Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio
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Читать онлайн книгу Il roccolo di Sant'Alipio - Caccianiga Antonio страница 5
— Via, parlate schietto.... nell'interesse di Tiziano.... per apparecchiare la sua difesa bisogna sapere di che cosa può essere incolpato....
— Frivolezze.... declamazioni.... brindisi.... che so io!...
— Ma che brindisi avete fatti?
— Dopo la laurea abbiamo invitato a pranzo gli amici.... siamo stati allegri come potete immaginare.... abbiamo bevuto alla salute d'Italia.... abbiamo gridato Viva Pio IX!... Viva Gioberti!... Viva Guerrazzi!... Viva Mazzini!...
— Ah disgraziati che cosa avete mai fatto!... ne avete per vent'anni di Spielberg!... quel povero Silvio Pellico ne ha fatto assai meno di voi!...
— I tempi sono cambiati. Pio IX ha aperta l'era della libertà... noi tutti vogliamo l'indipendenza... vostro padre, il povero nonno Taddeo, ci diceva sempre che il dominio straniero è una vergogna per l'Italia.... e voi avete sempre pensato egualmente....
— È vero.... ma bisogna agire con prudenza.... ci vogliono fatti e non ciarle, mio caro, per liberare l'Italia.... voi siete stati imprudenti.... avete congiurato....
— Potete essere sicuro che non abbiamo carte compromettenti, che non si troveranno argomenti per fondare un processo.... la nostra congiura sta dentro di noi, nell'unanimità dei nostri voti, nella fermezza del nostro volere.... nella coscienza del nostro diritto.... nel nostro onore!... Noi non siamo più una setta, nè una legione.... ma siamo un popolo di fratelli.... vogliamo essere padroni in casa nostra.... non vogliamo più stranieri in Italia.... non abbiamo più paura nè delle prigioni, nè dei patiboli, nè delle baionette.... moriremo tutti.... o saremo liberi!...
Sior Antonio dimenava la testa, stringeva le labbra, mormorava delle parole incomprensibili, una lotta interna lo agitava, egli si era sempre mostrato ottimo patriotta, ma davanti all'arresto di suo figlio le sue idee si confondevano, il dolore soperchiava ogni altro sentimento; suo figlio in mano dell'Austria, gli faceva rammentare i processi di stato, le vittime sagrificate, e fremeva di sdegno, di diffidenza, di paura. Maddalena non intendeva ragioni, essa pensava a suo figlio, e si disperava di vederlo caduto in mano dei barbari, la Betta piangeva, Bortolo aveva il viso sconvolto dalle varie e successive emozioni di quella notte, e dava ragione a tutti contraddicendosi senza avvedersene: quando Michele annunziava la volontà degli italiani, egli alzava i pugni minacciosi, quando sior Antonio accusava i giovani di imprudenza egli assentiva coi segni del capo; piangeva e minacciava, ora sembrava spaventato dalla sorte del suo padroncino, ora mostrava di non temere tutte le forze dell'Austria, e pareva che le dichiarasse una guerra d'esterminio.
Dopo una lunga discussione, senza poter concordarsi sopra un piano da seguire, sior Antonio pensando che la sorte di Michele non era ancora decisa, gli chiese:
— E voi che cosa pensate di fare?
— Bisogna che me ne vada.... egli rispose, meglio uccello di bosco che uccello di gabbia.... ma sono qui senza vesti, senza denaro, e nell'impossibilità di rientrare.... perchè un sacripante mi aspetta per prendermi al collo.... mi aspetterà un bel pezzo quel minchione!... se volesse prendere in cambio mio zio!... sono gli orsi che si devono mettere in gabbia!...
Sior Antonio non lo ascoltava che distrattamente, stette alquanto pensieroso, poi ordinò a Bortolo di dar l'avena alla Nina, e di tenerla pronta a partire, e condusse Michele nello scrittoio, ove tenne con lui una conferenza assennata e senza testimoni, per fissare il modo di sottrarre dagli artigli tedeschi colui che poteva ancora sperare di mettersi in salvo; e sulle misure da prendersi per giovare a Tiziano che colto per sorpresa non aveva potuto provvedere alla sua libertà.
