Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I. Amari Michele
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Ucciso Omar (a. 644), e uniti a capo di due anni i varii governi delle provincie di Siria156 nelle mani di Mo'âwia, costui, che avea tanto séguito appo il nuovo califo, agevolmente vinse il partito della guerra navale, non ostante la opposizione di quei consiglieri che voleano mantenere i disegni politici di Omar.157 Fatto venire grande numero di barche d'Alessandria e accozzatole con quelle della costiera di Siria, Mo'âwia assaliva (648) Cipro; ne levava tributo; tentava la munita isoletta di Arado; e, sendone respinto, vi tornava l'anno appresso con maggiori preparamenti; sforzava gli abitatori ad arrendersi e bruciava il paese. Dopo due anni i Musulmani di Siria presero l'isola di Rodi; portaron via, fatta a pezzi, la statua colossale d'Apollo che l'antichità avea tenuto tra le maraviglie del mondo.158 E alla nuova stagione, che fu del secentocinquantadue, quattro anni appunto dopo la prima lor prova a metter piè sopra una barca nel Mediterraneo, solcavanlo a golfo lanciato, volgendo le prore alla Sicilia.
Di questa, come di tante altre imprese dei primi conquistatori arabi nelle provincie romane, troviamo notizie molto oscure negli annali loro, per una cagione che occorre spiegare. Presso gli altri popoli civili che si segnalarono nel mondo, la tradizione dei fatti, emersa una volta dalle nebbie dei tempi mitici, ha preso successivamente tre forme, che rispondono a tre diversi gradi dell'incivilimento, e sono: i canti eroici ripetuti a mente, le cronache scritte e la storia propriamente detta; nè la tradizione orale in prosa è stata altro che ausiliare, pronta, come ognun sa, a correggere o guastare gli altri ricordi. Appo gli Arabi, al contrario, la tradizione orale usurpò tutto il campo nei primi due secoli dell'egira. La nazione, sendo più incivilita nell'animo che nelle forme esteriori, non potea contentarsi oramai di racconti poetici, ma non era per anco avvezza a ricordi scritti; e l'umile arte di leggere e scrivere troppo scarseggiava tra que' guerrieri e improvvisatori che stavan sempre a cavallo e in su le armi. Pertanto non ebbero altri cronisti che i rawî, (raccontatori o direbbesi più litteralmente ritenitori), ai quali l'uso dava una prodigiosa virtù di memoria, e serbavano l'intero patrimonio letterario di lor gente: poesie, genealogie e fino i detti del profeta. Costoro, raccolti i fatti il meglio che poteano dalla bocca di questo e di quello, soleano riferirli con tutte le varianti e coi nomi di quanti successivamente li avessero tramandato. Ma tal diligenza accrebbe la mole e la confusione, più tosto che correggere i vizii della tradizione orale: il difetto cioè di precisione cronologica; lo scambio dei fatti diversi relativi a una stessa persona; la mescolanza delle fole di millantatori e detrattori; il pendío agli aneddoti maravigliosi; il silenzio su le imprese infelici. Questo cumulo di materiali par che opprimesse i primi che si provarono a scrivere, nel terzo secolo dell'egira e nono dell'era cristiana. Dei quali altri dettò storie particolari, altri osò intraprendere una cronica universale; ma nessuno seppe strigarsi dalla noiosa forma della tradizione orale, e nessuno venne a capo di chiarir bene tutti gli avvenimenti del primo secolo, ch'era più lontano da quella età. In ultimo comparvero le compilazioni e i compendii, che fecero andare in disuso quelle ponderose cronache primitive; sì che, poco o punto copiate dal duodecimo secolo in qua, non ce ne avanza che qualche volume. E per tal modo è divenuto ormai impossibile di ristorare la tradizione di alcuni avvenimenti; e i nostri sforzi non arriveranno a trovarne altro che qualche cenno.
