Vivere La Vita. Lionel C

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Vivere La Vita - Lionel C

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letto finché mi sono sentito sicuro di me, ho anche deciso senza dire o chiedere niente a nessuno, che nell'assemblea della classe, avrei spiegato tutte quelle cose ai miei amici, al modo mio.

      Con parole che usavamo noi, per farmi capire bene da tutti.

      Ero il loro comandante e mi sembrava giusto aiutarli a capire.

      Mentre parlavo, lì dove sapevo di aver messo parole mie, ogni tanto guardavo la maestra per vedere se era d'accordo, oppure no, ma non riuscivo a capire niente.

      Non diceva nulla e la sua faccia era sempre la stessa, come in quel giorno quando siamo diventati pionieri, ma questo non mi disturbava, anzi mi dava la sicurezza per andare avanti, perché non mi ha mai fermato.

      Più andavo avanti, più mi sentivo sicuro e certo che spiegavo bene ai miei compagni.

      In ognuno dei tre trimestri di scuola che si facevano in ogni anno scolastico, dovevamo raccogliere dei soldi, cioè, “il piano economico della nostra classe”, che poi venivano tutti versati nel “piano economico della nostra scuola”.

      Tutti quei soldi, venivano usati per i lavori di qualsiasi tipo nella nostra scuola, che si facevano ogni anno nella vacanza grande, quella del' estate.

      In un trimestre, ogni bambino doveva versare al proprio comandante di gruppo, nel momento in qui voleva, anche un po' alla volta, una cifra che a me sembrava molto piccola.

      Con quei soldi si sarebbe potuto andare al cinema per neanche tre volte, oppure mangiare due dolci e mezzo nella confetteria, comperare la metà di uno dei palloni con qui giocavamo a calcio, oppure dieci dei gelati più piccoli che esistevano.

      La cosa importante, era che quei soldi non potevano e non dovevano essere dati dai nostri genitori.

      Ognuno di noi, per mettere insieme quella cifra, doveva dedicare del tempo.

      Del suo tempo.

      Ognuno doveva lavorare.

      Un terzo della cifra, doveva essere ottenuto da residui di carta raccolti e portati in uno dei centri di raccolta nella città.

      Andando nei vari centri, dovevamo avere dietro come segno di riconoscimento il nostro libretto di allievo, quello dove di solito si mettevano i voti per farli vedere e firmare dai genitori a casa.

      Il responsabile del centro ci pagava la carta, ma la cosa che a me, sembrava molto più importante dei soldi, era la ricevuta che ci doveva dare, con il nostro nome e cognome, la quantità di carta portata, i soldi pagati, la data, la sua firma e soprattutto il timbro del centro di raccolta.

      L'altro terzo della cifra si doveva ottenere, portando bottiglie, oppure barattoli di vetro vuoti e puliti. L'ultimo terzo, portando del ferro vecchio.

      Ognuno di noi, appena aveva la cifra giusta, ma soprattutto le ricevute dei centri di raccolta, doveva dare tutto al proprio comandante di gruppo.

      Il comandante, aveva il compito di creare la statistica del proprio gruppo. e poi, di consegnare tutto a me.

      Dopo aver fatto la statistica della classe, controllando che la soma dei soldi, era la stessa con la somma scritta sulle ricevute, dovevo consegnare tutto alla compagna comandante dei pionieri per la scuola.

      Più andavo avanti, più mi rendevo conto che stavo spiegando bene, perché vedevo le facce e gli occhi dei miei compagni molto attenti.

      Nella nostra aula, c'era un silenzio profondo in qui si sentiva soltanto la mia voce.

      Nessuno mi chiedeva nulla.

      La maestra non stava più dritta sulla sedia, ma era piegata un po' in avanti, come facevo nel banco quando lei ci spiegava un qualcosa che mi interessava di più e volevo capire bene.

      Ero così tranquillo, sereno e soddisfatto, che mentre parlavo sono anche riuscito a chiedermi perché quella maestra compagna comandante è stata cosi rigida ed aggressiva quando ci ha spiegato tutto, visto che io piccolo bambino, ci riuscivo a farlo da amico con tutti e le cose andavano molto bene.

      Quando ho finito e ho chiesto se hanno capito, oppure se c'erano delle domande, la mia soddisfazione è stata ancora più grande.

      Non avevano domande, ma prima uno, poi un altro, poi un po' tutti insieme, i miei amici hanno cominciato a dire ognuno un qualcosa, su tutte quelle novità.

      Quando il rumore e diventato un po' troppo forte, è intervenuta la nostra maestra e con tanta tranquillità ci ha ricordato che dovevamo ancora chiudere l'assemblea.

      Mentre cantavamo l'inno dei pionieri ed i due porta bandiere, portavano le bandiere della classe al loro posto, mi sentivo molto fiero di me stesso per come erano andate le cose.

      Mi piaceva di nuovo essere pioniere ed il comandante della mia classe, poi, la ciliegina sulla torta l'ha messa la mia maestra.

      Prima di andare via, mentre stava quasi prendendo la mia guancia nella sua mano destra, con la sua dolcezza mi stava dicendo che ero stato molto bravo a guidare ed a tenere tutti uniti i miei amici, i miei compagni, nella mia prima assemblea.

      Anche se fuori pioveva e la giornata era molto grigia, fredda, con le nuvole molto basse e con poca luce, come tutte le giornate in pieno autunno sotto la montagna, dentro di me, c'erano delle immense esplosioni solari.

      Una luce, fortissima e molto luminosa.

      Impegnato come ero, con i miei compiti, con il lavoro di comandante della classe, con le grandi cose da fare insieme ai miei amici del condominio, mi è sembrato troppo presto quando un giorno mio papà mi ha detto che era arrivata l'ora di cominciare a preparare l'albero.

      Tra non molto, doveva venire Babbo Natale e li serviva l'albero per poterci lasciare i regali.

      Per la prima volta sono andato anch'io insieme ai miei genitori a comprare l'albero.

      Erano tantissimi.

      Tutti grandi e molto grandi ed intorno si sentiva un profumo di pino molto buono, molto forte.

      Sulla neve bianca che copriva già tutto con uno strato molto spesso, le loro chiome verdi, erano come una macchia di vita nel gelo dell'inverno. Dopo aver guardato un po’, come tutta la gente che era lì per lo stesso motivo, mio papà ha scelto uno che piaceva a tutti noi. Lo ha legato bene, ma delicatamente, per non spezzare i rami, e ci siamo incamminati per tornare a casa.

      Il mercato non era molto lontano e tornando, mio papà ha avuto il tempo di spiegarmi che prima di cominciare a preparalo, dovevamo tagliarlo alla base, perché forse era troppo alto e non ci stava dentro casa.

      Finiti tutti i preparativi, finalmente lo abbiamo messo al suo posto e dopo averlo fissato bene nel suo piedistallo, abbiamo messo soltanto le luci.

      A tutto il resto: cioccolatini, addobbi, regali, ci avrebbe pensato Babbo Natale.

      Come sempre.

      Preparare per la prima volta l'albero insieme al mio papà, dentro mi faceva sentire un po' più grande.

      Ero molto felice.

      Ancora

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