Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele
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Nacque Maometto (a. 570) della tribù koreiscita, della nobile progenie di Kossai per Hascem, soprannome che in lingua nostra suonerebbe Frangi-pane, e fu ricompensa data dai poveri al bisavolo del Profeta. Unico figliuolo di giovane coppia, Maometto venne al mondo dopo la morte del padre; perdè la madre a sei anni; poco appresso, l'avol paterno: rimase orfanello e povero in tutela dello zio Abu-Taleb, uomo di alto affare nella città. Secondo il costume, era stato allevato in una tribù beduina, ove si avvezzò alla dura vita del deserto; ma lo rimandarono a casa, credendolo indemoniato, per insulti di epilessia. Fe' parecchi viaggi in Siria e altrove con le carovane: e una ne condusse per conto di Khadigia, donna vedova e giovane. Avvenente e ben complesso della persona; piacevole al tratto; amato da tutti per probità, gravi costumi, saviezza e bel parlare, gli altri diergli il nome di Amîn, che noi diremmo il fidato; Khadigia invaghissene e lo sposò. Così nella tranquillità d'una mediocre fortuna e nella pace domestica, ch'ei non prese altre mogli mentr'ebbe Khadigia, visse infino ai quarant'anni, praticando le virtù che appartengono ad uom privato, amando il raccoglimento e la solitudine, senza far parlare altrimenti di sè. Non si rese chiaro nelle armi fino alla guerra civile ch'egli accese, nella quale poi non mostrossi gran capitano, e moltissimi l'avanzarono di fierezza e valor nella mischia. Da meno di tutti gli altri Koreisciti, ch'eran pure i più tristi poeti dell'Arabia, ei non fe' mai versi, non potea ripeterne senza guastarli. Vantossi di non saper leggere nè scrivere; il che non tolse ch'apprendesse le tradizioni nazionali e straniere, i principii filosofici e i libri sacri d'altri popoli, che, tra quel fermento di intelletti, gli tornavano da cento bocche diverse; tra gli altri da un parente della moglie, ch'era de' quattro ricercatori della vera religione d'Abramo.
Di quegli elementi disparati Maometto prese ciò che seppe e potè adattare ai bisogni degli Arabi. Ne compose un sistema religioso e politico, semplice, vasto, ottimo alla prova; poichè e rigenerò una nazione più prontamente che non l'abbia mai fatto altra legge, e contribuì non poco all'incivilimento d'una gran parte del genere umano, e si regge tuttavia, nè par disposto a morire. Il disegno di tal religione potrebbe adombrarsi in questo modo. Tolti da' Giudei e dai Cristiani e racconci un po' all'arabica i dommi cardinali: Dio uno, senza compagni, senza nè genitori nè figliuoli, vivente, eterno, immateriale, onnipossente; creazione; gradazione di esseri ragionevoli, angioli, demonii, genii, uomini; vita futura; giudizio universale; premio ai credenti e virtuosi di soggiornare in eterno in giardini lieti d'acque e di frutta, con modeste donzelle dagli occhi negri; supplizio agli empii il fuoco sempiterno; predestinata da Dio ogni cosa, fin chi crederebbe e chi no; ciò non ostante, come per divin trastullo, messi gli uomini tra la tentazione perpetua di Satan, e la voce dei profeti; profeti o apostoli tutti que' dell'antico testamento e Gesù Cristo; rivelati il Pentateuco e il Vangelo; ultimo e massimo apostolo Maometto; l'ultima edizione de' comandi del Creatore scritta ab eterno; recitata a brani dall'angiolo Gabriele all'apostolo illitterato, il quale venia ripetendo la rivelazione, e sì chiamolla Korân, ossia lettura. Primissimo dovere degli uomini verso Dio, la fede, anzi l'assoluto abbandono in lui; che ciò significa islâm, e indi son detti musulmani i credenti, ossia abbandonati in Dio: idea cristiana sotto nuovo nome. Il culto tra giudeo ed arabo: frequenti preghiere, pellegrinaggio alla Mecca, digiuni, con una lunga appendice di purificazioni da osservarsi e impurità da scansarsi; raccomandandosi alla coscienza di ciascuno le pratiche private, le pubbliche alla scambievole vigilanza de' cittadini. Perchè non si istituì alcun ordine sacerdotale; le preghiere in comune principiavansi dal capo politico o da ogni altro Musulmano; così anche le concioni o sermoni pubblici; e gli stessi teologi che nacquero