Vivere La Vita. Lionel C

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Vivere La Vita - Lionel C

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che sentivo delle cose che non conoscevo e che insieme alla paura di prima, facevano muovere tutto dentro me, in modo strano.

      Un disordine totale.

      Nella testa avevo un sacco di domande che venivano tutte insieme. Mancavano però le risposte ed in più, la pace e la tranquillità che tanto amavo, in quei momenti, mi chiedevo se mai le avrei ritrovate.

      Appena entrato in casa, prima ancora di togliermi le scarpe e la divisa da pioniere, i miei genitori, senza neanche guardarmi, mi facevano un sacco di domande in modo allegro, scherzoso, vivace ma tranquillo, su come era andata la mia prima assemblea da "grande capo", insieme agli altri grandi capi della scuola.

      Sembrava quasi che mi prendevano in giro.

      Silenzioso e senza rispondere, sono andato a svestirmi.

      Quando vestito da casa sono ritornato in cucina per mangiare, ho visto che all'improvviso hanno smesso di farmi domande sull'assemblea e dopo un attimo di silenzio, mio papà mi ha chiesto se volevo andare con lui sulla collina dove andavano a giocare i ragazzi grandi del condominio.

      Aveva voglia di camminare un po' e non li andava di farlo da solo.

      Soltanto in quel momento ho cominciato a rivedere che fuori era una bellissima giornata serena ed ancora molto luminosa, anche se autunno. Dentro di me, al' improvviso, sembrava che quel grande disordine che si muoveva in continuazione, cominciava a fermarsi, lasciando il posto alla tranquillità. In quei attimi, ho capito che anche il mio corpo tornava piano, piano ad essere meno rigido, caldo e vivo.

      Piano, piano e finalmente dopo un po', cominciavo a vedermi e sentirmi come mi conoscevo.

      Sarebbe stato per la prima volta che andavo sulla collina.

      Mi è bastato, per far ritornare in me la vita.

      Quando ho provato a spiegare a mio papà che prima avrei avuto dei compiti da fare e lui mi ha risposto che aveva fiducia in me ed era sicuro che li avrei fatti tutti e fatti bene al nostro ritorno, l'ultimo pezzo di disordine ancora rimasto dentro me, è stato spazzato via da un'esplosione di entusiasmo, di gioia.

      I piedi che prima sentivo pesanti come il piombo, erano diventati leggeri e pronti alla camminata e prima di dire, oppure sentire qualsiasi altra cosa ero nel' ingresso, d'avanti alla porta di casa, con le scarpe già ai piedi.

      Pronto per partire.

      Prima di uscire, mio papà ha soltanto preso nello sgabuzzino una cosa che sembrava un bastone, spiegandomi che era una piccozza da montagna.

      Era per la prima volta che la vedevo.

      Mi è subito piaciuta tanto.

      Ha poi preso anche un piccolo borsellino da minatore, un po’ più grande di quello che avevo al' asilo, dicendo che era il periodo buono, per la maturazione delle noccioline selvatiche.

      Siamo usciti.

      All'improvviso, quello era appena diventato uno dei giorni più felici ed importanti della mia vita.

      Quando d'avanti al condominio, qualcuno dei miei amici che era già sul nostro “Maracana”, mi ha chiamato a fare due tiri, con tanta fierezza ho risposto che non potevo, perché andavo con il mio papà sula collina dei ragazzi grandi.

      Appena attraversato il corso, quasi subito, siamo scesi in una piccola vallata e dopo aver attraversato il letto abbastanza grosso del piccolo fiumiciattolo che passava di lì, abbiamo cominciato la salita. Una salita dolce, tranquilla e mentre la stavamo facendo, mio papà ha cominciato a farmi vedere e spiegare tante cose.

      Dove si poteva camminare perché era la collina di tutti e dove non si poteva, perché apparteneva alle persone che abitavano nelle case all'ingresso della città.

      Dove si poteva accendere un fuoco per fare alla brace delle buone patate oppure lardo di maiale affumicato, il cibo preferito dei montanari, e dove non si doveva mai accendere un fuoco.

      Quale era il legno buono per fare gli archi, come quelli dei ragazzi grandi e quale era il legno buono per fare le frecce.

      Dalle piccole fonti di acqua che ogni tanto vedevo uscire da sotto terra, da quale si poteva bere tranquilli e quali era meglio evitare.

      Quale pianta, oppure foglie di alberi potevano andare bene per qualche cura naturale e per quale cura.

      Era tutto bellissimo.

      Stavo vivendo una lezione di "conoscenze della natura", in mezza alla natura e scoprivo in quei momenti quante cose nuove mi stava insegnando mio papà senza nessuna fatica.

      Quante cose sapeva.

      Ci siamo fermati in un grosso spiazzo.

      La città si vedeva già dall'alto ed il rumore era rimasto lontano.

      Eravamo su un bel prato ancora molto verde e molto morbido.

      Intorno allo spiazzo, non molto lontani, c'erano tantissimi alberi dai più piccoli, a molto grandi. Riempivano tutta la collina e lo spettacolo che davano era splendido. Visto da vicino, era ancora più bello di quanto era quando lo vedevo dalla finestra della nostra cameretta.

      Le loro chiome erano fatte di tantissimi colori.

      Sembrava che tutti i tipi di verde ed alcuni di giallo erano scesi dal cielo e si sono posati sopra, per dipingerle. Verso l'alto della collina si vedevano tanti con delle chiome di un colore quasi rosso. Mentre il leggero vento passava, le loro foglie si muovevano tutte insieme nello stesso momento e nella stessa direzione in un modo tranquillo, molto delicato.

      Era per la prima volta che sentivo il loro fruscio.

      Il loro canto armonioso, portatore di pace.

      Quando il leggero vento veniva verso di noi, anche se molto tranquillo, oltre aria più fresca, portava anche un bel po’ di foglie gialle piccoli e grandi che scendevano a terra leggere e tranquille come i fiocchi di neve.

      Mentre respiravo a bocca chiusa ma a polmoni pieni, per poter assorbire tutti i profumi buoni che sentivo, per riempirmi più che potevo di quel' aria, mio papà mi spiegava che quella specie di sentiero molto, molto largo, quasi una strada, che partiva dal nostro spiazzo e salendo sulla collina, si perdeva in alto dentro la foresta, era il posto che d'inverno, con la neve, diventava la pista di slitta di tutta la nostra zona.

      Cominciando a salire anche noi su quella che diventava d'inverno la pista delle slitte, sentivo l'erba corta sotto i piedi cosi morbida, che ogni tanto, mi sembrava quasi, di perdere l'equilibrio.

      Era come camminare sopra un morbido e spesso tappetto persiano della migliore qualità.

      Mi sembrava di essere entrati, nel regno della natura e che lei, ci aveva dato gratuitamente e con tanta generosità il permesso di farlo, per poterci gustare da vicino tutto.

      I suoi colori, profumi, suoni.

      Tutta la sua vita.

      Di dentro, in un modo tranquillo e naturale, sentivo che l'unica cosa da offrire in cambio come ringraziamento a tutta quella ricchezza, a tutto quello che ci donava

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