto buono!; ma con lui si va poco lontano!
– E poi? altri desideri?
– Mi lasci pensare…
Invece io la prevenni:
– Gioielli?, toilettes?, feste?, teatri?
– Si sa! Quale è la ragazza che non le desideri, queste cose?
– E poi? – io continuavo. – Diventar moglie d'un gran signore; magari d'un principe?
– Uh!, non mi dispiacerebbe.
– Ma io avrei preferito che tu dicessi: moglie d'un grand'uomo; d'un grande artista…
– Non ci ho mai pensato!
– Ah, dunque pensi a diventar moglie d'un principe?
– O di chi, allora? Di Pieruccio Fulgosi?
Fece una risata così significativa che anche a me parve di veder Pieruccio conficcato nell'alto colletto, smorto, con gli occhi imbambolati e i calzoni rimboccati.
– Sei senza pietà con quel povero ragazzo…
Arrossendo, Ortensia dimandò:
– Troppo sgarbata, è vero?
– Ierisera cosa ti disse quando gli voltasti le spalle?
– Eh! la solita storia!; non sa dir altro.
– Cioè?
– Che sono bella.
– E tu?
– Seccatura! Io non so dirgli altro che seccatura! Se lo merita; bamboccio!
– Però non gli dai torto del tutto quando ti dice che sei bella.
– Per me son tutti belli, fuori che lui! È bello per me anche suo padre!
Un'altra risata; e si levò di scatto per andar a guardarsi a una delle specchiere, che stavano alle pareti opposte della sala, quasi per togliersi un dubbio improvviso.