Ma quell'assalto di Sicilia, di cui testè dicevamo, è reso certo dai ricordi europei, cioè: i documenti contemporanei che leggonsi nel processo di papa Martino;159 un paragrafo della Cronografia di Teofane,160 scrittore dell'ottavo secolo; e uno ch'è tratto manifestamente dalle memorie della Chiesa Romana e portato nelle vite dei pontefici che van sotto il nome d'Anastasio Bibliotecario.161 Corretta la cronologia, il fatto compiutamente risponde alla tradizione musulmana che si raccoglie a brani dal Beladori, autore del nono secolo,162 e da due compilazioni più recenti;163 delle quali una assai particolareggiata si trova in un esemplare del falso Wâkidi; ma non ostante tal sospetta origine,164 quando se ne tolgano le manifeste finzioni del compilatore, contiene un ragguaglio genuino e compie i cenni di Teofane e d'Anastasio, e però la critica non vuol che si rigetti. In ultimo è indizio dell'impresa un nome topografico rimasto in Siria infino al duodecimo o al decimoterzo secolo, chiamandovisi Sicilia, o, secondo altri, Le Siciliane, una villa in campagna di Damasco; se pur non sono due luoghi diversi. Il nome è derivato al certo da donne siciliane portatevi in cattività e probabilmente da quelle che vennervi al tempo di Mo'âwia.165
L'armamento musulmano mosse dall'estremo golfo orientale del Mediterraneo, forse da Tripoli di Siria, e certo egli è che non venisse dalle costiere d'Affrica donde i Musulmani s'eran ritratti tre anni innanzi. Però era mestieri allestire grosse navi e munirle a effetto di guerra; e ne parrà tanto più malagevole e arrisicata l'impresa di Sicilia, più assai che quella d'India del secento trentasei, nella quale gli Arabi aveano avuto in pronto legni e marinai della propria lor gente, usi a tal navigazione per loro commerci. Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân, che già si facea strada all'impero, forse sperò con la guerra di Sicilia d'accrescere le province ed entrate del governo suo ed emulare il capitano d'Egitto Abd-Allah-ibn-Sa'd, che godea come lui la grazia del califo ed avea acquistato in Affrica tanta gloria alla religione, e ricchezza ai soldati. E forse, dall'esercito del rivale pervennero a Mo'âwia i ragguagli che spinserlo alla impresa siciliana. Affidolla a un prode che fu poi partigiano suo nelle guerre civili;166 rinomato non meno per pietà, poichè avea visto in volto il Profeta e ne serbava i detti;167 e testè segnalatosi sotto gli auspicii del capitan d'Egitto nella espedizione di Nubia, ove perdè un occhio per ferita.168 Ebbe nome costui Mo'âwia-ibn-Hodeig della tribù di Kinda169 e continuò per venti anni a combattere per la fede in Ponente, sì che tante sue geste furono confuse dai raccontatori,170 e quella di Sicilia, come meno avventurosa, restò oscura.
Sbarcarono nell'isola i Musulmani con forze non pari al conquisto; occuparono qualche luogo su la costiera, e a lor costume mandarono gualdane a battere il paese, le quali fean preda e prigioni, e pur non bastavano ad espugnar le terre murate. Ma tale debolezza del nemico non si potea scernere dai Cristiani tra i primi spaventi di quell'assalto, non aspettato nè creduto possibile; di quel terribil nome di Saraceni; di quelle nuove fogge, sembianti, linguaggio e impeto di combattere. Però, giunti gli avvisi a Roma, si strinsero l'esarco e il papa, com'abbiam detto. Passato Olimpio con l'esercito in Sicilia, la guerra andò in lungo: combattuta debolmente d'ambo le parti; dei Musulmani perch'eran pochi e scarsi di preparamenti; de' Cristiani perchè valean meno in arme, e travagliavali una moría che s'appigliò all'esercito. Indi le pratiche mosse dall'esarco, alle quali accennano e la narrazione del falso Wâkidi e il processo di papa Martino; le quali negoziazioni dopo la morte d'Olimpio furon costrutte in caso di maestà a fin di avvilupparvi il papa. Questi dal canto suo mandava aiuti di danaro in Sicilia: limosina a qualche servo di Dio, scriveva egli poi scusandosi, e dissimulando forse sotto tal nome il riscatto degli inquilini del patrimonio caduti in man del nemico. In ogni modo, tra scaramucce e pratiche si consumarono parecchi mesi; nel qual tempo Olimpio morì della pestilenza. I Musulmani, non isperando rinforzi, poichè
154
Ibn-Khaldûn,
155
Le indulgenze che guadagnano i Musulmani combattendo per mare sono annoverate nel
156
Ibn-Khaldûn,
157
Ibid., fog. 181 recto.