Michele ricevette da sior Antonio del denaro, del quale gli rilasciò ricevuta, e Maddalena lo fornì di biancheria e d'altri oggetti indispensabili, che vennero collocati in un piccolo sacco da viaggio, e dopo di aver ringraziati con parole cordiali quei buoni amici, augurò loro che non avessero a soffrire lungamente per la detenzione di Tiziano, pel quale li assicurava che non ci potevano essere motivi fondati per procedere; e prima dell'alba, uscito da quella casa con ogni precauzione, entrava in un sentiero nascosto fra i boschi, e andava a riuscire sulla strada maestra, a qualche distanza dal paese, ove Bortolo doveva subito raggiungerlo colla timonella tirata dalla Nina.
Sior Antonio rientrato in cucina procurò di calmare sua moglie che continuava a piangere dirottamente, e le disse:
— Bisogna aver coraggio, e non abbandonarsi ad una sterile disperazione. Le lagrime non possono servirci a nulla. Adesso invece dobbiamo occuparci seriamente del nostro Tiziano. Appena giorno io andrò dal commissario per vedere che cosa pensa di fare, poi ho l'intenzione di far una visita al consigliere, per aver qualche consiglio utile, da un uomo esperto in queste faccende. E tu non lasciarti vedere troppo accorata dalla gente; e questo per due motivi: prima di tutto si farebbe torto a Tiziano, lasciandolo credere colpevole, poi sembrerebbe che la nostra famiglia conosciuta pei suoi antichi sentimenti di patriottismo, fosse disperata alla prima prova, e scoraggiata alla prima sventura. Animo dunque, chiudiamo l'amarezza nell'anima, e mostriamoci forti nella sventura.
E preso il cappello se ne andò prima di tutto da Sior Iseppo per avvertirlo dei provvedimenti presi riguardo a suo nipote, e sulle misure fissate d'accordo con lui per facilitargli la fuga.
Trovò il vecchio ancora indignato contro i tedeschi che si erano permessi di rompergli il sonno, come se non avessero potuto arrestare suo nipote senza disturbarlo.
Sior Antonio gli rese conto di quanto aveva fatto per Michele, facendogli sperare di poter fra breve ricevere sue notizie da un luogo sicuro. Sior Iseppo alzando la destra, fece un rapido movimento che pareva volesse significare: — che il diavolo se lo porti in malora! — e continuò a lamentarsi che gli avevano sconvolta la casa per cercarlo e che in fine dei conti un po' di prigione non gli avrebbe fatto male per insegnargli l'economia, la disciplina e la quiete. — Uhm! uhum! mormorava sior Iseppo, teste calde!... gioventù senza giudizio!... — Tuttavia volle regolare i conti e restituire a sior Antonio il denaro sborsato, ma lamentandosi continuamente dei disturbi, delle spese, dei sacrifizi ai quali si trovava esposto per le scapataggini di quel matto di suo nipote.
II.
Intanto che Michele prendeva la strada di Auronzo per cercare un rifugio in casa d'un amico, Tiziano partiva per Venezia accompagnato dal commissario che era venuto ad arrestarlo e scortato da due gendarmi a cavallo, che trottavano in fianco della vettura; e quando sior Antonio si recò alla mattina dal commissario distrettuale per aver notizie dell'arrestato, questi era già partito da un pezzo.
Il povero padre sorpreso a tale annunzio protestava vivamente, voleva seguire subito suo figlio, ma il commissario lo consigliò a starsene in casa tranquillo, assicurandolo che se non era colpevole sarebbe rimandato in famiglia fra pochi giorni, e lo esortava a confidare intieramente nella clemenza del paterno regime di Sua Maestà Imperiale Reale ed Apostolica, la quale non voleva altro che la felicità de' suoi sudditi. Il padre desolato non rispondeva per non aggravare la condizione del figlio, ma frenava a stento la sua indignazione e i suoi sospetti, avendo udito a narrare tante volte i processi del vent'uno, le condanne a morte ed all'ergastolo, le lunghe prigionie dello Spielberg ove degli uomini onesti che non volevano altro che l'indipendenza della patria, erano stati trattati peggio dei ladri e degli assassini, e fremeva pensando a suo figlio caduto in quelle mani spietate. Però dovette fingersi fidente e rassegnato e ritornarsene a casa a riferire il risultato della sua visita.
Intanto la notizia dell'arresto s'era diffusa nel paese,