Due amori. Farina Salvatore
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XIII
Ogni volta che abbiamo qualche cosa da rimproverare a noi stessi, suole avvenire che al dolore succeda il pentimento, e che questo provochi propositi nuovi; così l'animo di Raimondo andò a poco a poco rasserenandosi; e come ei fu queto, domandò il cielo in testimonio che un'altra volta sarebbe stato più avveduto e più ardimentoso.
Con questo proposito egli ritornò la sera successiva in casa della contessa, ed io credo che non avrebbe fallito alla sua promessa, se la mala stella non ci si fosse posta di mezzo. Clelia non venne.
Il giorno successivo neppure-così l'altro e l'altro ancora.
Immaginate lo spasimo di Raimondo. Del resto il generale continuava ad intervenire colla stessa regolarità, nè mai una volta che mancasse. Ora se la signorina Clelia fosse stata ammalala, il generale non sarebbe venuto-questo era evidente.
Come Raimondo fu venuto a questa conclusione, non andò molto che prese il suo partito. S'egli era stato debole e pauroso con una donna, altrettanto sapeva essere franco con un uomo; però colto un momento in cui il vecchio generale si lisciava in un cantuccio della sala i lunghi mustacchi, gli si accostò risoluto e lo salutò.
Il generale s'inchinò, e continuò a lisciarsi i mustacchi; ma Raimondo tenne duro, e gli domandò notizie della sua salute. Il generale stava benissimo, e continuava a lisciarsi i mustacchi; ma quando s'accorse che il suo interlocutore non aveva in animo di lasciarlo in pace alle sue fantasie, gli domandò tra il sorriso e il cipiglio:
–Il signore mi conosce?
–Ho questa fortuna. Ella è il generale R. Mi fu presentato dalla contessa ed io non l'ho più dimenticato.
–Troppo onore.
–Io sono Raimondo X.
–Ne ho piacere.
–Ella è anche, se non erro, il tutore, o lo zio, o il padre della signorina Clelia?
–Precisamente.
–E la signorina Clelia è ella incomodata?
–Non credo.
–Però da un pezzo non frequenta queste sale…
–Fa i suoi gusti.
Raimondo incominciava a perdere la pazienza; comprese che non vi era mezzo di far chiaccherare quel vecchio orso, e mutò sistema:
–Vorrebbe ella avere la cortesia di darmi qualche notizia più chiara sul conto della signorina Clelia?
Il generale si volse all'improvviso, e guardò in faccia Raimondo. Poi con affettata cortesia:
–E si può sapere a quale scopo ella mi fa questa domanda?
–Io m'interesso molto per la signorina Clelia…
–E con qual diritto ella s'interessa per la mìa creatura? interruppe il generale con asprezza.
–Perchè l'amo, rispose calmo Raimondo.
–L'ama! E in che modo ella l'ama?
–Io non ne conosco che uno.
–Questo è vero; disse il generale mansuefatto dalla sincerità di Raimondo.
Per qualche minuto nissuno dei due fe' motto. Il generale pareva riflettere, e la sua fronte si rischiarava. Fu egli il primo a rompere il silenzio:
–La mia creatura sa essa di questo amore?
–Non lo so, ma credo di no.
–E che venite dunque a contare a me?
–Perdonate? ma se io potessi dirlo ad essa, non lo direi a voi.
–Lo credo.
–Ma io non so come fare a dirglielo.
–Eh! diamine; non glie lo dirò già io per voi. Parlatele.
–Non domando di meglio; ma posto che essa non viene qui…
–È verissimo… posto che essa non viene qui, voi non potete parlarle.
–Se la conduceste qui…
–Vi pare? Essa fa i suoi gusti.
–Ma se la pregaste…
–S'io la pregassi, verrebbe.
–Dunque?..
–Dunque io non la prego. Quest'è chiaro. Dal momento che la mia preghiera distruggerebbe la sua volontà, tanto varrebbe ch'io l'obbligassi.
–Ma allora io non vedo come…
–Ed io meno di voi.
–Converrete che ciò è doloroso.
–Pienamente.
–Vi sarebbe un altro mezzo.
–Sentiamo.
–Ponete che invece di venir essa qui, mi recassi io da lei.
–Bravissimo. È ben trovato.
–Dunque siamo intesi. Voi m'invitate ed io vengo.
–Siamo intesi; v'invito e venite…
–E parlerò colla signorina Clelia.
–Impossibile; il suo appartamento è separato dal mìo…
–Ma in questo caso il mio trovato non serve.
–Anche questo è vero.
–Che mi consigliate di fare?
–Consigliarvi? Vi pare? alla mia età…
–Anche voi avete avuto vent'anni; anche voi avete amato.
–Ho avuto vent'anni, non lo nego; e poichè voi ne sembrate persuaso, confesserò che ho amato anch'io.
–E che fareste al mio posto?
–In verità poichè l'affare è molto serio, vorrei pensarci sopra seriamente.
–Cosicchè tocca a me il pensarci?
–Tocca a voi, cred'io.
–Grazie del consiglio, generale.
–È una bagatella, signor Raimondo.
XIV
Il mio amico s'era posto sulla via delle arditezze; al giorno successivo, dopo che ebbe rimuginalo mille progetti in mente, prese il partito di scrivere a delia.
Ecco la sua lettera.
"Io