158
Gli annalisti musulmani son dubbii su queste date. Le pongo secondo i bizantini citati da Le Beau,
159
Presso Labbe,
160
Tom. I, p. 532, sotto l'anno del mondo 6155, secondo il conto suo, che, ridotto all'era volgare, risponderebbe al 662. Il passo di Teofane, rettamente interpretato (e posso dirlo con certezza dopo averlo messo sotto gli occhi di M. Hase), è del tenor seguente: “Quest'anno fu occupata parte della Sicilia, e (i prigioni), a scelta loro, furon fatti stanziare in Damasco.” La inesatta versione latina del testo stampato ha portato alcuni compilatori moderni a sognare un volontario esilio di Siciliani a Damasco.
161
Presso Muratori,
162
Beladori, MS. di Leyde, p. 275: “Dicono che abbia osteggiato la Sicilia Mo'âwia-ibn-Hodeig della tribù di Kinda, ai giorni di Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân. Egli il primo portò la guerra in quest'isola; nè posò d'allora in poi l'infestagione, finchè gli Aghlabiti vi occuparono oltre una ventina di cittadi.”… “Narra il Wâkidi che Abd-Allah-ibn-Kaîs abbia fatto prigioni in Sicilia, e presovi simulacri d'oro e d'argento incoronati di gemme, i quali mandò a Mo'âwia (il califo) che inviolli a Bassora, a fine d'imbarcarli per l'India, e quivi farli vendere con avvantaggio.” Come ognun vede, il Beladori non confonde queste due scorrerie, che veramente furono distinte, ancorchè egli nol dica espresso. Aggiungasi che il Beladori scrive l'impresa di Sicilia immediatamente innanzi quella di Rodi, su la data della quale non v'ha dubbio. Il Wâkidi citato da lui è il cronista le cui opere son perdute, e il nome è stato usurpato dal compilatore moderno di cui feci menzione. Nel testo di Beladori si legge Khodeig in luogo di Hodeig, com'io l'ho corretto, seguendo Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. II, fol. 171, seg. E così anco ha fatto sopra altre autorità il dotto editore del
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La più autorevole ancorchè più recente è il
164
Dopo i lavori dell'Hamaker e d'altri orientalisti, è nota la falsità del libro del conquisto di Siria attribuito a Wâkidi; sul quale Okley in gran parte compilò la sua storia de' Saraceni, e trasse nel proprio errore Gibbon e parecchi altri. Questo libro e quei dello stesso conio su i conquisti di Egitto etc., contengono insieme tradizioni genuine e fittizie, e son opere di uno o parecchi compilatori. Or tra i molti MSS. del falso Wâkidi che v'hanno nelle collezioni europee, se ne trova uno al British Museum (Bibl. Rich. 7361. Nº CCLXXXVII del catalogo stampato) che contiene lunghe appendici su i conquisti di Cipro, Rodi, Affrica, Sicilia ed Arado. Su queste appendici è da notare in primo luogo che le non sian date, come il rimanente del MS., a nome or del Wâkidi ed ora del
Passando alla critica dei fatti, basta a percorrere le appendici per accorgersi di quel miscuglio di vero e di falso che si trova in tutte le opere dello pseudo-Wâkidi; ma è notevole che la sconfitta navale e la uccisione di Costante, e poi il conquisto dell'Affrica, siano raccontati con circostanze più vicine al vero, e in generale senza le novellette che Ibn-el-Athîr e altri rinomati scrittori accettarono come fatti storici. Che se parrebbe sospetta a prima vista la mancanza del nome di chi capitanò questa impresa di Sicilia, ciò può provare al contrario la diligenza del compilatore, poichè i ricordi antichi erano divisi su tal punto, e chi dava l'onore a Mo'âwia-ibn-Hodeig, chi ad Abd-Allah-ibn-Kais. Del rimanente sarà agevole, a creder mio, a scevrare le finzioni dai fatti che il compilatore tolse da autori antichi, forse dal genuino Wâkidi. Perciò non ho avuto scrupolo ad ammettere questi ultimi nella mia narrazione. E perchè il lettore possa rivedere il giudizio mio, gli porrò sotto gli occhi la somma della detta appendice che è questa:
I Musulmani, levata una taglia in Affrica e ritrattisi da quella provincia, volgon la mente al conquisto di Sicilia, una delle antiche sedi dei re romani, vasta isola e ferace. Mo'âwia ne scrive al califo Othman, che assente. Gli Affricani, risapendo questo, ne danno avviso in Sicilia. Il principe della quale isola s'adira del disegno, senza prestarvi molta fede. Scioglie dalla costiera (di Siria) l'armata musulmana, di trecento legni, e improvvisa piomba sull'isola, ove il principe dall'alto del suo palagio la vede venire adorna di bandiere e gonfaloni e piena di guerrieri bene armati. Il principe di Cesarea che s'era rifuggito in Sicilia, quando il cacciarono gli Arabi, consiglia a quel di Sicilia di comporre per danaro. Quei spregia l'avviso, dicendo aver tali forze da far testa agli Arabi in cento scontri e resister loro per un anno intero. Nondimeno, surta che fu all'áncora l'armata musulmana, ei mandava a parlamentare. Viene a lui un oratore musulmano che per via d'interpreti gli propone l'islamismo, il tributo, o la guerra: lungo discorso seguíto da una lunga e sdegnosa risposta del principe di Sicilia. Infine un patrizio domanda all'oratore se alcun arabo voglia misurarsi con lui. “Sì lo faranno gli infimi dell'esercito musulmano;” risponde l'oratore. Descrizione del duello, in cui il patrizio è ucciso. Sbigottito il principe a tal esempio, si chiude in fortezza; e i Musulmani danno il guasto a varii luoghi ed espugnano con lor macchine varie castella. Infine si viene a giornata. Il principe rompe l'ala sinistra de' Musulmani; ma la destra tien fermo, e la battaglia dura in fino a sera. A notte avanzata, i Musulmani lasciano il campo, e rimontati su l'armata vanno ad infestare altre parti dell'isola. Il principe siciliano scrive ai Romani (d'Italia) chiedendo rinforzi; ma essi nè anco gli rispondono. Allora il principe di Cesarea gli suggerisce di tenere a bada il capitan musulmano con simulate proposizioni di pace e mandare per aiuto al principe di Costantinopoli: a che il Siciliano replica: “Mai noi farò quando anche dovessi perdere l'isola.” Così i Musulmani continuano a depredare il paese, finchè il principe di Costantinopoli mandavi secento navi ben munite di guerrieri. Avutone avviso, i Musulmani deliberano di partire immediatamente. Lascian l'isola nottetempo; e, dopo parecchi giorni di navigazione, giungono alla costiera di Siria; dove sbarcato il bottino e i prigioni, li arrecano a Damasco a Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân. Levatone la quinta, Mo'âwia la manda ad Othman, ragguagliandolo del fatto di Sicilia, e che i Musulmani ne fossero usciti sani e salvi. Dopo ciò, i Musulmani combattono l'isola di Arado, che fu l'ultima vittoria loro sotto il califato di Othman, e seguì lo stesso anno della uccisione di lui.
165
Ibn-Scebbâtt, MS., pag. 50, dice: “Sikillia è anche nome di una
166
Dsehebi, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 746, tom. 1, anni 37 e 38.
167
Ibn-Abd-el-Hakem, MS. di Parigi, Ancien Fonds 655, p. 430.
168
Ibid., p. 253. Quest'impresa seguì l'anno 31 (651-52); e come altri due guerrieri di nome riportarono la stessa ferita di Ibn-Hodeig, così gli Arabi chiamarono i Nubii “saettatori delle pupille.”
169
Beladori, l c.;
170
Soprattutto le tre espedizioni ch'egli capitanò nell'Affrica propria gli anni 34 (654-5), 40 (660-1), e 50 (670); l'una delle quali si scambiava con l'altra fin dal tempo dei primi scrittori, come l'afferma Ibn-abd-el-Hakem, che visse nel IX secolo dell'era cristiana. Veggansi Ibn-abd-el-Hakem, MS. di Parigi, Ancien Fonds 655, p. 262, 263, e Ancien Fonds 785, fol. 109 recto e 122, e il