Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3. Ali Bey

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Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3 - Ali Bey

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trovato qui non so quello che avrei fatto… forse l'avrei ammazzato… ma… io t'avrei egualmente uccisa, se tu gli avessi rifiutata l'ospitalità, ed i necessarj soccorsi. Tratto maraviglioso di cui non trovansi frequenti esempi nella storia.

      Tutti gli effetti preziosi ch'Elfi aveva portati da Londra furono dopo la sua fuga spezzati, saccheggiati, e venduti. Unitosi ad alcuni Mamelucchi suoi partigiani si stabilì nel deserto; e col danaro ch'ebbe dagl'Inglesi non tardò ad ingrossare il suo partito, e sentendosi abbastanza forte, dopo avere sottomesso alcuni dovar, e tribù, venne a bloccare la città di Damanhour poco distante da Alessandria. Ma gli abitanti ch'eransi dichiarati contro di lui, si difendono già da due anni con una piccola guarnigione di Arnauti.

      Intanto gl'Inglesi, e gli agenti d'Elfi ottennero firmani dal Gran Signore che lo dichiaravano Schèih-el-Beled, ossia principe feudatario dell'Egitto. Per far eseguire questi firmani la Porta spedì il Capitano Pascià con tutta la squadra ottomana, e spedì inoltre con alcune truppe Mussa Pascià di Salonicchi, come governatore del Cairo: ma Mehemed Alì ed i Scheih di questa città si opposero a tale disposizione, e dopo alcune trattative col capitano Pascià, e colla corte di Costantinopoli, ottennero nuovi firmani in favore di Mehemed Alì. Il capitano Pascià e Mussa Pascià ritiraronsi senza aver fatto nulla il 18 ottobre 1806; ed Elfi Bey rimase solo ed abbandonato nel deserto. Fu questi senza dubbio un fatal colpo per gl'Inglesi, che perdettero i frutti di tanti sacrificj, ed i vantaggi che loro assicurava l'esclusivo commercio dell'Egitto. Ciò è quanto mi fu raccontato, ma io non guarentisco che la verità di ciò che ho veduto io stesso, e quantunque il capitano Pascià e Mussa Pascià mi dassero non equivoche testimonianze di considerazione e di amicizia, portato dai mio carattere più alla contemplazione dalla natura che agl'intrighi degli uomini, mi tenni sempre lontano da simili affari.

      Rimasi diciannove giorni accampato fuori d'Alessandria con tutta la mia gente, nel qual tempo raccolsi molte piante marine, e disegnai la veduta d'Alessandria. Avanti di partire da Alessandria il capitan Pascià ebbe la delicatezza di presentarmi, senz'averla richiesta, una lettera commendatizia per Mehemed Alì, un'altra per il Pascià di Damasco, ed un firmano pel Sultano Scheriffo della Mecca.

      CAPITOLO XXX

      Tragitto a Rosetta. – Bocche del Nilo. – Rosetta. – Viaggio al Cairo pel Nilo.

      Dopo il soggiorno di cinque mesi e mezzo in Alessandria, ripresi il mio pellegrinaggio il giovedì 30 ottobre 1806, e m'imbarcai sopra un dierme accompagnato da alcuni de' principali Scheih della città, che vollero seguirmi per due ore di navigazione. Il dierme è un bastimento scoperto a vele latine o triangolari. Quello che m'aveva ricevuto a bordo era de' più grandi, ed a tre alberi, con una gran vela ad ogni albero. La lenta manovra di queste navi le espone a frequenti pericoli; e non passa anno senza qualche naufragio al pericoloso passaggio delle barre del Nilo. Non potendo per cagione del vento assai fiacco giugnere avanti sera alle bocche del Nilo, si diede fondo nella rada d'Aboukir alle quattro della sera.

      Il 31, alle sette ore e mezzo arrivammo alla barra del Nilo, la quale è posta quattro miglia all'incirca entro al mare. D'ordinario l'onda è assai gagliarda per l'urto delle acque del mare con quelle del Nilo; e perchè i passaggi praticabili cambiano continuamente di luogo, vi sta continuamente un battello per indicarli alle navi. Malgrado questa precauzione, essendo la barra assai larga, in tempo che il Nilo è povero d'acque non avvi legno per piccolo ch'egli sia, la di cui chiglia non tocchi più volte la sabbia; ciò che stanca assai gli equipaggi, e li espone a perdersi. Quand'io passai, essendo il Nilo gonfio ed il mare tranquillo, si attraversò la barra senza quasi avvedersene.