ne' tempi posteriori non furono sacerdoti; i dervis e altre fraterie non altro che accattoni e moderni. Chiamati i fedeli a servir su la terra l'Onnipossente con la borsa e con la spada, pagando la decima e combattendo i miscredenti: l'uno statuto giudaico; l'altro effetto d'uno intendimento politico e della universale intolleranza dell'età. Precetti divini anco erano i doveri degli uomini tra di loro, dettati con forma e severità giudaica, ma ispirati dalla carità cristiana. Infatti viene innanzi ogni altro e secondo solo alla fede, espresso e positivo obbligo la limosina. La fratellanza tra i Musulmani, il rispetto delle persone e delle proprietà: donde un abbozzo di codice civile e penale, che ridusse a legge certa, universale, applicabile dall'autorità pubblica, molte male osservate costumanze degli Arabi; e sopra ogni altra la pena degli omicidii. Con ciò il Profeta correggeva, ora per espresso divieto ora per consiglio, i vizii più flagranti della società arabica: maledetto il parricidio delle bambine; proscritti l'usura, il vino, il gioco; la poligamia limitata; dati diritti di non lieve momento alle donne; la schiavitù non abolita ma mitigata e menomata, consigliandosi, e in molti casi comandandosi, la emancipazione. Da ogni parte si vede, quando si risguardi all'ordinamento sociale, come i costumi legassero le mani al legislatore, troppo superiore, non che alla sua nazione, ma al suo secolo. Per lo contrario, quell'altissimo ingegno non bastò ad improvvisare un dritto pubblico. Degli ordini politici ei non lesse altro in cielo che la uguaglianza dei cittadini tra loro e l'obbligo di ubbidire ciecamente a lui solo: principii stranieri entrambi, fecondi dapprima; e poi l'uno svanì, l'altro portò alla assurdità d'un governo assoluto senza legislatore. Questa è la somma della nuova legge. La prova dell'autorità non potendo venir che di lassù, Maometto con molta arte ne compose una sembianza. A dimostrazione del suo dio allegò e ripetè senza stancarsi quanti sapesse dei miracoli giudei e cristiani, i terrori delle tradizioni e fenomeni dell'Arabia, la bellezza del creato, la pioggia, la vegetazione, la vita, ogni beneficio che vien dalla natura, ogni mistero che l'uomo non può spiegare. In attestato della propria missione portò un sol prodigio: il divino stile, diceva egli, del Corano, che intelletto d'uomo non sarebbe arrivato giammai a comporre: e sì sfidava i miscredenti a imitarne una sola pagina. Infatti quei che noi diciamo versi del Corano ei chiamò aiât ossia miracoli. Gli altri prodigii che sogliono attribuire a Maometto i Musulmani, e, più di loro, i Cristiani, nè egli mai li vantò, nè entrano nella credenza di lor teologi: sono invenzioni di tempi più bassi e di altre nazioni; sopratutto dei Persiani che portavano nello islamismo lor fantasie indo-germaniche.
Le istituzioni musulmane, come ognun sa, furono dettate a poco a poco, abrogate ed emendate secondo le circostanze: e gli Arabi si beveano d'aver sì comodo legislatore, onnisciente e fallibile, capriccioso ed eterno. Deriva la legge da due fonti: il Corano e la tradizione, ossia le pratiche e parole di Maometto, notate dai discepoli, delle quali noi abbiamo ricordi autentici e diligenti più che non si possa aspettare in leggende religiose; emergendo non dalle tenebre di una setta e d'una antichità remota, ma dalla storia di pochi anni di persecuzione, che si voltò in trionfo vivendo i persecutori e i perseguitati e ridivenuti fratelli. Quell'ampia raccolta, ci attesta forse meglio che il Corano la sagacità, prudenza, umanità, bontà e saviezza pratica del legislatore: ed è stata guida dei Musulmani a private e pubbliche virtù. Il Corano, assai più studiato, racchiude confusamente dommi, leggi generali, provvedimenti secondo i casi, assiomi, parabole, e gli antichi racconti religiosi ai quali accennai disopra, guasti per lo più da fallace memoria o presi a sorgenti apocrife; e ciò tra ripetizioni, contraddizioni, declamazioni; in stile vario, spezzato, incisivo, per lo più sublime, talvolta monotono: un tutto incantevole agli uditori suoi, per la proprietà e maneggio della lingua; e può ammirarsi anco da noi ancorchè