Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio

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Il roccolo di Sant'Alipio - Caccianiga Antonio

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stesso a Venezia, e procurasse di farsi raccomandare da qualche autorità locale, che non c'era tempo da perdere, che lo aspettavano senza ritardo, e che giunto in casa loro sarebbe consigliato e diretto nell'interesse di Tiziano. Si decise subito per questo partito, e mentre che Maddalena gli apparecchiava la valigia, egli corse di nuovo dal Consigliere imperiale, il quale non potè esimersi di raccomandarlo ad un segretario di Tribunale, con una di quelle lettere insignificanti ed ambigue, che vogliono dire, a chi sa leggere fra le linee: «vi raccomando il portatore della presente, perchè non posso fare altrimenti. Tiratevi d'impiccio come potete, che ve ne sarò gratissimo, come d'un favore personale. E comandatemi liberamente, che io sarò sempre disposto di fare altrettanto per voi.»

      Sior Antonio, che non sapeva leggere fra le linee, e che credeva che un segretario del tribunale dovesse conoscere tutti i segreti necessari per mettere in libertà un carcerato, fu soddisfattissimo della missiva commendatizia, alla quale attribuiva la potenza d'infrangere i ceppi e i chiavistelli di tutte le prigioni di stato della monarchia. Ringraziò il Consigliere colle lagrime agli occhi, e gli promise la sua eterna riconoscenza.

      Di là passò al roccolo di Sant'Alipio, e chiese a Isidoro Lorenzi se potesse giovarlo egli pure, raccomandandolo a qualche amico di Venezia.

      — Ma senza dubbio, caro sior Antonio, figuratevi se non farò tutto il possibile per aiutarvi a liberare dagli artigli dell'aquilotto il povero nostro amico Tiziano. Sedetevi qui con Maria, e torno subito con una lettera, che vi potrà essere utilissima.

      Maria colmò di attenzioni sior Antonio, si mostrò profondamente addolorata della sventura toccata al compagno della sua infanzia, incaricò il povero padre di mille affettuose espressioni pel prigioniero, che essa sperava di vedere fra breve nella loro casetta, che, dopo la sua partenza e quella di Michele, le pareva muta e deserta. Egli doveva dire a Tiziano che si parlava tutto il giorno di lui, che il suo pensiero lo accompagnava di giorno e di notte, che il suo ritorno sarebbe una bella festa per tutti gli abitanti del roccolo.

      Isidoro ritornò colla lettera che portava il seguente indirizzo:

      «All'egregio Signor avvocato Daniele Manin, a San Luca, Ponte San Paternian, Venezia. S. P. M.»

      — Voi avrete udito a parlare dell'avvocato Manin.... — gli disse Isidoro, consegnandogli la lettera.

      — È la prima volta che sento questo nome, — gli rispose sior Antonio.

      — È un bravo avvocato, e un buon patriota, che potrà esservi utilissimo. Mi sorprende che non abbiate udito a parlare di lui a proposito della eterna questione della Strada Ferrata Ferdinandea, nella quale si è mostrato valente difensore degli interessi e del decoro del paese.

      — Quando lo dite voi, basta. Sarà l'avvocato di mio figlio, e spero che saprà difenderlo a dovere, in caso di bisogno.

      Dopo cordiali ringraziamenti, salutando amichevolmente, uscì dal roccolo, ma prima di rientrare in casa deliberò di fare una visita al signor Arcidiacono, d'implorare anche la sua assistenza, e di udire i suoi consigli.

      L'Arcidiacono lo ricevette nel suo studio colla consueta benignità, se lo fece sedere dirimpetto, gli fece portare un fiaschetto di vino di Conegliano, lo interrogò con interesse sulla salute della Maddalena, procurò di consolarlo della sua disgrazia, incoraggiandolo a sperare nell'esito d'un processo, che non poteva rinnovare le passate condanne, in un epoca nella quale il capo supremo della chiesa aveva dato un magnanimo esempio di clemenza coll'amnistia, insegnando ai regnanti a secondare la voce del popolo, che è voce di Dio, facendo sperare all'Italia dei giorni migliori.