      Mancato affatto il vento si gettò l'ancora sul Nilo poco più addentro della barra. Come è bella la vista di questo mare d'acqua dolce! la bocca del Nilo era ancor lontana più di una lega, e pure bevevamo le acque del Nilo perfettamente dolci, che rispingono quelle del mare assai al di là della barra. Alle nove ore e mezzo un vento favorevole ci portò in mezz'ora alla bocca del Nilo… Quale sorprendente spettacolo! Un maestoso fiume le di cui acque s'avanzano lentamente fra sponde coperte di alberi d'ogni specie, da vasti campi di riso che mietevasi allora, da una infinita varietà di piante aromatiche, da casali, da capanne, da case qua e là sparse, da vacche, da montoni, e da diverse specie d'uccelli che facevano risuonar la campagna co' loro canti, mentre copriva il Nilo un infinito numero di oche, d'anatre e d'altri uccelli acquatici, tra i quali si distinguevano alcune truppe di cigni, che sembravano aver signoria sugli altri. Ah perchè mai la Dea d'Amore non scelse per suo soggiorno le rive della foce del Nilo?

      Lasciando a sinistra il forte Giuliano, e a destra l'isola Verde, che deve la sua origine ad un dierme naufragato, sul quale la sabbia e la melma ammonticchiandosi ne fecero poco a poco una vasta isola ora coperta di case e di giardini.

      In una sinuosità del fiume prendendo il vento da prua, tutti gli equipaggi del nostro, e di altri tredici dierme che ci accompagnavano, saltarono a terra, rimurchiando il proprio bastimento colle corde, finchè in un giro prendendo vento in poppa, furono rimesse le vele, e si giunse in sul mezzogiorno a Rosetta. Sbarcato all'istante andai ad alloggiare nella casa che un arabo mio amico mi aveva preparata.

      Rosetta posta sulla riva sinistra del Nilo è poco larga, ma lunga assai. Le case sono fatte di mattoni come quelle della vicina campagna, ed hanno quattro o cinque piani; lo che unitamente alle molte finestre ed alle grandi e sontuose torri, la fa parere una bella città d'Europa. Se poi vi si aggiunga la vicinanza d'un vasto fiume, ed al di là la prospettiva del Delta, la bontà del clima, e l'eccellenza de' suoi prodotti, è facile il giudicare quanto delizioso ne sarebbe il soggiorno, se le benefiche disposizioni della natura non fossero contrariate dagli uomini.

      Rosetta è governata da un Agà arnauto detto Alì Bey, che d'ordinario tiene sotto i suoi ordini trecento soldati della sua nazione. Eravi accidentalmente in questo tempo un altro Alì Bey turco figliuolo d'un antico Pascià; onde eravamo nello stesso tempo tre Alì Bey a Rosetta.

      In questa città fa la sua residenza un vescovo greco, ed adesso vi si trovava pure l'arcivescovo del Monte Sinai che recavasi dal Cairo a Costantinopoli, ov'era in pari tempo diretto anche il luogotenente generale del Capitano Pascià detto Kiùhia.

      Non uscii quel giorno di casa che per visitare il celebre sig. Rosetti che mi fece una straordinaria accoglienza. La seguente domenica fu piovosa, e s'udirono gagliardi tuoni.

      Il lunedì 3 ottobre m'imbarcai alle due ore dopo mezzogiorno sopra un càncha per rimontare il fiume. Il càncha è una specie di bastimento unicamente destinato alla navigazione del Nilo: rassomiglia ai dierme, ma ha di più una camera assai comoda divisa in due parti che ne formano una sola, ed un gabinetto circondati da belle finestre. Io vi occupai solo le camere, ed il rimanente della nave i miei domestici, equipaggi, e cavalli.

      Alle due ore e mezzo si passò in faccia ad Abu Mandour, ed alle cinque giugnemmo presso Berinhal, borgata posta sulla riva destra dopo aver lasciato Lemir a sinistra.

      Le frequenti sinuosità del Nilo obbligando gli equipaggi a rimurchiare spesse volte il bastimento, sono cagione che si prendono assai numerosi: il mio era di quattordici uomini. La sera si diede fondo tra i villaggi di Entaube, e di Edfina.

Martedì 4

      Si spiegarono le vele con leggier vento alle otto ore del mattino, e dopo avere lungamente rimurchiata la nave, arrivammo a Fizzara villaggio posto dirimpetto all'altro di Schemschera sulla riva destra, ove vidi passare un feretro. Un uomo ben vestito, probabilmente l'iman, apriva il convoglio seguito da dodici o quindici persone; teneva loro dietro il morto portato sulle spalle da quattro uomini, e coperto da alcuni panni di diversi colori, l'ultimo de' quali era rosso. Era seguito da cento femmine all'incirca che mettevano altissime grida. Giunto il convoglio al luogo della sepoltura le donne si ritirarono, e gli uomini rimasero soli per seppellire il cadavere.

      Ad

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