      Sior Antonio apriva l'animo a tali speranze, si sentiva più tranquillo, alzava gli occhi al cielo, e il bicchiere verso l'Arcidiacono, per indicargli che beveva alla sua salute, e incoraggiato dalla benevola accoglienza, si fece coraggio di chiedere anche a lui una qualche raccomandazione per Venezia.

      — Anzi, ben volentieri, caro sior Antonio, ben volentieri, ripeteva l'Arcidiacono, fregandosi le mani per riscaldarle, e accompagnando le sue parole con un propizio sorriso. E presa la penna si mise a scrivere una lettera, mentre l'altro guardava i santi in litografia che ornavano le pareti della camera, in compagnia di Pio IX e del Vescovo di Belluno e Feltre, poi gettava un'occhiata sui libri ben legati e messi in fila sulle scansie della libreria di noce a lustrofino, e in quelle osservazioni dei quadri e dei libri il buon cadorino pareva compendiare i pregi dell'Arcidiacono, santità ed eloquenza, e infatti era un buon uomo, buon patriota, che faceva del bene ai poveri ed agli infelici, predicava con ardore contro tutti i peccati, descriveva a meraviglia il paradiso e l'inferno, e avrebbe mandato al diavolo i tedeschi, se lo avesse potuto.

      Il buon prete scriveva in silenzio, e si udiva la penna che scricchiolava sulla carta, senza sosta, e con movimento accelerato.

      Quando ebbe finito piegò la lettera, gli fece la soprascritta, e gliela porse dicendo:

      — Eccovi servito. — All'illustre signor Nicolò Tommaseo — Venezia, — e non occorre altro indirizzo, perchè tutti lo conoscono. Ne avrete già udito a parlare?

      — Veramente no!... fuori del Cadore non conosco anima viva, ma è probabile che lo conoscano i padroni....

      — Senza alcun dubbio.... è uno dei più insigni letterati d'Italia, uno scrittore purista, ed erudito, un uomo pio, amico del popolo, e dei sacerdoti, giusto come l'oro, vi riceverà con carità cristiana, e potrà giovarvi moltissimo colle raccomandazioni e coi consigli...

      — Non ho parole per ringraziarla...

      — Vi desidero buona fortuna, e vi sarò gratissimo se mi farete conoscere l'esito delle vostre sollecitudini per il figlio...

      — Anzi a questo proposito devo pregarla d'un altro favore. Io non posso scrivere a mia moglie, la quale non sa leggere che lo stampato. Io scriverò a lei, e favorirà di far avere le mie notizie a Maddalena, e se avrà bisogno di consolazioni la raccomando alla sua bontà.

      — Benissimo, caro sior Antonio, potete essere sicuro di tutta la mia premura... ma vi raccomando siate prudente.... nell'interesse comune.... non bisogna fidarsi della posta.... non dimenticatevi mai questo consiglio.... però con quel buon senso che non vi manca, saprete trovare il modo di farmi indovinare le cose che non potete scrivere. Non mostrandovi mai avverso al governo, non vi riuscirà difficile di farmi intendere come stanno le cose.

      — Ho capito tutto.... non stia a dubitare che da parte mia non ci saranno pericoli.... e saprò trattare le cose da uomo prudente.

      Volle baciare la mano all'Arcidiacono, lo pregò di ricordarsi di lui nelle sue preghiere, e non rifiniva di ringraziarlo di tanti favori. L'Arcidiacono lo accompagnò fino alle scale, e incaricandolo di tanti saluti per sua moglie, lo congedò cortesemente, gridandogli dietro, mentre scendeva le scale:

      — Buon viaggio.... buon viaggio.... che il Signore vi benedica!....

      Il giorno seguente sior Antonio partiva di buon mattino da Pieve di Cadore, nella sua timonella, tirato dalla Nina, che Bortolo aveva messa in gambe con una buona profenda di biada, e dopo due giorni di viaggio arrivava a Mestre, ove consegnato allo stallo della campana, la bestia ed il veicolo, prendeva una gondola e partiva per Venezia.

       Indice

      Una bella mattina i padroni di sior Antonio se lo videro capitare in casa tutto fidente nelle lettere commendatizie del Consigliere imperiale, d'Isidoro, e dell'Arcidiacono, e non poterono

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